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Trasferitosi a Milano, intraprese un nuovo percorso iscrivendosi all’Accademia di Brera e immergendosi nell’ambiente milanese del paesaggismo lombardo. In quegli anni avviò un intenso lavoro “dal vero” nelle campagne, lungo laghi e fiumi del Nord Italia, in cui emergeva la sua predilezione per la natura osservata direttamente: boschi, rive, laghi, ma anche ambienti orientali che aveva visitato durante viaggi in Egitto e Turchia. Questi soggiorni nel Levante gli permisero di introdurre nella sua pittura tematiche esotiche — villaggi arabi, scene turche, la luce nord-africana — che accrebbero la varietà del suo repertorio.
Lo stile di Formis si caratterizza per un’adesione sincera al paesaggio, con pennellate spesso rapide e tattili, tavolozza luminosa ma equilibrata e composizioni che alternano vasti spazi aperti a dettagli di vita quotidiana. Pur non aderendo alle correnti più radicali del suo tempo, egli fu riconosciuto come figura di spicco del naturalismo lombardo, collaborando e dialogando con artisti quali Eugenio Gignous. Le sue opere testimoniano una capacità di cogliere l’atmosfera di un luogo: il riflesso luminoso sul lago, la nebbia mattutina sulla pianura, il fascino orientale di una luce sconosciuta.
Formis partecipò con regolarità alle Esposizioni nazionali di Belle Arti, mostre della Permanente di Milano e manifestazioni internazionali, ottenendo apprezzamento per la freschezza della visione e per la tecnica matura. Tra le sue opere più note si segnalano paesaggi sul lago di Varese, scene agricole mantovane e marine lagunari. Nell’ultimo periodo della sua carriera si fece più sottile nella stesura della materia e più audace nei tagli prospettici, pur restando fedele al suo linguaggio visivo sobrio e ben calibrato.
Morì a Milano nel 1906.