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Tuttavia, dopo essersi laureato nel 1840, Mazza abbandonò quasi immediatamente il percorso giuridico, lasciandosi convincere dall’entusiasmo e dalle passioni suscitate nei circoli studenteschi e patriottici, dove conobbe artisti impegnati nella lotta antiaustriaca che lo introdussero alla pittura.
Il suo esordio nelle esposizioni avvenne nel 1842 a Brera, dove presentò cinque dipinti di genere. Pur venendo apprezzato per il suo studio dal vero del paesaggio, ricevette critiche riguardo alla debolezza dell’impianto disegnativo. Seguendo le orme e le scelte stilistiche di artisti come D. Induno, Mazza si orientò, negli anni successivi, verso una pittura realista e moderna, in risposta alle sollecitazioni della critica militante, in particolare quella di Pietro Estense Selvatico, abbandonando così il tema aulico e legato al passato.
Tra il 1843 e il 1847, assiduo partecipante delle rassegne braidensi, propose al pubblico soggetti di storia contemporanea e scene di ambientazione popolare. Alcuni viaggi, soprattutto nello Stato pontificio e nel Regno delle Due Sicilie, gli ispirarono opere quali “Un funerale nella Campagna romana”, “Briganti calabresi”, “La maliarda” (1845) e “Predica al santuario nelle vicinanze di Sora” (1847).
Nel 1848 Mazza partecipò con ardore ai moti antiasburgici delle Cinque giornate di Milano, esperienza che lo segnò profondamente e che egli ripercorse dettagliatamente nel lungo racconto autobiografico “Le Cinque giornate di Milano” (Milano, 1885). In questo testo egli narra con passione la sua avventura tra le file dei partigiani, celebrando il coraggio di figure come L. Manara e A. Anfossi, lodando l’intelligenza e il sacrificio del popolo e condannando la viltà del clero e delle autorità dell’epoca. Le incisioni che accompagnano il racconto offrono un prezioso reportage visivo degli eventi, rendendo ancor più viva la memoria di quei giorni.
Chiusa la parentesi rivoluzionaria, Mazza si dedicò alla scrittura e all’illustrazione di un romanzo storico, “Il memoriale di fra’ Luca d’Avellino”, in due volumi stampati a Milano per i tipi di C. Wilmant (1850). Ambientato nella Napoli settecentesca, il romanzo narra la storia di Gabriele Stefani, giovane borghese che, superando numerose avversità, conquista la stima del re per il coraggio e la moralità, culminando tragicamente con la sua morte nella battaglia di Velletri (agosto 1744). Tale iniziativa rappresentò un personale contributo al dibattito sull’integrazione di elementi figurativi nei testi letterari, tentando di conciliare le intenzioni del narratore con la loro traduzione in immagini.
Nell’anno di pubblicazione del romanzo, Mazza riprese a esporre a Brera, e nel quinquennio 1850–1854 presentò ben 28 dipinti, molti dei quali commissionati dalle famiglie Cagnola e Litta. Tra questi spiccano “I bravi alla Malanotte”, ispirato dai Promessi sposi (1854), e due paesaggi montani, “Un uragano sull’Appennino” e “La caduta del sole”. Nel 1856 ottenne il premio Mylius con il dipinto “Una mandria in riposo”, riconoscimento che sancì la sua affermazione nel panorama artistico milanese.
Con il tempo, Mazza decise di ridurre la produzione di scene di genere, orientandosi maggiormente verso la pittura di paesaggi e di animali di medie e piccole dimensioni, un ambito che incontrò il favore della borghesia imprenditoriale ambrosiana. Le opere esposte a Brera tra il 1857 e il 1884, pur oggi rintracciabili solo in parte, testimoniano una produzione in linea con quella di alcuni suoi contemporanei, come F. Inganni. Tra i lavori conservati si ricordano i paesaggi “La Grigna” (1860) e “A Mandello”, oltre a “La sorte di un compagno” (1879), che ritrae l’interno di una stalla abitata da una giovane contadina e dal bestiame. Dal genere animalista si distinguono “Animali all’abbeveratoio” (conservato alla Pinacoteca di Brera) e “Orgoglio e umiltà” (nella Galleria d’arte moderna). Le opere pastorali, che gli valsero maggiori riconoscimenti, comprendono “La sentinella morta” – celebrato per lo studio dal vero degli animali e l’intensità poetica – “La stalla di un albergo”, premiata all’Esposizione nazionale di Firenze del 1861, e altri lavori come “Il pensieroso”, “Il maniscalco” e “Stalla rustica”, esposti alla Esposizione universale di Parigi del 1867.
Il metodo di lavoro di Mazza, che lo portava a dipingere en plein air a stretto contatto con la natura, è ben illustrato nei suoi scritti “Gite d’artista e studii dal vero: descrizioni e racconti”, pubblicati in due volumi a Milano nel 1872, in cui descrive le sue estese peregrinazioni nelle aree prealpine, alpine e appenniniche, seguendo una consuetudine comune ad altri paesaggisti lombardi.
Nel ventennio della sua piena maturità artistica, Mazza si distinse anche come disegnatore e vignettista al servizio di giornali satirici, fornendo caricature a periodici come “Lo Spirito folletto” e “Il Pungolo”, tra i principali mezzi di propaganda antiasburgica. Sotto la supervisione di R. Focosi, realizzò inoltre alcune illustrazioni per l’ambiziosa impresa in quattro volumi “I misteri del Vaticano” (o “La Roma dei papi”, 1861–64), una rilettura anticlericale e libertaria della storia della Chiesa. In veste di critico d’arte e polemista, Mazza fu membro del consiglio accademico di Brera e contribuì con recensioni e saggi culturali su riviste come “Il Pungolo”, “Panorama” e “La Lombardia”. Partecipò attivamente alla vita della Società degli artisti e patriottica di Milano, fu socio d’onore delle accademie artistiche di Mantova e Urbino e venne insignito della Corona d’Italia.
Salvatore Mazza morì a Milano il 24 ottobre 1886. Un ritratto giovanile, autografo del fratello Giuseppe, ne conserva la memoria presso il Centro nazionale di studi manzoniani della città.