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RICERCA LOTTI

Asta 61 - Dipinti selezionati XIX e XX secolo

dettaglio asta
  • Lotto 1  

    Giardino fiorito

    Giuseppe Pesa Giuseppe Pesa
    Polistena (RC) 1928 - 2000
    Olio su tela cm 18x24 firmato in basso a dx Giuseppe Pesa



    Giuseppe Pesa nacque a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, il 1° novembre 1928. Fin da giovanissimo manifestò una naturale inclinazione per il disegno e la pittura, frequentando corsi d’arte a Napoli e a Roma nei primi anni della sua formazione.
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    Nel 1946 tenne la sua prima mostra personale a Reggio Calabria, e tre anni dopo, nel 1949, espose a Roma, segnando l’inizio di una carriera artistica che avrebbe presto varcato i confini nazionali. Durante gli anni Cinquanta la sua presenza si consolidò anche all’estero: nel 1952 espose a Stoccolma e Oslo, nel 1954 nuovamente a Stoccolma e a Helsinki, nel 1957 a Milano e Torino, nel 1958 a Genova e Gallarate, e nel 1959 a Londra.

    Con il passare degli anni Pesa trovò in Liguria — in particolare nella località di Camogli — una sorta di seconda patria. Qui visse a lungo, traendo ispirazione dal paesaggio marino, dalle case colorate a picco sul mare, dalle barche ormeggiate e dai riflessi cangianti della luce mediterranea. La sua pittura, caratterizzata da una luminosità intensa e da una tavolozza vibrante, rivelava una sensibilità capace di fondere il realismo del paesaggio tradizionale con una visione più istintiva e immediata della vita quotidiana. Le figure umane inserite nei panorami costieri, le architetture affacciate sull’acqua e gli scorci urbani diventavano, nelle sue tele, strumenti per esprimere armonia e sentimento.

    Sul piano stilistico, Pesa mantenne una figurazione riconoscibile, fedele a una pittura di luce e colore, senza aderire alle avanguardie più radicali. Le sue opere privilegiano la limpidezza cromatica e la costruzione equilibrata della composizione, con un linguaggio che predilige la poesia del quotidiano e la vibrazione emotiva delle cose semplici.

    Numerose sue opere figurano oggi in collezioni private e in aste internazionali, dove il suo nome è citato tra gli artisti del secondo dopoguerra italiano. La documentazione biografica su di lui rimane tuttavia frammentaria, e persino la data della sua morte è oggetto di incertezza: alcune fonti indicano il 1992, altre il 20 maggio 2000, nella sua città natale di Polistena. Ciò che rimane certo è il valore di un artista che, attraverso la luce e il colore, seppe raccontare con autenticità il respiro del Mediterraneo e la malinconica bellezza della vita semplice. Giuseppe Pesa nacque a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, il 1° novembre 1928. Fin da giovanissimo manifestò una naturale inclinazione per il disegno e la pittura, frequentando corsi d’arte a Napoli e a Roma nei primi anni della sua formazione.

    Nel 1946 tenne la sua prima mostra personale a Reggio Calabria, e tre anni dopo, nel 1949, espose a Roma, segnando l’inizio di una carriera artistica che avrebbe presto varcato i confini nazionali. Durante gli anni Cinquanta la sua presenza si consolidò anche all’estero: nel 1952 espose a Stoccolma e Oslo, nel 1954 nuovamente a Stoccolma e a Helsinki, nel 1957 a Milano e Torino, nel 1958 a Genova e Gallarate, e nel 1959 a Londra.

    Con il passare degli anni Pesa trovò in Liguria — in particolare nella località di Camogli — una sorta di seconda patria. Qui visse a lungo, traendo ispirazione dal paesaggio marino, dalle case colorate a picco sul mare, dalle barche ormeggiate e dai riflessi cangianti della luce mediterranea. La sua pittura, caratterizzata da una luminosità intensa e da una tavolozza vibrante, rivelava una sensibilità capace di fondere il realismo del paesaggio tradizionale con una visione più istintiva e immediata della vita quotidiana. Le figure umane inserite nei panorami costieri, le architetture affacciate sull’acqua e gli scorci urbani diventavano, nelle sue tele, strumenti per esprimere armonia e sentimento.

    Sul piano stilistico, Pesa mantenne una figurazione riconoscibile, fedele a una pittura di luce e colore, senza aderire alle avanguardie più radicali. Le sue opere privilegiano la limpidezza cromatica e la costruzione equilibrata della composizione, con un linguaggio che predilige la poesia del quotidiano e la vibrazione emotiva delle cose semplici.

    Numerose sue opere figurano oggi in collezioni private e in aste internazionali, dove il suo nome è citato tra gli artisti del secondo dopoguerra italiano. La documentazione biografica su di lui rimane tuttavia frammentaria, e persino la data della sua morte è oggetto di incertezza: alcune fonti indicano il 1992, altre il 20 maggio 2000, nella sua città natale di Polistena. Ciò che rimane certo è il valore di un artista che, attraverso la luce e il colore, seppe raccontare con autenticità il respiro del Mediterraneo e la malinconica bellezza della vita semplice.

    STIMA:
    min € 400 - max € 500
    Base Asta:
    € 100

  • Lotto 2  

    Strada d'inverno

    Egidio Tonti Egidio Tonti
    Presicce (LE) 1887 - 1922
    Olio su tavola cm 21x31 firmato in basso a dx E.Tonti

    Egidio Tonti nacque nel 1887 a Presicce, un piccolo borgo del Salento, in provincia di Lecce. Fin da giovane mostrò una naturale inclinazione per l'arte, che lo spinse a trasferirsi nel 1905 a Napoli.
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    Qui ebbe l’opportunità di formarsi nello studio di Giuseppe Casciaro, maestro apprezzato per i suoi paesaggi, da cui apprese la padronanza del colore e la sensibilità per le atmosfere naturali.

    Dopo l’esperienza napoletana, nel 1907 Tonti si stabilì a Firenze, dove aprì un proprio studio e si immerse nell’ambiente culturale della città. La sua carriera fu interrotta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, alla quale partecipò come soldato. Terminato il conflitto, riprese a dipingere ed esporre, presentando le sue opere in mostre personali a Firenze, Roma, Bruxelles e Bari.

    La sua pittura, improntata a un verismo delicato, si distingue per l’uso di ampie pennellate e una tavolozza raffinata, capace di cogliere la poesia delle vedute urbane e dei paesaggi. Tra i suoi soggetti preferiti si annoverano scorci veneziani, canali silenziosi e atmosfere sospese, interpretati con grande sensibilità luministica.

    Nel 1922 Tonti emigrò negli Stati Uniti, continuando la sua attività di pittore. Da quel momento le notizie su di lui si fanno più rade, sebbene alcune fonti riportino una sua presenza a Roma negli anni Cinquanta.

    STIMA:
    min € 700 - max € 800
    Base Asta:
    € 250

  • Emilio Notte Emilio Notte
    Ceglie Messapica 1891 - Napoli 1982
    Olio su tavola cm 33x25 firmato in alto a dx E.Notte
    Esposto alla Biennale di Venezia del 1912.



    Emilio Notte nacque a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, il 30 gennaio 1891, da genitori veneti. In seguito ai trasferimenti dovuti all’impiego del padre, la famiglia si spostò in varie località del Sud Italia, esperienze che segnarono la sua formazione giovanile e la sua sensibilità artistica.
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    Dopo aver studiato dapprima nel ginnasio locale, si trasferì a Napoli e poi a Firenze, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti e si formò alla scuola di maestri come Adolfo De Carolis e, indirettamente, Giovanni Fattori.

    Già durante gli anni di formazione emergente Notte manifestò un talento precoce: in età ancora molto giovane partecipò a importanti esposizioni e venne a contatto con l’ambiente delle avanguardie italiane. A Firenze trovò amicizie decisive — con scrittori, poeti e artisti legati all’ambiente de “La Giovine Etruria” — e fu introdotto al mondo futurista dalla cerchia di figure come Ardengo Soffici.

    Tra il 1914 e il 1918 Notte aderì formalmente al movimento futurista, anche se con una visione personale rispetto ai temi dominanti dell’epoca: pur partecipando al dinamismo plastico tipico del movimento, coltivò un’attenzione autentica per la figura, per la sofferenza umana e per la rappresentazione della vita quotidiana, anziché per la mera celebrazione della macchina o del progresso tecnico. Durante la Prima guerra mondiale prestò servizio sul fronte, dove rimase ferito, e ciò influenzò profondamente la sua pittura post-bellica.

    Nel corso degli anni Venti il suo stile conobbe una svolta: Notte progressivamente si allontanò dalle forme più radicali dell’avanguardia per avvicinarsi a un “ritorno all’ordine”, dialogando con la pittura rinascimentale, con la tradizione veneta e con un realismo magico sottile. Nel 1923 vinse un concorso per una cattedra presso il Liceo Artistico di Venezia, iniziando una lunga carriera didattica che lo vide insegnante a Roma e poi, dalla fine degli anni Venti, all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Qui, pur in un contesto spesso ostile e critico, svolse un ruolo importante nella diffusione della pittura moderna nel Meridione, influenzando generazioni di allievi.

    Durante gli anni Trenta e Quaranta la sua opera continuò a esplorare tematiche di impegno civile — come il lavoro, la guerra, la condizione umana — con un linguaggio pittorico sempre più personale e meditativo. Le sue composizioni grandi, intense e a volte allegoriche, testimoniano una profonda riflessione sul tempo, sul destino, sul sociale. Dagli anni Cinque alla fine della sua vita, Notte intraprese ulteriori percorsi di sperimentazione: la serie dei «neri» ispirata alle isole Eolie, la successiva serie dei «bianchi» con motivi simbolici-ermetici, e addirittura lavori che guardano allo spazio e all’astrofuturismo, segno della sua capacità di restare aperto alle trasformazioni culturali.

    Emilio Notte morì a Napoli il 7 luglio 1982, lasciando un’eredità artistica che attraversa il futurismo, il ritorno all’ordine, la riflessione sul contemporaneo e, infine, una sorta di poesia visiva unica nel panorama italiano del Novecento.

    STIMA:
    min € 2000 - max € 2500
    Base Asta:
    € 800

  • Lotto 4  

    In campagna

    Attribuito a Federico Rossano Attribuito a Federico Rossano
    Napoli 1835 - 1912
    Olio su tela cm 78x64 firmato in basso a dx A.R.



    Federico Rossano nacque a Napoli il 31 agosto 1835, da Vincenzo e Elisabetta. Fin da giovane si iscrisse al Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, inizialmente per frequentare la scuola di architettura, ma ben presto indirizzò il suo interesse verso la pittura, contro la volontà paterna.
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    Durante la sua formazione venne influenzato da maestri quali Giacinto Gigante e Filippo Palizzi, figure di spicco del paesaggismo napoletano, e coltivò una vocazione al paesaggio che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Nei primi anni Sessanta partecipò a importanti esposizioni in Italia, entrando in contatto con un ambiente pittorico in fermento.

    Intorno al 1858 si trasferì a Portici (o comunque alla zona della Villa Favorita nei pressi di Napoli) dove si aggregò, insieme ad artisti come Marco De Gregorio, Giuseppe De Nittis e Adriano Cecioni, al gruppo che passò alla storia come la cosiddetta “Scuola di Resìna”. In questo contesto Rossano partecipò all’elaborazione di un’idea di paesaggio più reale, spontanea e “per macchie”, denunciando l’eccessiva finitura e accademismo della pittura tradizionale.

    Nel 1872 prese parte all’Esposizione di belle arti di Milano; un anno dopo vinse una medaglia di seconda classe all’Esposizione universale di Vienna. A partire dalla metà degli anni Settanta si trasferì a Parigi, grazie anche all’invito di De Nittis, dove rimase per circa vent’anni. In Francia ampliò i suoi orizzonti pittorici: si fece influenzare dalla pittura della scuola di Barbizon e dall’impressionismo nascente, pur mantenendo un approccio personale e non del tutto imitatore. I suoi paesaggi parigini e delle campagne francesi sono caratterizzati da una resa luminosa e atmosferica, dove la natura sembra avvolta da una luce sognante piuttosto che descritta in modo minuzioso.

    Nel 1880 sposò Zélie Brocheton, figlia di un notaio di Soissons, stabilendo così un legame affettivo e personale che lo ancorò alla Francia. Tuttavia, dopo circa vent’anni di permanenza parigina, Rossano fece ritorno in Italia intorno al 1893, stabilendosi a Portici e successivamente a Napoli. Qui ottenne, per interessamento del pittore Domenico Morelli, la cattedra di paesaggio alla Regia Accademia di Belle Arti di Napoli, incarico che ricoprì con continuità. Partecipò anche a manifestazioni come la Biennale di Venezia (nel 1899, 1905, 1910).

    Artisticamente, Rossano si distingue per la sua fusione tra realismo verista e sensibilità luministica. Le sue opere paesaggistiche non puntano alla mera cronaca ma a cogliere l’atmosfera: la luce che pervade un campo, i riflessi sull’acqua, il taglio del cielo al tramonto. Pur dentro l’orizzonte della Scuola di Resìna, Rossano non aderì alla vita mondana o urbana con l’intensità dei suoi contemporanei: la sua scelta fu più contemplativa, legata alla natura e all’ambiente più quieto.

    Federico Rossano morì a Napoli il 15 maggio 1912.

    STIMA:
    min € 2000 - max € 2500
    Base Asta:
    € 500

  • Lotto 5  

    Ritratto di fanciulla

    Vincenzo Irolli Vincenzo Irolli
    Napoli 1860-1949
    Olio su tavola cm 16,5x15 firmato in basso a dx V.Irolli

    Nato a Napoli il 30 settembre 1860, l'artista studiò presso l'Istituto di Belle Arti di Napoli tra il 1877 e il 1880, avendo come maestri G. Toma, F.
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    Maldarelli e lo scultore S. Lista. Fu profondamente influenzato dalle opere di F. P. Michetti, A. D'Orsi e A. Mancini viste all'Esposizione Nazionale di Napoli nel 1877. Debuttò alla XV Mostra della Società Promotrice di Napoli nel 1879 con "Felice rimembranza", vincendo il primo premio.

    Negli anni successivi, espose varie opere di ispirazione storica e ritratti, come "Sesto Tarquinio" e "L'attentato all'onore di Lucrezia". Il suo ritratto di Francesco Netti del 1884 esemplifica la sua abilità nel catturare il carattere e l'individualità delle figure. Tra il 1880 e il 1883, durante il servizio militare a Pavia, continuò a dipingere, realizzando opere come "Povera madre".

    Tornato a Napoli, frequentò artisti come Michetti e Sartorio e partecipò a varie esposizioni, ottenendo riconoscimenti per opere come "Amore e dovere" e "Maddalena moderna". Tra il 1889 e il 1890, partecipò alla decorazione della birreria Gambrinus di Napoli. Verso la fine degli anni '80, si dedicò al "secondo realismo", specializzandosi in scene di vita domestica e realismo popolare, influenzato da artisti come A. Cefaly e F. Palizzi.

    Le sue opere descrivono spesso interni rustici e scene familiari, come "Focolare domestico", "Il bacio della mamma" e "Bella lavandaia", esibendo una tecnica pittorica vivace e dettagliata. Le sue pitture di genere riscossero successo nei mercati internazionali di Parigi, Londra e Berlino, sebbene l'artista stesso considerasse quel periodo come uno dei più gravosi della sua vita, dovendo produrre opere accattivanti per motivi economici.

    Nel corso del Novecento, il suo stile divenne più fluido e rapido, con composizioni all'aperto e scene cittadine. Partecipò a numerose esposizioni nazionali e internazionali, ricevendo riconoscimenti per opere come "Primavera", "La prediletta", "Sogno primaverile" e "Spannocchiatrici". Le sue ultime partecipazioni espositive risalgono agli anni '30 e '40, culminando con la sua presenza alla I Annuale Nazionale del 1948 a Cava de' Tirreni.

    STIMA:
    min € 1800 - max € 2000
    Base Asta:
    € 600

  • Lotto 6  

    In preghiera

    Salvatore Balsamo Salvatore Balsamo
    Napoli 1894 - 1922
    Olio su tela cm 75,5x88 firmato in basso a dx S.Balsamo



    Salvatore Balsamo nacque a Napoli nel 1894 e vi morì nel 1922, a soli 28 anni. Durante la sua breve esistenza riuscì comunque a distinguersi come pittore partenopeo dalla mano vigorosa e dalla tavolozza corposa.
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    Formatosi nella città natale, fu allievo di importanti maestri della pittura napoletana come Vincenzo Irolli, Giuseppe Casciaro e Eugenio Scorzelli, che gli trasmisero la sensibilità per il paesaggio e la luce mediterranea.

    La produzione di Balsamo si concentra principalmente su vedute e scene di vita napoletana, con predilezione per il Golfo, il lungomare, la marina e gli scorci popolari che evocano l’atmosfera vivace della città. Nel suo repertorio compaiono anche figure, contadine o ordinarie, immerse in ambienti che raccontano la quotidianità più che la grandezza eroica.

    Stile e linguaggio del pittore evidenziano un gusto per la pittura «per macchie», con pennellate energiche e una resa della luce che tende al tonale e all’atmosferico. L’influenza del maestro Casciaro è percepibile nella ricerca di coloriti brillanti, mentre l’immediatezza della scena e la scelta di soggetti familiari richiamano l’ambiente verista-napoletano.

    La sua carriera, pur breve, ha lasciato tracce in collezioni e mercati d’arte: alcune sue opere sono riconosciute per la loro qualità e ricercatezza sul mercato, soprattutto le vedute ambientate a Napoli, che ne sottolineano la capacità di cogliere con spontaneità e forza cromatica il paesaggio urbano e marino del capoluogo campano.

    La cesura della sua vita prematura ha probabilmente impedito un’evoluzione più ampia del suo linguaggio artistico; tuttavia, ciò che resta del suo lavoro testimonia l’esistenza di un talento autentico, intimamente legato al contesto partenopeo e capace di tradurlo in pittura con vigore e sincerità.

    In definitiva, Salvatore Balsamo si pone come un interprete della Napoli del primo Novecento, con uno sguardo diretto e una pittura che privilegia il tono, la luce e la sensibilità locale più che le avanguardie. Anche se la sua produzione è limitata per via della breve vita, il suo contributo alla pittura di paesaggio campana rappresenta un piccolo ma significativo tassello del panorama artistico napoletano del suo tempo.

    STIMA:
    min € 1500 - max € 1800
    Base Asta:
    € 600

  • Lotto 7  

    Scena familiare

    Nicola Biondi Nicola Biondi
    Capua (CE) 1866 - Napoli 1929
    Olio su tela cm 40x46,5 firmato in basso a dx N.Biondi



    Nicola Biondi nacque a Capua il 7 ottobre 1866 e si spense a Napoli il 25 novembre 1929. Allievo dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, frequentò inizialmente la scuola guida di Antonio Licata per poi trasferirsi nella classe di Gioacchino Toma, entrando così in contatto con la tradizione pittorica partenopea e con una formazione solida dal punto di vista tecnico.
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    Ben presto Biondi si cimentò nella pittura di figure, scene di genere e ritratti ambientati in contesti quotidiani: tra i suoi soggetti ricorrenti troviamo contadini, figure in abiti semplici, momenti di vita domestica. La sua produzione risente dei fermenti artistici dell’Ottocento italiano, senza tuttavia aderire a sperimentalismi radicali: privilegia una resa nitida della figura, una tavolozza equilibrata e una composizione che mira a cogliere con immediatezza la realtà che lo circonda.

    Tra le opere più note si cita “Una partita a carte”, presentata alla Promotrice di Napoli, che ben esemplifica l’interesse dell’artista per il quotidiano e per il racconto pittorico nella chiave della scena intima. Le esposizioni cui partecipò costantemente testimoniano una carriera regolare: dal 1883 al 1911 prese parte con continuità alle mostre della Promotrice “Salvator Rosa” a Napoli, e più avanti alla Società degli Artisti Italiani a Firenze e ad altre manifestazioni nazionali ed internazionali.

    Stile e linguaggio di Biondi mostrano un’artista che, pur inserito in una tradizione regionale, seppe accostarsi con fiducia al mercato artistico e alle esigenze dell’epoca. Non fu un innovatore nella forma, ma un pittore sensibile alla luce, all’atmosfera, al carattere umano: nelle sue tele, la figura emerge con dignità, e la scena spesso semplice — acquista pregnanza tramite pennellate calibrate e attenzione al colore.

    Nel corso della carriera Biondi attrasse l’interesse del collezionismo: numerose sue opere sono comparsi sul mercato d’arte e continuano a circolare in aste e mostre; questo testimonia la persistenza del suo nome e dell’apprezzamento per una pittura che unisce mestiere e senso narrativo.

    In sintesi, Nicola Biondi rappresenta un interprete della pittura di genere italiana tra Ottocento e Novecento: ancorato al Sud, alla formazione partenopea, ma aperto al mondo della mostra e del mercato, riuscì a dar voce con sincerità e misura ad un repertorio di figure, momenti quotidiani e ambientazioni tranquille, con un tocco che valorizzava la verità della scena senza rinunciare alla qualità pittorica.

    STIMA:
    min € 1800 - max € 2000
    Base Asta:
    € 600

  • Lotto 8  

    Venezia

    Marcello Iras Baldessari Marcello Iras Baldessari
    Innsbruck 1894 - Roma 1965
    Olio su tela cm 50x70 firmato in basso a dx Baldessari



    Roberto Marcello Iras Baldessari nacque il 23 marzo 1894 a Innsbruck, ma la sua famiglia si trasferì subito a Rovereto (Trentino), dove egli visse l’infanzia e gli anni giovanili. Frequentò gli studi presso la Scuola Reale Elisabettina di Rovereto e poi intraprese la formazione artistica all’Accademia di Belle Arti di Venezia dal 1908 al 1914, accrescendo le competenze tecniche e maturando contatti con le avanguardie del tempo.
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    Durante la prima guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi, Baldessari aderì con entusiasmo al movimento futurista: si trasferì a Firenze nel 1915, entrò in contatto con le riviste e le correnti del futurismo e realizzò incisioni, oli e disegni dove la velocità, il dinamismo delle macchine e la fusione tra figura e ambiente divennero temi centrali. L’esperienza della guerra e gli spostamenti contribuirono a dare un segno forte alla sua sensibilità, che pur aperta alle sperimentazioni non dimenticò un richiamo al paesaggio e alla sua terra d’origine.

    Nel corso degli anni venti Baldessari soggiornò in vari Paesi europei (Francia, Spagna, Svizzera) e visse una fase di intensa sperimentazione che lo portò ad avvicinarsi al dadaismo e all’astrattismo. In questo periodo assunse anche il nome «Iras», pseudonimo con cui volle distinguersi da altri artisti Baldessari e che rappresenta la sua volontà di autonomia creativa. Dal 1936 si stabilì definitivamente a Rovereto, dove continuò a operare affiancando l’attività pittorica a quella incisoria.

    Il linguaggio di Baldessari si distingue per la coesistenza tra la lezione futurista — con i suoi versi di movimento, linee spezzate, colori intensi — e un amore per la natura, per il paesaggio alpino e urbano del Trentino e del Nord Italia. Le sue opere mostrano una tensione tra meccanismo e natura, tra la modernità tecnologica e il richiamo alla terra, restituendo un universo visivo dove la luce, la linea e la materia dialogano con forza.

    Roberto Marcello Iras Baldessari morì a Roma il 22 giugno 1965, lasciando un’eredità artistica che oggi è oggetto di studi e di mostre retrospettive, testimone di un percorso che attraversa alcune delle principali correnti del XX secolo in Italia senza perdere mai una cifra individuale e autentica.

    STIMA:
    min € 2000 - max € 2500
    Base Asta:
    € 700

  • Augusto Rey Augusto Rey
    Alessandria d'Egitto 1864 - Livorno 1898
    Olio su cartone cm 24x32,5 firmato in basso a dx A.Rey

    Augusto Rey nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1837. Trasferitosi in giovane età a Livorno, studiò nello studio del pittore Betti.
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    Successivamente si trasferì a Firenze, dove si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti, frequentando anche gli studi di artisti come Lega e i Tommasi. Durante la sua formazione, entrò in contatto con i principali esponenti del movimento macchiaiolo, tra cui Silvestro Lega, Giovanni Fattori e Telemaco Signorini.

    Nel 1895, Augusto Rey costruì una villa a Crespina, chiamata "La Favorita", situata di fronte alla villa della donna che amava. La villa divenne un punto di ritrovo per gli artisti dell'epoca, che spesso vi soggiornavano. Rey era noto per la sua abilità nel dipingere paesaggi dal vero, unendosi così alla corrente macchiaiola. La sua produzione artistica è relativamente scarsa, e alcune sue opere sono state erroneamente attribuite ad altri artisti più noti.

    Una delle sue opere più significative, "La raccolta delle olive", è conservata nel Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno. Questo dipinto, che rappresenta contadine al lavoro in un oliveto, è stato donato al museo nel 1899 per lascito testamentario dell'artista.
    Museo Civico Giovanni Fattori - Livorno

    Augusto Rey morì nel 1898.

    STIMA:
    min € 1800 - max € 2000
    Base Asta:
    € 600

  • Lotto 10  

    Scena familiare 1937

    Cafiero Filippelli Cafiero Filippelli
    Livorno 1889 - 1973
    Olio su tavola cm 50x60 firmato in basso a sx C.Filippelli



    Cafiero Filippelli nacque a Livorno il 4 dicembre 1889 e vi morì nel febbraio del 1973. Appartenente al vivace panorama artistico della città labronica, formò la propria sensibilità pittorica entrando in contatto con la Scuola di Livorno e con gli ambienti toscani della fine dell’Ottocento e del primo Novecento.
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    Compì gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove incontrò maestri come Giovanni Fattori e Galileo Chini, grazie ai quali poté assorbire tanto l’eredità della macchia marinara quanto le suggestioni liberty.

    Allievo dello scultore Lorenzo Gori e dell’acquarellista Lorenzo Cecchi, Filippelli sviluppò un linguaggio che si colloca tra la tradizione post-macchiaiola e un più moderno senso dell’intimità domestica. È noto soprattutto per le sue “scene di interno” – ambienti familiari e quotidiani illuminati da luci artificiali, come lampade o candele, in cui l’illuminazione gioca un ruolo centrale nella resa atmosferica. Accanto a questi soggetti più raccolti, Filippelli dimostrò anche dimestichezza con la pittura en plein air, realizzando marine, paesaggi e figure femminili immerse nel panorama costiero o urbano di Livorno e dintorni.

    Nel corso della sua carriera partecipò a numerose esposizioni fra cui diverse edizioni della Biennale di Venezia e della Quadriennale di Roma, consolidando la sua presenza nel circuito dell’arte italiana del XX secolo. Filippelli fu inoltre membro del Gruppo Labronico, importante associazione di artisti livornesi che operava negli anni d’oro della città. La sua opera conobbe ampia diffusione sul mercato dell’arte, in particolare grazie al riconoscimento delle sue vedute e degli interni familiari, benché a partire dagli anni Cinquanta la sua produzione e la sua quotazione abbiano subito una graduale flessione.

    Dal punto di vista stilistico, Filippelli si distingue per un saldo mestiere pittorico, una tavolozza calibrata e una luce intimista che conferisce alle sue composizioni un tono raccolto, quasi meditativo. Le figure, quando presenti, paiono assorte in gesti quotidiani: un padre che legge, una madre che veglia sul bimbo, una famiglia riunita attorno al focolare. Non mancano tuttavia i soggetti più “esteriori” come vedute marine, barche ormeggiate, momenti di vita sul lungomare di Ardenza o in altri scorci livornesi, in cui l’artista sa tradurre la brezza, il riflesso dell’acqua, la luce della sera.

    Cafiero Filippelli rimane oggi un interprete significativo del gusto sostenuto della Livorno del suo tempo: un pittore che, pur non spingendosi verso le sperimentazioni radicali, seppe cogliere con sincerità e sensibilità il mondo che lo circondava – la famiglia, la casa, il mare, la luce – e tradurlo in immagini di intima verità.

    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 900

  • Lotto 11  

    Giornata di sole 1898

    Luigi Bertelli Luigi Bertelli
    Firenze 1860 - Firenze 1920
    Olio su tavola cm 25x19,5 firmato in basso a sx L.Bertelli



    Luigi Bertelli nacque a Caselle, frazione di San Lazzaro di Savena (Bologna) nei pressi dell’Appennino emiliano, il 19 dicembre 1833 (alcune fonti riportano il 27 dicembre 1832). Figlio di una famiglia contadina e legata al mondo della fornace, Bertelli crebbe in un ambiente semplice ma animato da una sorprendente sensibilità verso la natura e il paesaggio.
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    Autodidatta, in assenza di una formazione accademica - o perlomeno senza che questa fosse preponderante - sviluppò fin da giovane una passione per la pittura, soprattutto per il paesaggio: le terre emiliane, le colline, le cave di gesso e le campagne attorno a Bologna divennero per lui materia viva da osservare e tradurre in pittura.

    Nel 1861 partecipò all’Esposizione italiana di Firenze, e ben presto si affacciò al panorama espositivo nazionale. Un viaggio a Parigi nel 1867, in occasione dell’Esposizione universale, si rivelò decisivo per la sua sensibilità: qui entrò in contatto con l’arte dei paesaggisti francesi, con la Scuola di Barbizon e con artisti quali Jean‑Francois Millet, Jean‑Baptiste‑Camille Corot e Gustave Courbet, trovando uno slancio – pur rielaborato – verso una pittura più autentica e meno convenzionalmente accademica. Tornato in Emilia, si dedicò con costanza a dipingere all’aperto: la campagna, i boschi, i calanchi e le cave divennero soggetti ricorrenti, nei quali emergeva una ricerca della “verità” della natura, della materia, della luce e del silenzio più che della mera descrizione.

    Durante gli anni maturi la sua opera si fece riconoscere per una personale visione: la densità della materia pittorica, l’attenzione al colore e alla luce, la resa spesso meditativa e solitaria della natura sono tratti che lo distinguono. Le cosiddette “Cave di Monte Donato” rappresentano un momento significativo della sua ricerca: in quelle ambientazioni scavate, deserte e cangianti alla luce lucida dell’Appennino, Bertelli dipinse, con piglio quasi ascetico, la natura come luogo interiore. La sua pittura evitava le mode di superficie o l’effetto spettacolare a favore di un linguaggio più misurato e sincero.

    Partecipò a numerose mostre: a Firenze, Torino, Parma, Milano, Roma e Bologna. Tuttavia, nonostante il suo impegno, visse spesso in condizioni economiche modeste e non sempre ottenne il riconoscimento che a posteriori la critica gli attribuì. Morì a Bologna nel 1916Luigi Bertelli nacque a Caselle, frazione di San Lazzaro di Savena (Bologna) nei pressi dell’Appennino emiliano, il 19 dicembre 1833 (alcune fonti riportano il 27 dicembre 1832). Figlio di una famiglia contadina e legata al mondo della fornace, Bertelli crebbe in un ambiente semplice ma animato da una sorprendente sensibilità verso la natura e il paesaggio. Autodidatta, in assenza di una formazione accademica - o perlomeno senza che questa fosse preponderante - sviluppò fin da giovane una passione per la pittura, soprattutto per il paesaggio: le terre emiliane, le colline, le cave di gesso e le campagne attorno a Bologna divennero per lui materia viva da osservare e tradurre in pittura.

    Nel 1861 partecipò all’Esposizione italiana di Firenze, e ben presto si affacciò al panorama espositivo nazionale. Un viaggio a Parigi nel 1867, in occasione dell’Esposizione universale, si rivelò decisivo per la sua sensibilità: qui entrò in contatto con l’arte dei paesaggisti francesi, con la Scuola di Barbizon e con artisti quali Jean‑Francois Millet, Jean‑Baptiste‑Camille Corot e Gustave Courbet, trovando uno slancio – pur rielaborato – verso una pittura più autentica e meno convenzionalmente accademica. Tornato in Emilia, si dedicò con costanza a dipingere all’aperto: la campagna, i boschi, i calanchi e le cave divennero soggetti ricorrenti, nei quali emergeva una ricerca della “verità” della natura, della materia, della luce e del silenzio più che della mera descrizione.

    Durante gli anni maturi la sua opera si fece riconoscere per una personale visione: la densità della materia pittorica, l’attenzione al colore e alla luce, la resa spesso meditativa e solitaria della natura sono tratti che lo distinguono. Le cosiddette “Cave di Monte Donato” rappresentano un momento significativo della sua ricerca: in quelle ambientazioni scavate, deserte e cangianti alla luce lucida dell’Appennino, Bertelli dipinse, con piglio quasi ascetico, la natura come luogo interiore. La sua pittura evitava le mode di superficie o l’effetto spettacolare a favore di un linguaggio più misurato e sincero.

    Partecipò a numerose mostre: a Firenze, Torino, Parma, Milano, Roma e Bologna. Tuttavia, nonostante il suo impegno, visse spesso in condizioni economiche modeste e non sempre ottenne il riconoscimento che a posteriori la critica gli attribuì. Morì a Bologna nel 1916.

    STIMA:
    min € 1800 - max € 2000
    Base Asta:
    € 700

  • Lotto 12  

    Scogliera sul mare

    Giuseppe Ferdinando Piana Giuseppe Ferdinando Piana
    Bordighera 1864-1956
    Olio su tela cm 57x34 firmato in basso a dx G.Piana

    ​Giuseppe Ferdinando Piana nacque il 3 dicembre 1864 a Ceriana, un pittoresco borgo nell'entroterra di Sanremo, e morì il 29 aprile 1956 a Bordighera, cittadina costiera della Liguria. Fin da giovane, Piana mostrò una spiccata inclinazione per l'arte pittorica.
    Clicca per espandere

    Durante uno dei suoi soggiorni a Bordighera, il celebre pittore Ernest Meissonier suggerì ai genitori di Giuseppe di avviarlo agli studi artistici. Nel 1882, Piana si trasferì a Torino per frequentare l'Accademia Albertina, dove fu allievo dei maestri Francesco Gamba e Andrea Gastaldi. ​
    Il suo debutto artistico avvenne a Torino con opere come "A ponente di Bordighera, campagna ligure" e "Politica rustica". Nel 1898, realizzò "Studio d'artista", un dipinto che attirò l'attenzione del governo, che lo acquisì. Nel 1903, Piana si trasferì a Sesto San Giovanni e partecipò all'Esposizione Permanente di Milano, presentando l'opera "Pace", che ricevette elogi dalla critica, in particolare da parte di Gaetano Previati. Sempre nel 1906, fu invitato alla Mostra Nazionale di Milano, dove espose "Cortile dei leoni in Granada", "La danza delle olive" e "Mare dopo la pioggia"; quest'ultime due opere furono acquistate dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano.

    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 900

  • Lotto 13  

    Natura morta

    Giuseppe Ferdinando Piana Giuseppe Ferdinando Piana
    Bordighera 1864-1956
    Olio su tavola cm 60x46 firmato in basso a sx G.Piana

    ​Giuseppe Ferdinando Piana nacque il 3 dicembre 1864 a Ceriana, un pittoresco borgo nell'entroterra di Sanremo, e morì il 29 aprile 1956 a Bordighera, cittadina costiera della Liguria. Fin da giovane, Piana mostrò una spiccata inclinazione per l'arte pittorica.
    Clicca per espandere

    Durante uno dei suoi soggiorni a Bordighera, il celebre pittore Ernest Meissonier suggerì ai genitori di Giuseppe di avviarlo agli studi artistici. Nel 1882, Piana si trasferì a Torino per frequentare l'Accademia Albertina, dove fu allievo dei maestri Francesco Gamba e Andrea Gastaldi. ​
    Il suo debutto artistico avvenne a Torino con opere come "A ponente di Bordighera, campagna ligure" e "Politica rustica". Nel 1898, realizzò "Studio d'artista", un dipinto che attirò l'attenzione del governo, che lo acquisì. Nel 1903, Piana si trasferì a Sesto San Giovanni e partecipò all'Esposizione Permanente di Milano, presentando l'opera "Pace", che ricevette elogi dalla critica, in particolare da parte di Gaetano Previati. Sempre nel 1906, fu invitato alla Mostra Nazionale di Milano, dove espose "Cortile dei leoni in Granada", "La danza delle olive" e "Mare dopo la pioggia"; quest'ultime due opere furono acquistate dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano.

    STIMA:
    min € 1800 - max € 2000
    Base Asta:
    € 800

  • Lotto 14  

    Sulla spiaggia

    Giuseppe Ferdinando Piana Giuseppe Ferdinando Piana
    Bordighera 1864-1956
    Olio su cartone cm 16,5x24 firmato in basso a sx G.Piana

    ​Giuseppe Ferdinando Piana nacque il 3 dicembre 1864 a Ceriana, un pittoresco borgo nell'entroterra di Sanremo, e morì il 29 aprile 1956 a Bordighera, cittadina costiera della Liguria. Fin da giovane, Piana mostrò una spiccata inclinazione per l'arte pittorica.
    Clicca per espandere

    Durante uno dei suoi soggiorni a Bordighera, il celebre pittore Ernest Meissonier suggerì ai genitori di Giuseppe di avviarlo agli studi artistici. Nel 1882, Piana si trasferì a Torino per frequentare l'Accademia Albertina, dove fu allievo dei maestri Francesco Gamba e Andrea Gastaldi. ​
    Il suo debutto artistico avvenne a Torino con opere come "A ponente di Bordighera, campagna ligure" e "Politica rustica". Nel 1898, realizzò "Studio d'artista", un dipinto che attirò l'attenzione del governo, che lo acquisì. Nel 1903, Piana si trasferì a Sesto San Giovanni e partecipò all'Esposizione Permanente di Milano, presentando l'opera "Pace", che ricevette elogi dalla critica, in particolare da parte di Gaetano Previati. Sempre nel 1906, fu invitato alla Mostra Nazionale di Milano, dove espose "Cortile dei leoni in Granada", "La danza delle olive" e "Mare dopo la pioggia"; quest'ultime due opere furono acquistate dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano.

    STIMA:
    min € 1200 - max € 1400
    Base Asta:
    € 600

  • Lotto 15  

    Lavorando nei campi

    Giuseppe Augusto Levis Giuseppe Augusto Levis
    Chiomonte (TO) 1873 - Racconigi ( CN) 1926
    Olio su tavola cm 44,5x31 firmato in basso a sx G.Levis



    Giuseppe Augusto Levis nacque a Chiomonte (in Val di Susa, Piemonte) nel 1873, da una famiglia di buone condizioni economiche: il padre era un impresario edile di origini biellesi, la madre una donna di famiglia agiata con proprietà nella valle. Dopo gli studi classici e alcuni anni iscritti alla facoltà di Giurisprudenza a Torino, Levis decise di dedicarsi alla pittura, appassionato della natura e del paesaggio alpino.
    Clicca per espandere



    Nel 1901 entrò a far parte della cerchia di allievi del pittore Lorenzo Delleani, dal quale apprese la pittura «dal vero», ossia fatta sul posto, lungo i boschi e le valli del Biellese e della Valle d’Aosta. Da quell’esperienza ereditò la capacità di cogliere la luce mutevole e i riflessi che animano gli ambienti naturali: pini, massi, ruscelli, atmosfere alpine.

    L’attività artistica di Levis si sviluppò in parallelo ­– e non separatamente – alla sua partecipazione alla vita pubblica: fu consigliere comunale nel suo paese, poi sindaco di Chiomonte, e mantenne cariche locali che testimoniano l’impegno civico dello stesso artista. Durante la Prima Guerra Mondiale partecipò volontario al Genio Ferrovieri, esperienza che lo segnò anche come uomo e come pittore.

    Nel suo lavoro pittorico gli anni ‘10 e ‘20 videro una produzione intensa: paesaggi montani, boschi carichi di luce, vallate inondati da sole o avvolti da nebbie, ma anche scene di vita contadina, processioni nelle valli alpine, momenti collettivi che s’immergono nel luogo. Lo stile di Levis è figurativo, radicato nella tradizione della pittura piemontese del paesaggio e dell’ambiente alpino, ma con una sensibilità personale che privilegia l’istantaneità della luce, la pennellata materica, la vibrazione cromatica. Non si trattava di una pittura di puro decoro, ma di una pittura che sente la natura, la vive, la interpreta.

    Sul piano tecnico, Levis usa tele e tavolette, segna spesso in basso la data precisa dell’esecuzione, e le sue composizioni mostrano una qualità «tattile»: la materia pittorica è visibile, le pennellate sono piene, il contorno non sempre raccolto al minimo dettaglio ma suggerito nella luce e nell’atmosfera. Il soggetto più ricorrente è il paesaggio montano: boschi, ruscelli, montagne, nevicate, accampamenti militari; secondo alcuni, anche aspetti della guerra stessa.

    Giuseppe Augusto Levis morì nel 1926 a RacconigiGiuseppe Augusto Levis nacque a Chiomonte (in Val di Susa, Piemonte) nel 1873, da una famiglia di buone condizioni economiche: il padre era un impresario edile di origini biellesi, la madre una donna di famiglia agiata con proprietà nella valle. Dopo gli studi classici e alcuni anni iscritti alla facoltà di Giurisprudenza a Torino, Levis decise di dedicarsi alla pittura, appassionato della natura e del paesaggio alpino.

    Nel 1901 entrò a far parte della cerchia di allievi del pittore Lorenzo Delleani, dal quale apprese la pittura «dal vero», ossia fatta sul posto, lungo i boschi e le valli del Biellese e della Valle d’Aosta. Da quell’esperienza ereditò la capacità di cogliere la luce mutevole e i riflessi che animano gli ambienti naturali: pini, massi, ruscelli, atmosfere alpine.

    L’attività artistica di Levis si sviluppò in parallelo ­– e non separatamente – alla sua partecipazione alla vita pubblica: fu consigliere comunale nel suo paese, poi sindaco di Chiomonte, e mantenne cariche locali che testimoniano l’impegno civico dello stesso artista. Durante la Prima Guerra Mondiale partecipò volontario al Genio Ferrovieri, esperienza che lo segnò anche come uomo e come pittore.

    Nel suo lavoro pittorico gli anni ‘10 e ‘20 videro una produzione intensa: paesaggi montani, boschi carichi di luce, vallate inondati da sole o avvolti da nebbie, ma anche scene di vita contadina, processioni nelle valli alpine, momenti collettivi che s’immergono nel luogo. Lo stile di Levis è figurativo, radicato nella tradizione della pittura piemontese del paesaggio e dell’ambiente alpino, ma con una sensibilità personale che privilegia l’istantaneità della luce, la pennellata materica, la vibrazione cromatica. Non si trattava di una pittura di puro decoro, ma di una pittura che sente la natura, la vive, la interpreta.

    Sul piano tecnico, Levis usa tele e tavolette, segna spesso in basso la data precisa dell’esecuzione, e le sue composizioni mostrano una qualità «tattile»: la materia pittorica è visibile, le pennellate sono piene, il contorno non sempre raccolto al minimo dettaglio ma suggerito nella luce e nell’atmosfera. Il soggetto più ricorrente è il paesaggio montano: boschi, ruscelli, montagne, nevicate, accampamenti militari; secondo alcuni, anche aspetti della guerra stessa.

    Giuseppe Augusto Levis morì nel 1926 a Racconigi.

    STIMA:
    min € 1800 - max € 2000
    Base Asta:
    € 700

  • Lotto 16  

    Scena di cortile

    Ernesto Pochintesta Ernesto Pochintesta
    Stradella 1840 - Torino 1892
    Olio su tela cm 37x45 firmato in basso a dx E.Pochintesta



    Ernesto Pochintesta nacque il 18 gennaio 1840 a Stradella (Pavia), in una famiglia di proprietari terrieri con origini nobiliari ferraresi. Sin da giovane mostrò una certa inclinazione per l’arte, pur avendo inizialmente intrapreso una carriera militare: partecipò alla Seconda guerra d’Indipendenza come sottotenente e successivamente servì nel 53º Reggimento di Fanteria “Umbria”.
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    Dopo il congedo dall’esercito intraprese la via della pittura, trasferendosi a Torino dove frequentò l’Accademia Albertina sotto la guida del pittore Antonio Fontanesi.

    Pochintesta si inserì nella corrente paesaggistica della seconda metà dell’Ottocento, dedicandosi quasi esclusivamente al paesaggio e alle vedute naturalistiche. Durante un soggiorno a Parigi nel 1875-77 ampliò i suoi orizzonti: espose al Salon del 1876 e 1877, venne in contatto con gli ambienti delle avanguardie e si interessò al paesaggismo francese, in particolare a figure come Camille Corot. Pur non riscuotendo in Francia il successo sperato, tornò in Italia verso il 1880 e si stabilì nuovamente a Torino, continuando a lavorare con costanza.

    Le sue opere – tra le quali “Rive del Po”, “Campagna ferrarese”, “A Issogne” – testimoniano un approccio realistico alla natura: Pochintesta predilige scenari fluviali, boschi, valli, carreggiate silenziose. La luce che pervade i suoi quadri è spesso morbida, il cielo carico di atmosfera, la scena vissuta più che idealizzata. Talvolta realizzò anche incisioni e acqueforti, pubblicate in Piemonte e Liguria, segno della sua versatilità.

    Nonostante la qualità della sua pittura, Pochintesta visse gli ultimi anni in condizioni economiche sempre più precarie a causa di investimenti infelici. Il 13 gennaio 1892 morì a Torino, meno di due settimane prima del suo 52º compleanno.

    STIMA:
    min € 1200 - max € 1400
    Base Asta:
    € 500

  • Lotto 17  

    Giornata di caccia

    Ernesto Pochintesta Ernesto Pochintesta
    Stradella 1840 - Torino 1892
    Olio su tela cm 37x45 firmato in basso a dx E.Pochintesta



    Ernesto Pochintesta nacque il 18 gennaio 1840 a Stradella (Pavia), in una famiglia di proprietari terrieri con origini nobiliari ferraresi. Sin da giovane mostrò una certa inclinazione per l’arte, pur avendo inizialmente intrapreso una carriera militare: partecipò alla Seconda guerra d’Indipendenza come sottotenente e successivamente servì nel 53º Reggimento di Fanteria “Umbria”.
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    Dopo il congedo dall’esercito intraprese la via della pittura, trasferendosi a Torino dove frequentò l’Accademia Albertina sotto la guida del pittore Antonio Fontanesi.

    Pochintesta si inserì nella corrente paesaggistica della seconda metà dell’Ottocento, dedicandosi quasi esclusivamente al paesaggio e alle vedute naturalistiche. Durante un soggiorno a Parigi nel 1875-77 ampliò i suoi orizzonti: espose al Salon del 1876 e 1877, venne in contatto con gli ambienti delle avanguardie e si interessò al paesaggismo francese, in particolare a figure come Camille Corot. Pur non riscuotendo in Francia il successo sperato, tornò in Italia verso il 1880 e si stabilì nuovamente a Torino, continuando a lavorare con costanza.

    Le sue opere – tra le quali “Rive del Po”, “Campagna ferrarese”, “A Issogne” – testimoniano un approccio realistico alla natura: Pochintesta predilige scenari fluviali, boschi, valli, carreggiate silenziose. La luce che pervade i suoi quadri è spesso morbida, il cielo carico di atmosfera, la scena vissuta più che idealizzata. Talvolta realizzò anche incisioni e acqueforti, pubblicate in Piemonte e Liguria, segno della sua versatilità.

    Nonostante la qualità della sua pittura, Pochintesta visse gli ultimi anni in condizioni economiche sempre più precarie a causa di investimenti infelici. Il 13 gennaio 1892 morì a Torino, meno di due settimane prima del suo 52º compleanno.

    STIMA:
    min € 1200 - max € 1400
    Base Asta:
    € 500

  • Lotto 18  

    Ultime luci del giorno

    Carlo Vittori Carlo Vittori
    Cremona 1881 - 1943
    Olio su cartone cm 34x44,5 firmato in basso a dx C.Vittori



    Carlo Vittori nacque a Cremona nel 1881 e vi morì nel 1943. La sua vita e la sua opera restano legate in modo profondo alla terra lombarda, ai paesaggi del Po e alla vita silenziosa della campagna padana, che rappresentò con sensibilità e fedeltà poetica.
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    Fin dagli inizi mostrò un talento naturale per il disegno e la pittura, che lo condussero a dedicarsi soprattutto al paesaggio e alle scene rurali. I soggetti più ricorrenti nelle sue opere sono le rive dei fiumi, i mulini, le case contadine, gli argini immersi nella nebbia o nella luce dorata del tramonto. Vittori fu un osservatore attento del mondo che lo circondava: nelle sue tele la natura non è sfondo, ma protagonista, animata dalla presenza discreta di figure umane o animali che si integrano armoniosamente nell’ambiente.

    La sua pittura si distingue per un realismo poetico, lontano da ogni artificio accademico. Nei suoi quadri la luce si diffonde morbida, il colore è caldo e modulato, la pennellata rapida ma controllata restituisce la vibrazione dell’aria e delle stagioni. Vittori non inseguì le avanguardie del suo tempo, preferendo rimanere fedele a un linguaggio intimo e personale, in cui il paesaggio diventa anche metafora dell’animo umano: solitudine, fatica, serenità e malinconia convivono in equilibrio.

    Artista schivo e riservato, lavorò perlopiù lontano dai centri artistici maggiori, trovando nella provincia lombarda la sua ispirazione più autentica. I suoi dipinti, pur non appartenendo ai grandi movimenti dell’epoca, sono stati spesso accostati a quelli dei pittori veristi e postmacchiaioli per l’attenzione al vero e per la profondità emotiva con cui riesce a trasmettere il senso del tempo e della natura.

    STIMA:
    min € 700 - max € 800
    Base Asta:
    € 200

  • Lotto 19  

    Via di paese

    Achille Formis Achille Formis
    Napoli 1830 - Milano 1906
    Olio su tavola cm 60x29 firmato in basso a sx A.Formis



    Achille Formis, nato Achille Befani l’15 settembre 1832 a Napoli e morto il 28 ottobre 1906 a Milano, fu un pittore italiano che seppe coniugare una formazione legata al canto lirico con una successiva e profonda dedizione alla pittura del paesaggio e delle vedute. In giovane età frequentò l’Accademia di Belle Arti di Napoli e inizialmente coltivò la carriera di basso nei teatri italiani sotto lo pseudonimo “Formis” — cognome materno — prima di dedicarsi definitivamente all’arte visiva negli anni Sessanta.
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    Trasferitosi a Milano, intraprese un nuovo percorso iscrivendosi all’Accademia di Brera e immergendosi nell’ambiente milanese del paesaggismo lombardo. In quegli anni avviò un intenso lavoro “dal vero” nelle campagne, lungo laghi e fiumi del Nord Italia, in cui emergeva la sua predilezione per la natura osservata direttamente: boschi, rive, laghi, ma anche ambienti orientali che aveva visitato durante viaggi in Egitto e Turchia. Questi soggiorni nel Levante gli permisero di introdurre nella sua pittura tematiche esotiche — villaggi arabi, scene turche, la luce nord-africana — che accrebbero la varietà del suo repertorio.

    Lo stile di Formis si caratterizza per un’adesione sincera al paesaggio, con pennellate spesso rapide e tattili, tavolozza luminosa ma equilibrata e composizioni che alternano vasti spazi aperti a dettagli di vita quotidiana. Pur non aderendo alle correnti più radicali del suo tempo, egli fu riconosciuto come figura di spicco del naturalismo lombardo, collaborando e dialogando con artisti quali Eugenio Gignous. Le sue opere testimoniano una capacità di cogliere l’atmosfera di un luogo: il riflesso luminoso sul lago, la nebbia mattutina sulla pianura, il fascino orientale di una luce sconosciuta.

    Formis partecipò con regolarità alle Esposizioni nazionali di Belle Arti, mostre della Permanente di Milano e manifestazioni internazionali, ottenendo apprezzamento per la freschezza della visione e per la tecnica matura. Tra le sue opere più note si segnalano paesaggi sul lago di Varese, scene agricole mantovane e marine lagunari. Nell’ultimo periodo della sua carriera si fece più sottile nella stesura della materia e più audace nei tagli prospettici, pur restando fedele al suo linguaggio visivo sobrio e ben calibrato.

    Morì a Milano nel 1906.

    STIMA:
    min € 800 - max € 1000
    Base Asta:
    € 300

  • Lotto 20  

    Chiaro di luna

    Carlo Costantino Tagliabue Carlo Costantino Tagliabue
    Bresso (MI) 1880 - Milano 1960
    Olio su tela cm 37x49 firmato in basso a dx C.Tagliabue

    Il pittore Carlo Costantino Tagliabue e' nato ad Affori (Milano) nel 1880 e morto a Milano nel 1960. Appreso il disegno nelle Scuole di decorazione di Milano, fu dapprima decoratore, poi copista nelle varie pinacoteche e gallerie studiando e riproducendo prevalentemente i maestri dell'antichita'.
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    Dopo queste esperienze, si dedico' soltanto al paesaggio ed alle marine. Esordi' alla Permanente milanese, nel 1905; poi partecipo' frequentemente alle Biennali di Brera e ad altre esposizioni nazionali. Predilige il paesaggio di montagna, che rende con tendenza segantiniana, e due lavori di questo genere sono stati acquistati dalla Banca Commerciale Italiana; alcune marine, fra le quali "La mareggiata" furono acquistate dal Re. Altri dipinti sono conservati in Italia ed all'estero, presso enti e privati. Citansi di lui anche "Sotto le nubi", e parecchi affreschi di carattere religioso. Alla Galleria d'Arte Moderna di Milano esistono: "Notturno" e "Plenilunio a Venezia".

    Note biografiche tratte dal Dizionario Illustrato dei Pittori, Disegnatori ed Incisori Italiani A. M. Comanducci.

    STIMA:
    min € 1800 - max € 2000
    Base Asta:
    € 1000

  • Lotto 21  

    Ritorno dal lavoro

    Clemente Pugliese Levi Clemente Pugliese Levi
    Vercelli 1855 - Milano 1936
    Olio su tela cm 102x74 firmato in basso a dx C.Levi



    Clemente Pugliese Levi nacque a Vercelli nel 1855, in una famiglia della borghesia piemontese che lo avviò agli studi classici; inizialmente si iscrisse all’Università nella Facoltà di Scienze Naturali, ma dopo poco scelse di dedicarsi completamente all’arte, trasferendosi a Torino e frequentando l’Accademia Albertina di Belle Arti. Il suo primo maestro fu Enrico Gamba, cui fece seguito l’incontro decisivo con Antonio Fontanesi, figura centrale della pittura di paesaggio piemontese, che divenne per lui riferimento e amico.
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    Negli anni Ottanta del XIX secolo Pugliese Levi cominciò a partecipare regolarmente a esposizioni d’arte a Torino, a Milano, a Venezia e altrove; nel contempo avviò viaggi artistici in Europa, toccando Parigi e restando in contatto con le suggestioni dell’impressionismo francese, senza tuttavia tradire la lezione italiana del paesaggio e del naturalismo. Gradualmente la sua pittura mutò da soggetti di genere e rappresentazioni più accademiche – come mercati o figure rurali – verso una riflessione più poetica della natura: i prati allagati, i canali irrigui della pianura vercellese, i riflessi dell’acqua, le stagioni luminose diventarono soggetti ricorrenti della sua tela.

    Lo stile di Pugliese Levi riflette una fusione di sensibilità: da un lato la tradizione del paesaggismo piemontese, dall’altro una attenzione più moderna alla luce, all’atmosfera e al colore. Le sue opere sono note per i verdi intensi dei prati, i toni grigi e azzurri dell’acqua, la linea dell’orizzonte che si dilata e invita lo sguardo a perdersi. Un dipinto celebre di quel periodo, “Una marcita”, lo consacrò: in esso la campagna irrigata diventa motivo di meditazione e non solo di descrizione. Con ciò gli fu attribuito il soprannome di “pittore del prato e dell’acqua”.

    Nel 1906 si trasferì a Milano dove rimase a lungo, soggiornando spesso anche nelle valli alpine, sul Lago d’Orta, a Macugnaga e Courmayeur; i paesaggi montani e lacustri arricchirono il suo repertorio artistico. In quegli anni adottò soluzioni più libere, proponendo pennellate più rapide e una luce più vibrante, senza tuttavia abbandonare la figura o la figurazione. Continuò a esporre fino agli anni Venti, quando l’età cominciò a ridurre la sua attività; tenne una grande antologica a Milano attorno al 1933, e l’ultima traccia della sua presenza pubblica risale al 1935.

    Morì a Milano l’8 luglio 1936.

    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 600

  • Lotto 22  

    Venezia

    Eugenio Bonivento Eugenio Bonivento
    Chioggia 1880-Milano 1956
    Olio su tela cm 70x92 firmato in basso a dx E.Bonivento

    Eugenio Bonivento (1880-1956), nato a Chioggia, è stato un pittore italiano che ha dedicato la sua arte principalmente alla rappresentazione della laguna veneta e della campagna circostante. Allievo di Guglielmo Ciardi all'Accademia di Belle Arti di Venezia, Bonivento si distinse per la sua sensibilità nel catturare la luce e l'atmosfera nei paesaggi lagunari.
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    Le sue opere più significative includono "Quiete lagunare" e "Venezia", che sono conservate nelle principali gallerie d'arte moderne. Partecipò a numerose esposizioni, tra cui la Biennale di Venezia, contribuendo alla diffusione della pittura paesaggistica veneta in Italia e all'estero.

    STIMA:
    min € 2000 - max € 2500
    Base Asta:
    € 800

  • Lotto 23  

    Paesaggio montano 1873

    Giovanni Battista Ferrari Giovanni Battista Ferrari


    Giovanni Battista Ferrari nacque a Brescia il 13 ottobre 1829, nella contrada delle Grazie, primo di sei figli. Fin dalla giovinezza mostrò inclinazione per il disegno e la pittura, e nel 1855 si iscrisse alla scuola della civica Pinacoteca di Brescia, diretta da Gabriele Rottini, dove seguì i corsi di paesaggio e figura.
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    Nel 1856 ottenne una pensione che gli permise di trasferirsi a Milano per frequentare i corsi dell’Accademia di Brera, in particolare quelli di paesaggio diretti da Albert Zimmermann.

    Durante gli anni ’60 intraprese anche viaggi all’estero, toccando Londra e gli Stati Uniti, ma questi spostamenti non modificarono la sua vocazione principale: la pittura del paesaggio lombardo e trentino. Tornato in Italia, si stabilì a Milano intorno al 1872 pur mantenendo forti legami con Brescia e con la valle del Quel suo padre era originario, la Val di Sole.

    Ferrari dedicò l’intera carriera al paesaggio: laghi, valli, corsi d’acqua, campagne lombarde e alpine, e la presenza dell’uomo e della natura laboriosa vi è spesso richiamata attraverso contadini all’opera, mietitrici, aratori, scene rurali immerse in una luce vibrante e nitida. Pur radicato nella tradizione naturalista della seconda metà del XIX secolo, egli non aderì alle avanguardie del periodo, preferendo un linguaggio diretto, leggibile e coerente.

    Nel 1870 vinse il prestigioso premio Mylius alla Brera con un’opera rappresentante una veduta di Brescia, riconoscimento che confermò il suo ruolo tra i paesaggisti lombardi. Continuò a esporre regolarmente nelle sale milanesi, torinesi e genovesi, e la sua pittura venne apprezzata per la capacità di cogliere la luce, l’atmosfera dei laghi e delle montagne, senza stravolgere la scena ma rivelandola con sincerità.

    Giovanni Battista Ferrari morì a Milano il 26 aprile 1906, all’età di 76 anni.


    Olio su tela cm 32x44,5 firmato in basso a dx G.Ferrari

    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 1000

  • Lotto 24  

    Riva di...

    Vittore Zanetti Zilla Vittore Zanetti Zilla
    Venezia 1864 - Milano 1946
    Olio su tavola cm 51x60 firmato in basso a sx V.Zilla



    Vittore Zanetti Zilla nacque a Venezia il 21 marzo 1864 in una famiglia agiata, e si spense a Milano il 6 febbraio 1946. Fin da giovane frequentò scuole tecniche nella città lagunare e, parallelamente, iniziò a coltivare l’interesse per la pittura, frequentando lo studio del pittore veneziano Giacomo Favretto, amico di famiglia.
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    Ottenuto il diploma di scuola superiore nel 1882, si avvicinò agli studi d’arte sotto la guida di Egisto Lancerotto, apprendendo le basi tecniche del disegno e della composizione. Successivamente visse per un periodo a Napoli e in Sicilia durante il servizio militare, per poi tornare a Venezia e trasferirsi con la famiglia in Abruzzo, dove lavorò come insegnante pur senza mai abbandonare la sua ricerca artistica.

    Nel 1898 intraprese un viaggio europeo che lo mise in contatto con i paesaggisti francesi e con le tendenze decorative dell’arte internazionale: da questo momento la sua pittura mutò diventando sempre di più veicolo di atmosfere, luce e colore anziché mera descrizione. Fin dalla prima edizione della Biennale di Venezia, a partire dal 1895, Zanetti Zilla prese parte con assiduità alle grandi esposizioni d’arte, consolidando la propria fama nel panorama italiano e oltre­confine.

    La sua poetica visiva si concentra soprattutto sulla laguna veneziana, sui suoi canali, barche, albe e tramonti. Tuttavia la tradizione veneziana si fonde in lui con influssi post-impressionisti e con un gusto elegante per la decorazione: nei suoi dipinti emerge un uso del colore puro e intenso, una pennellata che talvolta sembra sfiorare la ceramica, e una resa luminosa che evoca la superficie riflettente dell’acqua, la bruma mattutina e la quiete del paesaggio lagunare. Sperimentiò anche acquerello e tempera verniciata, tecniche che gli permisero di ottenere cromie brillanti e un tratto leggero, quasi grafico.

    Negli anni della Prima guerra mondiale si trasferì a Milano, dove rimase stabilmente fino alla morte. Qui, nel contesto meneghino, partecipò a mostre personali e continuò a esporre alla Galleria Pesaro e in altre sedi, mantenendo una produzione regolare e coerente. Lo stile di Zanetti Zilla rifiutava l’esibizione di mode d’avanguardia, preferendo al contrario una via personale fatta di colore, atmosfera e modulazione della luce. Le sue vedute veneziane, pur non rompendo con la tradizione, ne rivelano una maturità stilistica che le rende riconoscibili: la laguna non è soltanto tema geografico, ma luogo mentale, riflesso visivo e meditazione silenziosa.

    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 800

  • Vittore Antonio Cargnel Vittore Antonio Cargnel
    Venezia 1872 - Milano 1931
    Olio su tela cm 54x73 firmato in basso a dx V.Cargnel

    Vittore Antonio Cargnel, nato a Venezia nel 1872, fu un pittore italiano il cui percorso artistico si sviluppò tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo. Nel 1888, si iscrisse all'Accademia di Venezia, ma gran parte della sua formazione avvenne nello studio di Cesare Laurenti, noto pittore simbolista.
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    Cargnel trasse ispirazione anche dalle opere di artisti come Ciardi, Favretto e Nono, dai quali trasse numerosi suggerimenti per il suo sviluppo artistico.

    Le sue capacità artistiche si manifestarono in opere sia di carattere simbolista, come "La sera di Ca’ Pesaro" del 1899, che in ritratti, tra cui il noto "Ritratto di Giuseppe Favaro" del 1905. Tuttavia, la sua vera natura artistica si rivelò come paesaggista, radicato nella tradizione del tardo Ottocento veneto. Questo filone tematico rimase costante in tutta la sua carriera, con la campagna veneta e friulana come principale soggetto delle sue opere.

    Cargnel partecipò alla I Biennale nel 1895 con l'opera "Averte faciem tuam, domine, a peccatis meis," fortemente influenzata da Nono e Laurenti. La sua partecipazione continuò anche nelle edizioni successive della Biennale e in mostre internazionali come il Salon di Parigi, San Pietroburgo e Lipsia. La sua pittura si evolse verso una maggiore attenzione alla vibrazione atmosferica, evidente nelle opere esposte all'VIII Mostra internazionale di Monaco di Baviera.

    Nel 1900, si trasferì vicino a Treviso, dove avviò una fonderia di campane, e nel 1910 si trasferì a Sacile, dove rimase fino alla disfatta di Caporetto nel 1917. Durante questo periodo, realizzò alcuni dei suoi migliori paesaggi della pedemontana pordenonese, come "Poffabro" del 1912. Dopo la guerra, tornò spesso al paesaggio pedemontano e friulano anche dopo il trasferimento a Milano nel 1918, dove trovò un ambiente favorevole alla diffusione della sua pittura. Nel 1924 divenne socio onorario della regia Accademia di belle arti di Brera.

    La sua attività espositiva continuò con successo, partecipando a mostre importanti in Italia e all'estero. Cargnel morì a Milano nel 1931, e l'anno successivo si tenne una vasta retrospettiva alla Galleria Milano. Il suo contributo artistico fu successivamente riconosciuto con la presenza di due sue opere alla mostra dei quarant'anni della Biennale nel 1935. La sua opera ricevette una nuova attenzione nel corso degli anni, con retrospettive significative nel 1968 a Pordenone, nel 1988 a Sacile e nel 1999 al Museo civico di Pordenone. Opere di Cargnel si trovano oggi presso il Museo civico d'arte e la provincia di Pordenone.

    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 700

  • Lotto 26  

    Tramonto a Venezia

    Marcello Broggi Marcello Broggi
    Lombardia 1896-1954
    Olio su tavola cm 34,5x47 firmato in basso a sx Marcello Broggi



    STIMA:
    min € 500 - max € 600
    Base Asta:
    € 150

  • Anselmo Bucci Anselmo Bucci
    Fossombrone - 1887 - Monza 1955
    Olio su tavola cm 24x39,5 firmato in basso a dx Bucci

    Anselmo Bucci, figlio di Achille Muzio, nacque il 23 maggio 1887 a Fossombrone. Dopo aver completato gli studi classici al liceo Marco Foscarini di Venezia, si dedicò al disegno presso la scuola di Francesco Salvini a Este.
    Clicca per espandere

    Nel 1904-05, fu allievo dell'Accademia di Brera a Milano e nel 1906 si trasferì a Parigi, rimanendovi fino al 1915 e concentrando la sua attenzione sull'incisione. Durante questo periodo, realizzò diverse raccolte di incisioni, ispirate alla cultura grafica francese post-impressionista, come "Le petit Paris qui bouge" (1908) e "Paris qui bouge" (1909), ottenendo anche una menzione onorevole al Salon des artistes français nel 1910.

    Il suo stile si rifletteva sia nelle influenze del post-impressionismo francese che nelle tracce dello studio del Fattori, mantenendo una maniera secca e evitando la retorica. Il periodo parigino segnò un momento significativo per l'arte di Bucci, in cui si avvicinò al gusto di artisti come Jean-François Raffaelli e Pierre Bonnard, influenze evidenti in opere come "L'écraseur," "Touaregs à Paris," "Avenue Rachel," e altre.

    Durante la prima guerra mondiale, Bucci fu volontario di guerra e documentò la vita sul fronte attraverso incisioni e litografie, come le "Croquis du front italien" (1918) e "Marina a terra" (1918). Dopo la guerra, la sua arte subì un cambiamento significativo. Pur essendo un abile incisore, Bucci decise di esplorare la pittura, orientandosi verso un ritorno al classicismo, in contrasto con le correnti avanguardiste.

    Nel 1922, Bucci fu il promotore del gruppo "Novecento italiano", che cercava di favorire un orientamento neoclassico. Il suo impegno maggiore in questo periodo fu il dipinto "I pittori" (1921-1924), che rappresentava il suo pensiero antitetico ai movimenti d'avanguardia. Bucci mantenne il suo distacco ideale dalla contemporaneità, sostenendo la preferenza per gli antichi rispetto ai moderni.

    Nel corso degli anni successivi, Bucci si affermò anche come scrittore, pubblicando opere come "Il libro della Bigia" (1942) e contribuendo con articoli al Corriere della Sera. Morì a Monza il 19 novembre 1955, lasciando un'impronta significativa nell'ambito artistico italiano, con la sua straordinaria vitalità, indipendenza morale e ironia che si manifestava sia nelle sue opere grafiche che nella sua produzione letteraria.

    STIMA:
    min € 2000 - max € 2500
    Base Asta:
    € 700

  • Anselmo Bucci Anselmo Bucci
    Fossombrone - 1887 - Monza 1955
    Olio su tavola cm 33x42 firmato in basso a dx Bucci

    Anselmo Bucci, figlio di Achille Muzio, nacque il 23 maggio 1887 a Fossombrone. Dopo aver completato gli studi classici al liceo Marco Foscarini di Venezia, si dedicò al disegno presso la scuola di Francesco Salvini a Este.
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    Nel 1904-05, fu allievo dell'Accademia di Brera a Milano e nel 1906 si trasferì a Parigi, rimanendovi fino al 1915 e concentrando la sua attenzione sull'incisione. Durante questo periodo, realizzò diverse raccolte di incisioni, ispirate alla cultura grafica francese post-impressionista, come "Le petit Paris qui bouge" (1908) e "Paris qui bouge" (1909), ottenendo anche una menzione onorevole al Salon des artistes français nel 1910.

    Il suo stile si rifletteva sia nelle influenze del post-impressionismo francese che nelle tracce dello studio del Fattori, mantenendo una maniera secca e evitando la retorica. Il periodo parigino segnò un momento significativo per l'arte di Bucci, in cui si avvicinò al gusto di artisti come Jean-François Raffaelli e Pierre Bonnard, influenze evidenti in opere come "L'écraseur," "Touaregs à Paris," "Avenue Rachel," e altre.

    Durante la prima guerra mondiale, Bucci fu volontario di guerra e documentò la vita sul fronte attraverso incisioni e litografie, come le "Croquis du front italien" (1918) e "Marina a terra" (1918). Dopo la guerra, la sua arte subì un cambiamento significativo. Pur essendo un abile incisore, Bucci decise di esplorare la pittura, orientandosi verso un ritorno al classicismo, in contrasto con le correnti avanguardiste.

    Nel 1922, Bucci fu il promotore del gruppo "Novecento italiano", che cercava di favorire un orientamento neoclassico. Il suo impegno maggiore in questo periodo fu il dipinto "I pittori" (1921-1924), che rappresentava il suo pensiero antitetico ai movimenti d'avanguardia. Bucci mantenne il suo distacco ideale dalla contemporaneità, sostenendo la preferenza per gli antichi rispetto ai moderni.

    Nel corso degli anni successivi, Bucci si affermò anche come scrittore, pubblicando opere come "Il libro della Bigia" (1942) e contribuendo con articoli al Corriere della Sera. Morì a Monza il 19 novembre 1955, lasciando un'impronta significativa nell'ambito artistico italiano, con la sua straordinaria vitalità, indipendenza morale e ironia che si manifestava sia nelle sue opere grafiche che nella sua produzione letteraria.

    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 800

  • Lotto 29  

    Laghetto alpino

    Paolo Punzo Paolo Punzo
    Ponteranica (BG) 1906 - Bergamo 1979
    Olio su cartone cm 40x50 firmato in basso a sx Punzo



    Paolo Punzo nacque a Bergamo il 1° marzo 1906, quarto di sette figli in una famiglia guidata dal padre Antonino, ufficiale originario di Nola e trasferito a Bergamo nel 1901. Fin dalla giovinezza Punzo mostrò una forte passione per la montagna e per l’alpinismo: divenne membro del Club Alpino Italiano (CAI) e frequentò con entusiasmo la natura alpina lombarda, in particolare le valli della Valtellina e della Val Chiavenna.
    Clicca per espandere



    Autodidatta nella pittura, Punzo elaborò un proprio linguaggio visivo fortemente legato all’esperienza dell’alta quota: salì in vetta con tavolozza e colori, dipingendo «en plein air» rocce, nevi perenni, altopiani e riflessi luminosi che solo chi vive la montagna può cogliere. Il suo lavoro lo portò a restituire non una semplice veduta panoramica, ma la percezione diretta del paesaggio alpino: la luce che gioca sul ghiaccio, le sfumature celesti della sera, la rapidità dei cambi di tempo, l’essenza della montagna catturata con spontaneità e sincerità.

    Durante gli anni ’30, ’40 e ’50 Punzo espose con regolarità a Sondrio, Bergamo, Milano, St. Moritz e Cortina, e ben presto divenne noto, anche grazie all’attenzione della critica e della stampa, come «il pittore della montagna». Pur immerso nella tradizione dell’osservazione del vero, Punzo mostrò negli anni un’apertura verso l’espressione più libera della forma: alcuni dei suoi paesaggi liguri degli anni ’40, per esempio, rivelano una tavolozza più sciolta e un tocco meno accademico.

    Lo stile di Punzo combina rigore e immediatezza: non pretende la spettacolarità, bensì la verità del momento vissuto — la vetta, il ghiacciaio, la roccia — e lo fa con una pennellata che sa essere veloce come il riflesso della luce e misurata come la pietra che scolpisce. I suoi dipinti costituiscono non solo testimonianze di luoghi alpini, ma anche segni del passaggio del tempo: oggi le sue tele dialogano con il tema del cambiamento climatico, con le montagne che mutano e con i ghiacciai che arretrano.

    Paolo Punzo si spense nel 1979Paolo Punzo nacque a Bergamo il 1° marzo 1906, quarto di sette figli in una famiglia guidata dal padre Antonino, ufficiale originario di Nola e trasferito a Bergamo nel 1901. Fin dalla giovinezza Punzo mostrò una forte passione per la montagna e per l’alpinismo: divenne membro del Club Alpino Italiano (CAI) e frequentò con entusiasmo la natura alpina lombarda, in particolare le valli della Valtellina e della Val Chiavenna.

    Autodidatta nella pittura, Punzo elaborò un proprio linguaggio visivo fortemente legato all’esperienza dell’alta quota: salì in vetta con tavolozza e colori, dipingendo «en plein air» rocce, nevi perenni, altopiani e riflessi luminosi che solo chi vive la montagna può cogliere. Il suo lavoro lo portò a restituire non una semplice veduta panoramica, ma la percezione diretta del paesaggio alpino: la luce che gioca sul ghiaccio, le sfumature celesti della sera, la rapidità dei cambi di tempo, l’essenza della montagna catturata con spontaneità e sincerità.

    Durante gli anni ’30, ’40 e ’50 Punzo espose con regolarità a Sondrio, Bergamo, Milano, St. Moritz e Cortina, e ben presto divenne noto, anche grazie all’attenzione della critica e della stampa, come «il pittore della montagna». Pur immerso nella tradizione dell’osservazione del vero, Punzo mostrò negli anni un’apertura verso l’espressione più libera della forma: alcuni dei suoi paesaggi liguri degli anni ’40, per esempio, rivelano una tavolozza più sciolta e un tocco meno accademico.

    Lo stile di Punzo combina rigore e immediatezza: non pretende la spettacolarità, bensì la verità del momento vissuto — la vetta, il ghiacciaio, la roccia — e lo fa con una pennellata che sa essere veloce come il riflesso della luce e misurata come la pietra che scolpisce. I suoi dipinti costituiscono non solo testimonianze di luoghi alpini, ma anche segni del passaggio del tempo: oggi le sue tele dialogano con il tema del cambiamento climatico, con le montagne che mutano e con i ghiacciai che arretrano.

    Paolo Punzo si spense nel 1979.

    STIMA:
    min € 1200 - max € 1400
    Base Asta:
    € 400

  • G.Bertelli G.Bertelli
    Brescia XX Secolo
    Olio su cartone cm 30x35 firmato in basso a dx G.Bertelli



    STIMA:
    min € 800 - max € 1000
    Base Asta:
    € 500

  • Lotto 31  

    Natura morta con fiori

    Licinio Barzanti Licinio Barzanti
    Forli 1857 - Como 1945
    Olio su tela cm 50x70 firmato in basso a sx L.Barzanti

    Licinio Barzanti nacque a Forlì il 29 ottobre 1857 e morì a Como il 4 dicembre 1944. Cresciuto in un ambiente che favoriva la formazione artistica, si formò all'Accademia di Belle Arti di Firenze, sebbene gran parte del suo sviluppo artistico fosse autodidatta.
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    Fu principalmente attratto dalla pittura dal vero e dal ritratto, ma trovò la sua vera espressione nelle composizioni floreali e nei paesaggi, che divennero il suo principale campo di indagine.

    Il suo stile si distingue per la fusione di tradizione classica e tendenze veriste, unendo un realismo attento ai dettagli a una sensibilità per le luci e i colori. Le sue opere erano caratterizzate da una delicata armonia cromatica e atmosfere che spesso richiamano una visione romantica della natura. Barzanti partecipò a numerose mostre in Italia e all'estero, guadagnandosi consensi anche in Russia, dove le sue opere furono particolarmente apprezzate.

    Nel corso della sua carriera, Barzanti ebbe modo di esporre in importanti gallerie, e nel 1931 organizzò una mostra personale presso la Galleria Micheli di Milano. Nonostante il successo ottenuto durante la sua vita, fu solo successivamente, in occasione di una retrospettiva dedicata a lui nel 2014 a Forlì, che venne riconosciuto pienamente il valore del suo contributo alla pittura.

    STIMA:
    min € 1400 - max € 1500
    Base Asta:
    € 600

  • Silvio Albertini Silvio Albertini
    Verona 1889 - 1984
    Olio su tavola cm 50x71,5 firmato in basso a sx Silvio Albertini



    Silvio Alberto Albertini nacque a Verona il 18 aprile 1889 e vi morì nel 1984, all’età di 95 anni. Fin dalla giovinezza manifestò un forte interesse per l’arte, tant’è che già nella città natale frequentò l’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Alfredo Savini.
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    Iniziò quindi un percorso formativo regolare che lo portò a consolidare la sua tecnica e a farsi apprezzare come pittore e decoratore.

    La sua produzione artistica si sviluppò in un arco temporale molto vasto e fu caratterizzata da una forte presenza nei contesti espositivi del Novecento italiano: le sue opere comparvero con continuità alle esposizioni di Venezia, Milano, Vicenza, Trento, Rovereto, Bolzano e naturalmente Verona. Parallelamente, tenne almeno due mostre personali, una a Roma e un’altra a Bologna, che ne rafforzarono il profilo nell’ambito artistico nazionale.

    Albertini si dedicò a soggetti figurativi e paesaggistici: paesaggi rurali, scene di vita semplice, autoritratti, nature morte e scorci di vita domestica rivelano la versatilità del suo linguaggio. Tra le sue opere più citate figurano “Al pascolo”, “Primi passi”, “Solo d’inverno”, “Il canto dei molini”, “Tramonto sul lago” e l’“Autoritratto”. La tavolozza di Albertini si distingue per toni caldi e luminosi, per una resa immediata della luce e dell’atmosfera del luogo, e per una pennellata che predilige la chiarezza e la leggibilità.

    Oltre alla sua attività pittorica, Albertini ebbe anche un forte impegno didattico: dal 1916 insegnò presso l’Istituto Professionale «Ugo Zannoni» a Verona, trasmettendo la propria esperienza alle nuove generazioni e contribuendo alla vita culturale della sua città. Il fatto che venisse indicato come “Prof. ” nei cataloghi è testimonianza del suo ruolo riconosciuto anche in campo formativo.

    Nel corso della sua lunga carriera, Albertini seppe rimanere fedele a una pittura realista e accessibile, evitando le sperimentazioni radicali delle avanguardie pur integrando con coerenza una sensibilità moderna nella resa della luce e del colore. La sua arte attraversa buona parte del Novecento, offrendo una testimonianza del paesaggio veneto, delle atmosfere della campagna e della vita quotidiana in chiave visiva e poetica.

    STIMA:
    min € 700 - max € 800
    Base Asta:
    € 250

  • Lotto 33  

    Ritratto 1884

    Angelo Dall Oca Bianca Angelo Dall Oca Bianca
    Verona 1858 - 1942
    Olio su cartone cm 50x34 firmato in basso a dx A.Bianca



    Angelo Dall’Oca Bianca nacque a Verona il 31 marzo 1858, in una famiglia modesta: il padre era verniciatore e la famiglia attraversava difficoltà economiche. Fin da giovanissimo manifestò inclinazione al disegno, e dopo aver svolto lavori artigianali al fine di contribuire al sostentamento familiare, entrò nel 1873 all’Accademia di Belle Arti “Cignaroli” di Verona, sotto la guida di Napoleone Nani.
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    Durante quegli anni, frequenti furono le influenze del verismo veneto e dell’ambiente artistico veronese, che lo avviarono a dipingere scene di vita quotidiana e scorci cittadini.

    Nel corso degli anni successivi, Dall’Oca Bianca maturò il proprio linguaggio: partecipò alle mostre della Società di Belle Arti e alla Esposizione dell’Accademia di Brera, ottenendo riconoscimenti. Intorno agli anni ’80, sotto l’influsso del pittore Giacomo Favretto, rafforzò il suo interesse per l’istantaneità visiva, l’osservazione “dal vero” e l’uso della fotografia come supporto preparatorio per le sue opere. I soggetti dei suoi dipinti spaziano dalle strade veronesi ai paesaggi lagunari, dalla vita popolare ai momenti silenziosi della quotidianità, e si caratterizzano per una luce chiara e una pennellata fluida.

    Col passare del tempo, l’artista cominciò ad avvicinarsi anche a soluzioni formali più moderne: nell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 presentò l’opera “Gli amori delle anime”, che segnala una svolta verso temi simbolisti e influenze divisioniste. Le sue vedute urbane e lagunari, con riflessi e contrasti cromatici più accentuati, testimoniano questa evoluzione. Nel 1912, in occasione della Biennale di Venezia, Dall’Oca Bianca ebbe una sala personale con numerose opere esposte, a suggello del suo prestigio.

    Tuttavia, a partire dal primo decennio del XX secolo, la sua pittura cominciò ad essere criticata come eccessivamente legata a temi veristi e a un linguaggio considerato superato dalle avanguardie emergenti. Di conseguenza, l’artista si ritirò progressivamente dall’attività espositiva, scegliendo di dedicarsi alla sua città natale: Verona. Qui si impegnò nella tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, promuovendo iniziative con risvolto sociale, tra cui il “Villaggio Dall’Oca” destinato alle famiglie veronesi meno abbienti.

    Angelo Dall’Oca Bianca morì a Verona il 18 maggio 1942. La sua opera, ampia e variegata, rappresenta una testimonianza significativa della pittura italiana tra Ottocento e Novecento: da un verismo iniziale radicato nella realtà locale si apre verso una sensibilità più luminosa, più attenta alla luce, all’atmosfera, all’istante, senza rinunciare al sentimento e al legame con il territorio.

    STIMA:
    min € 5000 - max € 6000
    Base Asta:
    € 1300

  • Lotto 34  

    Ritratto di nobildonna

    Angelo Dall Oca Bianca Angelo Dall Oca Bianca
    Verona 1858 - 1942
    Pastello su carta cm 54x34 firmato in basso a dx A.Bianca



    Angelo Dall’Oca Bianca nacque a Verona il 31 marzo 1858, in una famiglia modesta: il padre era verniciatore e la famiglia attraversava difficoltà economiche. Fin da giovanissimo manifestò inclinazione al disegno, e dopo aver svolto lavori artigianali al fine di contribuire al sostentamento familiare, entrò nel 1873 all’Accademia di Belle Arti “Cignaroli” di Verona, sotto la guida di Napoleone Nani.
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    Durante quegli anni, frequenti furono le influenze del verismo veneto e dell’ambiente artistico veronese, che lo avviarono a dipingere scene di vita quotidiana e scorci cittadini.

    Nel corso degli anni successivi, Dall’Oca Bianca maturò il proprio linguaggio: partecipò alle mostre della Società di Belle Arti e alla Esposizione dell’Accademia di Brera, ottenendo riconoscimenti. Intorno agli anni ’80, sotto l’influsso del pittore Giacomo Favretto, rafforzò il suo interesse per l’istantaneità visiva, l’osservazione “dal vero” e l’uso della fotografia come supporto preparatorio per le sue opere. I soggetti dei suoi dipinti spaziano dalle strade veronesi ai paesaggi lagunari, dalla vita popolare ai momenti silenziosi della quotidianità, e si caratterizzano per una luce chiara e una pennellata fluida.

    Col passare del tempo, l’artista cominciò ad avvicinarsi anche a soluzioni formali più moderne: nell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 presentò l’opera “Gli amori delle anime”, che segnala una svolta verso temi simbolisti e influenze divisioniste. Le sue vedute urbane e lagunari, con riflessi e contrasti cromatici più accentuati, testimoniano questa evoluzione. Nel 1912, in occasione della Biennale di Venezia, Dall’Oca Bianca ebbe una sala personale con numerose opere esposte, a suggello del suo prestigio.

    Tuttavia, a partire dal primo decennio del XX secolo, la sua pittura cominciò ad essere criticata come eccessivamente legata a temi veristi e a un linguaggio considerato superato dalle avanguardie emergenti. Di conseguenza, l’artista si ritirò progressivamente dall’attività espositiva, scegliendo di dedicarsi alla sua città natale: Verona. Qui si impegnò nella tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, promuovendo iniziative con risvolto sociale, tra cui il “Villaggio Dall’Oca” destinato alle famiglie veronesi meno abbienti.

    Angelo Dall’Oca Bianca morì a Verona il 18 maggio 1942. La sua opera, ampia e variegata, rappresenta una testimonianza significativa della pittura italiana tra Ottocento e Novecento: da un verismo iniziale radicato nella realtà locale si apre verso una sensibilità più luminosa, più attenta alla luce, all’atmosfera, all’istante, senza rinunciare al sentimento e al legame con il territorio.

    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 900

  • Giovanni Battista Vicari Giovanni Battista Vicari
    Italia XIX - XX Secolo
    Olio su tela cm 63x33,5 firmato al retro.

    Copia della prima importante commissione religiosa per il giovane Tiziano fu la pala intitolata Assunta. Il dipinto venne commissionato dal priore dei francescani della chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari di Venezia.
    STIMA:
    min € 1200 - max € 1400
    Base Asta:
    € 400

  • Lotto 36  

    Le oche

    Sergio Budicin Sergio Budicin
    Trieste 1939
    Olio su tavola cm 20x30 firmato in basso a dx S.Budicin



    Sergio Budicin nacque a Trieste nel 1939 e sin da giovane mostrò una predilezione per il mondo naturale e per gli animali, che sarebbero poi divenuti protagonisti della sua pittura. Pur non emergendo una dettagliata documentazione sul suo percorso formativo, risulta che Budicin abbia affiancato alla propria sensibilità pittorica una continuità operativa che lo ha portato a realizzare numerosi dipinti in cui grande cura è posta nella rappresentazione della fauna, della campagna, del paesaggio e dell’essere umano inserito in ambienti naturali.
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    Il suo linguaggio visivo si fonda su una visione realistico-poetica: animali al pascolo, paesaggi silenziosi, figure immerse nella natura sono raffigurati con attenzione al particolare, ma anche con una luce che invita all’osservazione meditativa. Negli anni la sua opera ha trovato collocazione nel mercato d’arte, dove le sue tele appaiono in cataloghi d’asta, testimonianza di una presenza stabile seppur non eclatante nel panorama artistico.

    Budicin non sembra aver cercato la grande esposizione internazionale o la risonanza delle avanguardie; piuttosto, è rimasto fedele al soggetto – natura e animali – con un approccio che privilegia la serenità dell’osservazione e la qualità pittorica. Le sue opere risultano apprezzate da collezionisti che amano la pittura figurativa d’impegno, ben fatta e coerente nel tempo.

    STIMA:
    min € 800 - max € 1000
    Base Asta:
    € 100

  • Lotto 37  

    Tra le pecorelle

    Sergio Budicin Sergio Budicin
    Trieste 1939
    Olio su tavola cm 11,5x16,5 firmato in basso a sx S.Budicin



    Sergio Budicin nacque a Trieste nel 1939 e sin da giovane mostrò una predilezione per il mondo naturale e per gli animali, che sarebbero poi divenuti protagonisti della sua pittura. Pur non emergendo una dettagliata documentazione sul suo percorso formativo, risulta che Budicin abbia affiancato alla propria sensibilità pittorica una continuità operativa che lo ha portato a realizzare numerosi dipinti in cui grande cura è posta nella rappresentazione della fauna, della campagna, del paesaggio e dell’essere umano inserito in ambienti naturali.
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    Il suo linguaggio visivo si fonda su una visione realistico-poetica: animali al pascolo, paesaggi silenziosi, figure immerse nella natura sono raffigurati con attenzione al particolare, ma anche con una luce che invita all’osservazione meditativa. Negli anni la sua opera ha trovato collocazione nel mercato d’arte, dove le sue tele appaiono in cataloghi d’asta, testimonianza di una presenza stabile seppur non eclatante nel panorama artistico.

    Budicin non sembra aver cercato la grande esposizione internazionale o la risonanza delle avanguardie; piuttosto, è rimasto fedele al soggetto – natura e animali – con un approccio che privilegia la serenità dell’osservazione e la qualità pittorica. Le sue opere risultano apprezzate da collezionisti che amano la pittura figurativa d’impegno, ben fatta e coerente nel tempo.

    STIMA:
    min € 500 - max € 600
    Base Asta:
    € 100

  • Lotto 38  

    Lungo il canale

    Francesco Sartorelli Francesco Sartorelli
    Cornuda TV 1856 - Udine 1939
    Olio su tela cm 70x93 firmato in basso a dx F.Sartorelli

    Francesco Sartorelli nacque il 14 settembre 1856 a Cornuda, in provincia di Treviso, da una famiglia agiata, con un padre notaio ad Asolo. Inizialmente intraprese studi classici e si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell'Università di Padova, ma nel 1875 abbandonò il percorso accademico per dedicarsi alla musica, iscrivendosi al Conservatorio di Milano per studiare flauto.
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    Tuttavia, a causa di gravi problemi di salute, fu costretto a interrompere la sua carriera musicale e tornò a Cornuda, dove si avvicinò alla pittura come autodidatta.
    Nel 1889 si trasferì a Venezia, dove strinse amicizia con l'artista Alessandro Milesi e partecipò per la prima volta a una mostra alla Promotrice di Torino. Da allora, la sua carriera artistica decollò, partecipando alle Esposizioni Internazionali d'Arte di Venezia a partire dal 1895. Nel 1900 ricevette un importante riconoscimento con il Premio Principe Umberto all'Esposizione di Brera e, l’anno successivo, una medaglia d'oro all'VIII Esposizione Internazionale d'Arte di Monaco.
    Nel 1903, il mercante d'arte Ferruccio Stefani organizzò una mostra personale itinerante che toccò città come Buenos Aires, Montevideo e Valparaíso. Le sue opere furono esposte nuovamente a Buenos Aires nel 1910, in occasione dell'Esposizione Internazionale d'Arte del Centenario, e lo stesso anno, la Biennale di Venezia gli dedicò una sala con ben quarantasei opere. Nel 1924 si trasferì a Milano, dove l'anno successivo allestì una personale alla Galleria Pesaro.
    Nel 1940, a pochi mesi dalla sua morte, la Biennale Internazionale d'Arte di Venezia gli dedicò una retrospettiva curata dal figlio Carlo, anch'egli pittore. Francesco Sartorelli morì l'8 aprile 1939 a Udine, lasciando un'importante eredità nel panorama artistico italiano, caratterizzato dalla sua pittura paesaggistica che ebbe una grande risonanza a livello internazionale.

    STIMA:
    min € 2000 - max € 2500
    Base Asta:
    € 800

  • Lotto 39  

    Primavera 1922

    Clifford Holmead Phillips Clifford Holmead Phillips
    Pennsylvania 1889 - Brussels 1975
    Olio su cartone cm 30x41 firmato in basso a dx C.Phillips



    Clifford Holmead Phillips nacque nel 1889 a Shippensburg, in Pennsylvania, in una famiglia benestante. Fin da giovane mostrò una forte inclinazione per l’arte e un atteggiamento critico verso la società industriale che si stava affermando negli Stati Uniti di fine Ottocento.
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    Dopo aver completato gli studi, intraprese numerosi viaggi in Europa, dove visitò musei e gallerie, studiando da autodidatta i grandi maestri della pittura moderna e antica. Rifiutò sempre una formazione accademica tradizionale, preferendo formarsi attraverso l’osservazione diretta e la ricerca personale.

    Negli anni Venti soggiornò a lungo in Europa – tra Bruxelles, Parigi e Berlino – venendo in contatto con le correnti artistiche più vive del tempo. L’incontro con l’espressionismo, il fauvismo e la pittura francese di fine secolo lo spinse a elaborare un linguaggio personale, fatto di colore denso, materia corposa e linee decise. La sua pittura si distinse per una forza espressiva immediata e per un senso profondo dell’umanità dei soggetti, che fossero paesaggi urbani, ritratti o interni.

    Nel 1927 tenne la sua prima mostra personale a Parigi, ottenendo l’attenzione della critica e aprendo la strada a un lungo periodo di attività tra Europa e Stati Uniti. Negli anni successivi si stabilì in Belgio, pur continuando a viaggiare, e qui maturò la fase più intensa della sua produzione. I suoi dipinti di questo periodo, spesso centrati su figure umane isolate o su paesaggi metropolitani attraversati da una luce inquieta, esprimono una visione drammatica ma poetica della condizione moderna.

    Negli anni Cinquanta e Sessanta la sua pittura divenne ancora più libera e sintetica. Dopo un grave ictus, riprese a dipingere con energia sorprendente, sviluppando una tecnica che definì “shorthand painting”: una pittura rapida, essenziale, capace di cogliere in pochi tratti l’essenza del soggetto. In questi lavori, la materia pittorica diventa linguaggio puro, strumento per trasmettere emozione più che forma.

    Clifford Holmead Phillips morì nel 1975 a Bruxelles, dopo una vita interamente dedicata all’arte.

    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 1200

  • Guido Agostini Guido Agostini
    Firenze XIX - XX
    Olio su tela cm 42x32,5 firmato in basso a sx Agostini

    Guido Agostini (1870-1898) è stato un pittore italiano noto per le sue rappresentazioni di paesaggi toscani. Nato a Milano, ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Brera, dove ha sviluppato le sue abilità artistiche.
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    Le sue opere, sebbene non numerose, ritraggono principalmente scorci delle campagne toscane, con casolari e castelli come soggetti principali. La sua carriera artistica si è estesa dal 1865 al 1898, periodo in cui ha partecipato a diverse esposizioni, tra cui quelle di Vienna, Parigi e Londra. Le sue opere sono state vendute in numerose aste, dimostrando un continuo interesse per il suo lavoro. Guido Agostini è scomparso prematuramente nel 1898, ma il suo contributo all'arte paesaggistica italiana rimane significativo. ​

    STIMA:
    min € 1500 - max € 1800
    Base Asta:
    € 500

  • Lotto 1  

    Giardino fiorito

    Giuseppe Pesa
    Polistena (RC) 1928 - 2000
    Olio su tela cm 18x24 firmato in basso a dx Giuseppe Pesa



    Giuseppe Pesa nacque a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, il 1° novembre 1928. Fin da giovanissimo manifestò una naturale inclinazione per il disegno e la pittura, frequentando corsi d’arte a Napoli e a Roma nei primi anni della sua formazione.
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    Nel 1946 tenne la sua prima mostra personale a Reggio Calabria, e tre anni dopo, nel 1949, espose a Roma, segnando l’inizio di una carriera artistica che avrebbe presto varcato i confini nazionali. Durante gli anni Cinquanta la sua presenza si consolidò anche all’estero: nel 1952 espose a Stoccolma e Oslo, nel 1954 nuovamente a Stoccolma e a Helsinki, nel 1957 a Milano e Torino, nel 1958 a Genova e Gallarate, e nel 1959 a Londra.

    Con il passare degli anni Pesa trovò in Liguria — in particolare nella località di Camogli — una sorta di seconda patria. Qui visse a lungo, traendo ispirazione dal paesaggio marino, dalle case colorate a picco sul mare, dalle barche ormeggiate e dai riflessi cangianti della luce mediterranea. La sua pittura, caratterizzata da una luminosità intensa e da una tavolozza vibrante, rivelava una sensibilità capace di fondere il realismo del paesaggio tradizionale con una visione più istintiva e immediata della vita quotidiana. Le figure umane inserite nei panorami costieri, le architetture affacciate sull’acqua e gli scorci urbani diventavano, nelle sue tele, strumenti per esprimere armonia e sentimento.

    Sul piano stilistico, Pesa mantenne una figurazione riconoscibile, fedele a una pittura di luce e colore, senza aderire alle avanguardie più radicali. Le sue opere privilegiano la limpidezza cromatica e la costruzione equilibrata della composizione, con un linguaggio che predilige la poesia del quotidiano e la vibrazione emotiva delle cose semplici.

    Numerose sue opere figurano oggi in collezioni private e in aste internazionali, dove il suo nome è citato tra gli artisti del secondo dopoguerra italiano. La documentazione biografica su di lui rimane tuttavia frammentaria, e persino la data della sua morte è oggetto di incertezza: alcune fonti indicano il 1992, altre il 20 maggio 2000, nella sua città natale di Polistena. Ciò che rimane certo è il valore di un artista che, attraverso la luce e il colore, seppe raccontare con autenticità il respiro del Mediterraneo e la malinconica bellezza della vita semplice. Giuseppe Pesa nacque a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, il 1° novembre 1928. Fin da giovanissimo manifestò una naturale inclinazione per il disegno e la pittura, frequentando corsi d’arte a Napoli e a Roma nei primi anni della sua formazione.

    Nel 1946 tenne la sua prima mostra personale a Reggio Calabria, e tre anni dopo, nel 1949, espose a Roma, segnando l’inizio di una carriera artistica che avrebbe presto varcato i confini nazionali. Durante gli anni Cinquanta la sua presenza si consolidò anche all’estero: nel 1952 espose a Stoccolma e Oslo, nel 1954 nuovamente a Stoccolma e a Helsinki, nel 1957 a Milano e Torino, nel 1958 a Genova e Gallarate, e nel 1959 a Londra.

    Con il passare degli anni Pesa trovò in Liguria — in particolare nella località di Camogli — una sorta di seconda patria. Qui visse a lungo, traendo ispirazione dal paesaggio marino, dalle case colorate a picco sul mare, dalle barche ormeggiate e dai riflessi cangianti della luce mediterranea. La sua pittura, caratterizzata da una luminosità intensa e da una tavolozza vibrante, rivelava una sensibilità capace di fondere il realismo del paesaggio tradizionale con una visione più istintiva e immediata della vita quotidiana. Le figure umane inserite nei panorami costieri, le architetture affacciate sull’acqua e gli scorci urbani diventavano, nelle sue tele, strumenti per esprimere armonia e sentimento.

    Sul piano stilistico, Pesa mantenne una figurazione riconoscibile, fedele a una pittura di luce e colore, senza aderire alle avanguardie più radicali. Le sue opere privilegiano la limpidezza cromatica e la costruzione equilibrata della composizione, con un linguaggio che predilige la poesia del quotidiano e la vibrazione emotiva delle cose semplici.

    Numerose sue opere figurano oggi in collezioni private e in aste internazionali, dove il suo nome è citato tra gli artisti del secondo dopoguerra italiano. La documentazione biografica su di lui rimane tuttavia frammentaria, e persino la data della sua morte è oggetto di incertezza: alcune fonti indicano il 1992, altre il 20 maggio 2000, nella sua città natale di Polistena. Ciò che rimane certo è il valore di un artista che, attraverso la luce e il colore, seppe raccontare con autenticità il respiro del Mediterraneo e la malinconica bellezza della vita semplice.

    STIMA min € 400 - max € 500

    Lotto 1  

    Giardino fiorito

    Giuseppe Pesa Giuseppe Pesa
    Polistena (RC) 1928 - 2000
    Olio su tela cm 18x24 firmato in basso a dx Giuseppe Pesa



    Giuseppe Pesa nacque a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, il 1° novembre 1928. Fin da giovanissimo manifestò una naturale inclinazione per il disegno e la pittura, frequentando corsi d’arte a Napoli e a Roma nei primi anni della sua formazione.
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    Nel 1946 tenne la sua prima mostra personale a Reggio Calabria, e tre anni dopo, nel 1949, espose a Roma, segnando l’inizio di una carriera artistica che avrebbe presto varcato i confini nazionali. Durante gli anni Cinquanta la sua presenza si consolidò anche all’estero: nel 1952 espose a Stoccolma e Oslo, nel 1954 nuovamente a Stoccolma e a Helsinki, nel 1957 a Milano e Torino, nel 1958 a Genova e Gallarate, e nel 1959 a Londra.

    Con il passare degli anni Pesa trovò in Liguria — in particolare nella località di Camogli — una sorta di seconda patria. Qui visse a lungo, traendo ispirazione dal paesaggio marino, dalle case colorate a picco sul mare, dalle barche ormeggiate e dai riflessi cangianti della luce mediterranea. La sua pittura, caratterizzata da una luminosità intensa e da una tavolozza vibrante, rivelava una sensibilità capace di fondere il realismo del paesaggio tradizionale con una visione più istintiva e immediata della vita quotidiana. Le figure umane inserite nei panorami costieri, le architetture affacciate sull’acqua e gli scorci urbani diventavano, nelle sue tele, strumenti per esprimere armonia e sentimento.

    Sul piano stilistico, Pesa mantenne una figurazione riconoscibile, fedele a una pittura di luce e colore, senza aderire alle avanguardie più radicali. Le sue opere privilegiano la limpidezza cromatica e la costruzione equilibrata della composizione, con un linguaggio che predilige la poesia del quotidiano e la vibrazione emotiva delle cose semplici.

    Numerose sue opere figurano oggi in collezioni private e in aste internazionali, dove il suo nome è citato tra gli artisti del secondo dopoguerra italiano. La documentazione biografica su di lui rimane tuttavia frammentaria, e persino la data della sua morte è oggetto di incertezza: alcune fonti indicano il 1992, altre il 20 maggio 2000, nella sua città natale di Polistena. Ciò che rimane certo è il valore di un artista che, attraverso la luce e il colore, seppe raccontare con autenticità il respiro del Mediterraneo e la malinconica bellezza della vita semplice. Giuseppe Pesa nacque a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, il 1° novembre 1928. Fin da giovanissimo manifestò una naturale inclinazione per il disegno e la pittura, frequentando corsi d’arte a Napoli e a Roma nei primi anni della sua formazione.

    Nel 1946 tenne la sua prima mostra personale a Reggio Calabria, e tre anni dopo, nel 1949, espose a Roma, segnando l’inizio di una carriera artistica che avrebbe presto varcato i confini nazionali. Durante gli anni Cinquanta la sua presenza si consolidò anche all’estero: nel 1952 espose a Stoccolma e Oslo, nel 1954 nuovamente a Stoccolma e a Helsinki, nel 1957 a Milano e Torino, nel 1958 a Genova e Gallarate, e nel 1959 a Londra.

    Con il passare degli anni Pesa trovò in Liguria — in particolare nella località di Camogli — una sorta di seconda patria. Qui visse a lungo, traendo ispirazione dal paesaggio marino, dalle case colorate a picco sul mare, dalle barche ormeggiate e dai riflessi cangianti della luce mediterranea. La sua pittura, caratterizzata da una luminosità intensa e da una tavolozza vibrante, rivelava una sensibilità capace di fondere il realismo del paesaggio tradizionale con una visione più istintiva e immediata della vita quotidiana. Le figure umane inserite nei panorami costieri, le architetture affacciate sull’acqua e gli scorci urbani diventavano, nelle sue tele, strumenti per esprimere armonia e sentimento.

    Sul piano stilistico, Pesa mantenne una figurazione riconoscibile, fedele a una pittura di luce e colore, senza aderire alle avanguardie più radicali. Le sue opere privilegiano la limpidezza cromatica e la costruzione equilibrata della composizione, con un linguaggio che predilige la poesia del quotidiano e la vibrazione emotiva delle cose semplici.

    Numerose sue opere figurano oggi in collezioni private e in aste internazionali, dove il suo nome è citato tra gli artisti del secondo dopoguerra italiano. La documentazione biografica su di lui rimane tuttavia frammentaria, e persino la data della sua morte è oggetto di incertezza: alcune fonti indicano il 1992, altre il 20 maggio 2000, nella sua città natale di Polistena. Ciò che rimane certo è il valore di un artista che, attraverso la luce e il colore, seppe raccontare con autenticità il respiro del Mediterraneo e la malinconica bellezza della vita semplice.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 2  

    Strada d'inverno

    Egidio Tonti
    Presicce (LE) 1887 - 1922
    Olio su tavola cm 21x31 firmato in basso a dx E.Tonti

    Egidio Tonti nacque nel 1887 a Presicce, un piccolo borgo del Salento, in provincia di Lecce. Fin da giovane mostrò una naturale inclinazione per l'arte, che lo spinse a trasferirsi nel 1905 a Napoli.
    Clicca per espandere

    Qui ebbe l’opportunità di formarsi nello studio di Giuseppe Casciaro, maestro apprezzato per i suoi paesaggi, da cui apprese la padronanza del colore e la sensibilità per le atmosfere naturali.

    Dopo l’esperienza napoletana, nel 1907 Tonti si stabilì a Firenze, dove aprì un proprio studio e si immerse nell’ambiente culturale della città. La sua carriera fu interrotta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, alla quale partecipò come soldato. Terminato il conflitto, riprese a dipingere ed esporre, presentando le sue opere in mostre personali a Firenze, Roma, Bruxelles e Bari.

    La sua pittura, improntata a un verismo delicato, si distingue per l’uso di ampie pennellate e una tavolozza raffinata, capace di cogliere la poesia delle vedute urbane e dei paesaggi. Tra i suoi soggetti preferiti si annoverano scorci veneziani, canali silenziosi e atmosfere sospese, interpretati con grande sensibilità luministica.

    Nel 1922 Tonti emigrò negli Stati Uniti, continuando la sua attività di pittore. Da quel momento le notizie su di lui si fanno più rade, sebbene alcune fonti riportino una sua presenza a Roma negli anni Cinquanta.

    STIMA min € 700 - max € 800

    Lotto 2  

    Strada d'inverno

    Egidio Tonti Egidio Tonti
    Presicce (LE) 1887 - 1922
    Olio su tavola cm 21x31 firmato in basso a dx E.Tonti

    Egidio Tonti nacque nel 1887 a Presicce, un piccolo borgo del Salento, in provincia di Lecce. Fin da giovane mostrò una naturale inclinazione per l'arte, che lo spinse a trasferirsi nel 1905 a Napoli.
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    Qui ebbe l’opportunità di formarsi nello studio di Giuseppe Casciaro, maestro apprezzato per i suoi paesaggi, da cui apprese la padronanza del colore e la sensibilità per le atmosfere naturali.

    Dopo l’esperienza napoletana, nel 1907 Tonti si stabilì a Firenze, dove aprì un proprio studio e si immerse nell’ambiente culturale della città. La sua carriera fu interrotta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, alla quale partecipò come soldato. Terminato il conflitto, riprese a dipingere ed esporre, presentando le sue opere in mostre personali a Firenze, Roma, Bruxelles e Bari.

    La sua pittura, improntata a un verismo delicato, si distingue per l’uso di ampie pennellate e una tavolozza raffinata, capace di cogliere la poesia delle vedute urbane e dei paesaggi. Tra i suoi soggetti preferiti si annoverano scorci veneziani, canali silenziosi e atmosfere sospese, interpretati con grande sensibilità luministica.

    Nel 1922 Tonti emigrò negli Stati Uniti, continuando la sua attività di pittore. Da quel momento le notizie su di lui si fanno più rade, sebbene alcune fonti riportino una sua presenza a Roma negli anni Cinquanta.



    6 offerte pre-asta Dettaglio
  • Emilio Notte
    Ceglie Messapica 1891 - Napoli 1982
    Olio su tavola cm 33x25 firmato in alto a dx E.Notte
    Esposto alla Biennale di Venezia del 1912.



    Emilio Notte nacque a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, il 30 gennaio 1891, da genitori veneti. In seguito ai trasferimenti dovuti all’impiego del padre, la famiglia si spostò in varie località del Sud Italia, esperienze che segnarono la sua formazione giovanile e la sua sensibilità artistica.
    Clicca per espandere

    Dopo aver studiato dapprima nel ginnasio locale, si trasferì a Napoli e poi a Firenze, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti e si formò alla scuola di maestri come Adolfo De Carolis e, indirettamente, Giovanni Fattori.

    Già durante gli anni di formazione emergente Notte manifestò un talento precoce: in età ancora molto giovane partecipò a importanti esposizioni e venne a contatto con l’ambiente delle avanguardie italiane. A Firenze trovò amicizie decisive — con scrittori, poeti e artisti legati all’ambiente de “La Giovine Etruria” — e fu introdotto al mondo futurista dalla cerchia di figure come Ardengo Soffici.

    Tra il 1914 e il 1918 Notte aderì formalmente al movimento futurista, anche se con una visione personale rispetto ai temi dominanti dell’epoca: pur partecipando al dinamismo plastico tipico del movimento, coltivò un’attenzione autentica per la figura, per la sofferenza umana e per la rappresentazione della vita quotidiana, anziché per la mera celebrazione della macchina o del progresso tecnico. Durante la Prima guerra mondiale prestò servizio sul fronte, dove rimase ferito, e ciò influenzò profondamente la sua pittura post-bellica.

    Nel corso degli anni Venti il suo stile conobbe una svolta: Notte progressivamente si allontanò dalle forme più radicali dell’avanguardia per avvicinarsi a un “ritorno all’ordine”, dialogando con la pittura rinascimentale, con la tradizione veneta e con un realismo magico sottile. Nel 1923 vinse un concorso per una cattedra presso il Liceo Artistico di Venezia, iniziando una lunga carriera didattica che lo vide insegnante a Roma e poi, dalla fine degli anni Venti, all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Qui, pur in un contesto spesso ostile e critico, svolse un ruolo importante nella diffusione della pittura moderna nel Meridione, influenzando generazioni di allievi.

    Durante gli anni Trenta e Quaranta la sua opera continuò a esplorare tematiche di impegno civile — come il lavoro, la guerra, la condizione umana — con un linguaggio pittorico sempre più personale e meditativo. Le sue composizioni grandi, intense e a volte allegoriche, testimoniano una profonda riflessione sul tempo, sul destino, sul sociale. Dagli anni Cinque alla fine della sua vita, Notte intraprese ulteriori percorsi di sperimentazione: la serie dei «neri» ispirata alle isole Eolie, la successiva serie dei «bianchi» con motivi simbolici-ermetici, e addirittura lavori che guardano allo spazio e all’astrofuturismo, segno della sua capacità di restare aperto alle trasformazioni culturali.

    Emilio Notte morì a Napoli il 7 luglio 1982, lasciando un’eredità artistica che attraversa il futurismo, il ritorno all’ordine, la riflessione sul contemporaneo e, infine, una sorta di poesia visiva unica nel panorama italiano del Novecento.

    STIMA min € 2000 - max € 2500

    Emilio Notte Emilio Notte
    Ceglie Messapica 1891 - Napoli 1982
    Olio su tavola cm 33x25 firmato in alto a dx E.Notte
    Esposto alla Biennale di Venezia del 1912.



    Emilio Notte nacque a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, il 30 gennaio 1891, da genitori veneti. In seguito ai trasferimenti dovuti all’impiego del padre, la famiglia si spostò in varie località del Sud Italia, esperienze che segnarono la sua formazione giovanile e la sua sensibilità artistica.
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    Dopo aver studiato dapprima nel ginnasio locale, si trasferì a Napoli e poi a Firenze, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti e si formò alla scuola di maestri come Adolfo De Carolis e, indirettamente, Giovanni Fattori.

    Già durante gli anni di formazione emergente Notte manifestò un talento precoce: in età ancora molto giovane partecipò a importanti esposizioni e venne a contatto con l’ambiente delle avanguardie italiane. A Firenze trovò amicizie decisive — con scrittori, poeti e artisti legati all’ambiente de “La Giovine Etruria” — e fu introdotto al mondo futurista dalla cerchia di figure come Ardengo Soffici.

    Tra il 1914 e il 1918 Notte aderì formalmente al movimento futurista, anche se con una visione personale rispetto ai temi dominanti dell’epoca: pur partecipando al dinamismo plastico tipico del movimento, coltivò un’attenzione autentica per la figura, per la sofferenza umana e per la rappresentazione della vita quotidiana, anziché per la mera celebrazione della macchina o del progresso tecnico. Durante la Prima guerra mondiale prestò servizio sul fronte, dove rimase ferito, e ciò influenzò profondamente la sua pittura post-bellica.

    Nel corso degli anni Venti il suo stile conobbe una svolta: Notte progressivamente si allontanò dalle forme più radicali dell’avanguardia per avvicinarsi a un “ritorno all’ordine”, dialogando con la pittura rinascimentale, con la tradizione veneta e con un realismo magico sottile. Nel 1923 vinse un concorso per una cattedra presso il Liceo Artistico di Venezia, iniziando una lunga carriera didattica che lo vide insegnante a Roma e poi, dalla fine degli anni Venti, all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Qui, pur in un contesto spesso ostile e critico, svolse un ruolo importante nella diffusione della pittura moderna nel Meridione, influenzando generazioni di allievi.

    Durante gli anni Trenta e Quaranta la sua opera continuò a esplorare tematiche di impegno civile — come il lavoro, la guerra, la condizione umana — con un linguaggio pittorico sempre più personale e meditativo. Le sue composizioni grandi, intense e a volte allegoriche, testimoniano una profonda riflessione sul tempo, sul destino, sul sociale. Dagli anni Cinque alla fine della sua vita, Notte intraprese ulteriori percorsi di sperimentazione: la serie dei «neri» ispirata alle isole Eolie, la successiva serie dei «bianchi» con motivi simbolici-ermetici, e addirittura lavori che guardano allo spazio e all’astrofuturismo, segno della sua capacità di restare aperto alle trasformazioni culturali.

    Emilio Notte morì a Napoli il 7 luglio 1982, lasciando un’eredità artistica che attraversa il futurismo, il ritorno all’ordine, la riflessione sul contemporaneo e, infine, una sorta di poesia visiva unica nel panorama italiano del Novecento.



    5 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 4  

    In campagna

    Attribuito a Federico Rossano
    Napoli 1835 - 1912
    Olio su tela cm 78x64 firmato in basso a dx A.R.



    Federico Rossano nacque a Napoli il 31 agosto 1835, da Vincenzo e Elisabetta. Fin da giovane si iscrisse al Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, inizialmente per frequentare la scuola di architettura, ma ben presto indirizzò il suo interesse verso la pittura, contro la volontà paterna.
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    Durante la sua formazione venne influenzato da maestri quali Giacinto Gigante e Filippo Palizzi, figure di spicco del paesaggismo napoletano, e coltivò una vocazione al paesaggio che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Nei primi anni Sessanta partecipò a importanti esposizioni in Italia, entrando in contatto con un ambiente pittorico in fermento.

    Intorno al 1858 si trasferì a Portici (o comunque alla zona della Villa Favorita nei pressi di Napoli) dove si aggregò, insieme ad artisti come Marco De Gregorio, Giuseppe De Nittis e Adriano Cecioni, al gruppo che passò alla storia come la cosiddetta “Scuola di Resìna”. In questo contesto Rossano partecipò all’elaborazione di un’idea di paesaggio più reale, spontanea e “per macchie”, denunciando l’eccessiva finitura e accademismo della pittura tradizionale.

    Nel 1872 prese parte all’Esposizione di belle arti di Milano; un anno dopo vinse una medaglia di seconda classe all’Esposizione universale di Vienna. A partire dalla metà degli anni Settanta si trasferì a Parigi, grazie anche all’invito di De Nittis, dove rimase per circa vent’anni. In Francia ampliò i suoi orizzonti pittorici: si fece influenzare dalla pittura della scuola di Barbizon e dall’impressionismo nascente, pur mantenendo un approccio personale e non del tutto imitatore. I suoi paesaggi parigini e delle campagne francesi sono caratterizzati da una resa luminosa e atmosferica, dove la natura sembra avvolta da una luce sognante piuttosto che descritta in modo minuzioso.

    Nel 1880 sposò Zélie Brocheton, figlia di un notaio di Soissons, stabilendo così un legame affettivo e personale che lo ancorò alla Francia. Tuttavia, dopo circa vent’anni di permanenza parigina, Rossano fece ritorno in Italia intorno al 1893, stabilendosi a Portici e successivamente a Napoli. Qui ottenne, per interessamento del pittore Domenico Morelli, la cattedra di paesaggio alla Regia Accademia di Belle Arti di Napoli, incarico che ricoprì con continuità. Partecipò anche a manifestazioni come la Biennale di Venezia (nel 1899, 1905, 1910).

    Artisticamente, Rossano si distingue per la sua fusione tra realismo verista e sensibilità luministica. Le sue opere paesaggistiche non puntano alla mera cronaca ma a cogliere l’atmosfera: la luce che pervade un campo, i riflessi sull’acqua, il taglio del cielo al tramonto. Pur dentro l’orizzonte della Scuola di Resìna, Rossano non aderì alla vita mondana o urbana con l’intensità dei suoi contemporanei: la sua scelta fu più contemplativa, legata alla natura e all’ambiente più quieto.

    Federico Rossano morì a Napoli il 15 maggio 1912.

    STIMA min € 2000 - max € 2500

    Lotto 4  

    In campagna

    Attribuito a Federico Rossano Attribuito a Federico Rossano
    Napoli 1835 - 1912
    Olio su tela cm 78x64 firmato in basso a dx A.R.



    Federico Rossano nacque a Napoli il 31 agosto 1835, da Vincenzo e Elisabetta. Fin da giovane si iscrisse al Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, inizialmente per frequentare la scuola di architettura, ma ben presto indirizzò il suo interesse verso la pittura, contro la volontà paterna.
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    Durante la sua formazione venne influenzato da maestri quali Giacinto Gigante e Filippo Palizzi, figure di spicco del paesaggismo napoletano, e coltivò una vocazione al paesaggio che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Nei primi anni Sessanta partecipò a importanti esposizioni in Italia, entrando in contatto con un ambiente pittorico in fermento.

    Intorno al 1858 si trasferì a Portici (o comunque alla zona della Villa Favorita nei pressi di Napoli) dove si aggregò, insieme ad artisti come Marco De Gregorio, Giuseppe De Nittis e Adriano Cecioni, al gruppo che passò alla storia come la cosiddetta “Scuola di Resìna”. In questo contesto Rossano partecipò all’elaborazione di un’idea di paesaggio più reale, spontanea e “per macchie”, denunciando l’eccessiva finitura e accademismo della pittura tradizionale.

    Nel 1872 prese parte all’Esposizione di belle arti di Milano; un anno dopo vinse una medaglia di seconda classe all’Esposizione universale di Vienna. A partire dalla metà degli anni Settanta si trasferì a Parigi, grazie anche all’invito di De Nittis, dove rimase per circa vent’anni. In Francia ampliò i suoi orizzonti pittorici: si fece influenzare dalla pittura della scuola di Barbizon e dall’impressionismo nascente, pur mantenendo un approccio personale e non del tutto imitatore. I suoi paesaggi parigini e delle campagne francesi sono caratterizzati da una resa luminosa e atmosferica, dove la natura sembra avvolta da una luce sognante piuttosto che descritta in modo minuzioso.

    Nel 1880 sposò Zélie Brocheton, figlia di un notaio di Soissons, stabilendo così un legame affettivo e personale che lo ancorò alla Francia. Tuttavia, dopo circa vent’anni di permanenza parigina, Rossano fece ritorno in Italia intorno al 1893, stabilendosi a Portici e successivamente a Napoli. Qui ottenne, per interessamento del pittore Domenico Morelli, la cattedra di paesaggio alla Regia Accademia di Belle Arti di Napoli, incarico che ricoprì con continuità. Partecipò anche a manifestazioni come la Biennale di Venezia (nel 1899, 1905, 1910).

    Artisticamente, Rossano si distingue per la sua fusione tra realismo verista e sensibilità luministica. Le sue opere paesaggistiche non puntano alla mera cronaca ma a cogliere l’atmosfera: la luce che pervade un campo, i riflessi sull’acqua, il taglio del cielo al tramonto. Pur dentro l’orizzonte della Scuola di Resìna, Rossano non aderì alla vita mondana o urbana con l’intensità dei suoi contemporanei: la sua scelta fu più contemplativa, legata alla natura e all’ambiente più quieto.

    Federico Rossano morì a Napoli il 15 maggio 1912.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 5  

    Ritratto di fanciulla

    Vincenzo Irolli
    Napoli 1860-1949
    Olio su tavola cm 16,5x15 firmato in basso a dx V.Irolli

    Nato a Napoli il 30 settembre 1860, l'artista studiò presso l'Istituto di Belle Arti di Napoli tra il 1877 e il 1880, avendo come maestri G. Toma, F.
    Clicca per espandere

    Maldarelli e lo scultore S. Lista. Fu profondamente influenzato dalle opere di F. P. Michetti, A. D'Orsi e A. Mancini viste all'Esposizione Nazionale di Napoli nel 1877. Debuttò alla XV Mostra della Società Promotrice di Napoli nel 1879 con "Felice rimembranza", vincendo il primo premio.

    Negli anni successivi, espose varie opere di ispirazione storica e ritratti, come "Sesto Tarquinio" e "L'attentato all'onore di Lucrezia". Il suo ritratto di Francesco Netti del 1884 esemplifica la sua abilità nel catturare il carattere e l'individualità delle figure. Tra il 1880 e il 1883, durante il servizio militare a Pavia, continuò a dipingere, realizzando opere come "Povera madre".

    Tornato a Napoli, frequentò artisti come Michetti e Sartorio e partecipò a varie esposizioni, ottenendo riconoscimenti per opere come "Amore e dovere" e "Maddalena moderna". Tra il 1889 e il 1890, partecipò alla decorazione della birreria Gambrinus di Napoli. Verso la fine degli anni '80, si dedicò al "secondo realismo", specializzandosi in scene di vita domestica e realismo popolare, influenzato da artisti come A. Cefaly e F. Palizzi.

    Le sue opere descrivono spesso interni rustici e scene familiari, come "Focolare domestico", "Il bacio della mamma" e "Bella lavandaia", esibendo una tecnica pittorica vivace e dettagliata. Le sue pitture di genere riscossero successo nei mercati internazionali di Parigi, Londra e Berlino, sebbene l'artista stesso considerasse quel periodo come uno dei più gravosi della sua vita, dovendo produrre opere accattivanti per motivi economici.

    Nel corso del Novecento, il suo stile divenne più fluido e rapido, con composizioni all'aperto e scene cittadine. Partecipò a numerose esposizioni nazionali e internazionali, ricevendo riconoscimenti per opere come "Primavera", "La prediletta", "Sogno primaverile" e "Spannocchiatrici". Le sue ultime partecipazioni espositive risalgono agli anni '30 e '40, culminando con la sua presenza alla I Annuale Nazionale del 1948 a Cava de' Tirreni.

    STIMA min € 1800 - max € 2000

    Lotto 5  

    Ritratto di fanciulla

    Vincenzo Irolli Vincenzo Irolli
    Napoli 1860-1949
    Olio su tavola cm 16,5x15 firmato in basso a dx V.Irolli

    Nato a Napoli il 30 settembre 1860, l'artista studiò presso l'Istituto di Belle Arti di Napoli tra il 1877 e il 1880, avendo come maestri G. Toma, F.
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    Maldarelli e lo scultore S. Lista. Fu profondamente influenzato dalle opere di F. P. Michetti, A. D'Orsi e A. Mancini viste all'Esposizione Nazionale di Napoli nel 1877. Debuttò alla XV Mostra della Società Promotrice di Napoli nel 1879 con "Felice rimembranza", vincendo il primo premio.

    Negli anni successivi, espose varie opere di ispirazione storica e ritratti, come "Sesto Tarquinio" e "L'attentato all'onore di Lucrezia". Il suo ritratto di Francesco Netti del 1884 esemplifica la sua abilità nel catturare il carattere e l'individualità delle figure. Tra il 1880 e il 1883, durante il servizio militare a Pavia, continuò a dipingere, realizzando opere come "Povera madre".

    Tornato a Napoli, frequentò artisti come Michetti e Sartorio e partecipò a varie esposizioni, ottenendo riconoscimenti per opere come "Amore e dovere" e "Maddalena moderna". Tra il 1889 e il 1890, partecipò alla decorazione della birreria Gambrinus di Napoli. Verso la fine degli anni '80, si dedicò al "secondo realismo", specializzandosi in scene di vita domestica e realismo popolare, influenzato da artisti come A. Cefaly e F. Palizzi.

    Le sue opere descrivono spesso interni rustici e scene familiari, come "Focolare domestico", "Il bacio della mamma" e "Bella lavandaia", esibendo una tecnica pittorica vivace e dettagliata. Le sue pitture di genere riscossero successo nei mercati internazionali di Parigi, Londra e Berlino, sebbene l'artista stesso considerasse quel periodo come uno dei più gravosi della sua vita, dovendo produrre opere accattivanti per motivi economici.

    Nel corso del Novecento, il suo stile divenne più fluido e rapido, con composizioni all'aperto e scene cittadine. Partecipò a numerose esposizioni nazionali e internazionali, ricevendo riconoscimenti per opere come "Primavera", "La prediletta", "Sogno primaverile" e "Spannocchiatrici". Le sue ultime partecipazioni espositive risalgono agli anni '30 e '40, culminando con la sua presenza alla I Annuale Nazionale del 1948 a Cava de' Tirreni.



    3 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 6  

    In preghiera

    Salvatore Balsamo
    Napoli 1894 - 1922
    Olio su tela cm 75,5x88 firmato in basso a dx S.Balsamo



    Salvatore Balsamo nacque a Napoli nel 1894 e vi morì nel 1922, a soli 28 anni. Durante la sua breve esistenza riuscì comunque a distinguersi come pittore partenopeo dalla mano vigorosa e dalla tavolozza corposa.
    Clicca per espandere



    Formatosi nella città natale, fu allievo di importanti maestri della pittura napoletana come Vincenzo Irolli, Giuseppe Casciaro e Eugenio Scorzelli, che gli trasmisero la sensibilità per il paesaggio e la luce mediterranea.

    La produzione di Balsamo si concentra principalmente su vedute e scene di vita napoletana, con predilezione per il Golfo, il lungomare, la marina e gli scorci popolari che evocano l’atmosfera vivace della città. Nel suo repertorio compaiono anche figure, contadine o ordinarie, immerse in ambienti che raccontano la quotidianità più che la grandezza eroica.

    Stile e linguaggio del pittore evidenziano un gusto per la pittura «per macchie», con pennellate energiche e una resa della luce che tende al tonale e all’atmosferico. L’influenza del maestro Casciaro è percepibile nella ricerca di coloriti brillanti, mentre l’immediatezza della scena e la scelta di soggetti familiari richiamano l’ambiente verista-napoletano.

    La sua carriera, pur breve, ha lasciato tracce in collezioni e mercati d’arte: alcune sue opere sono riconosciute per la loro qualità e ricercatezza sul mercato, soprattutto le vedute ambientate a Napoli, che ne sottolineano la capacità di cogliere con spontaneità e forza cromatica il paesaggio urbano e marino del capoluogo campano.

    La cesura della sua vita prematura ha probabilmente impedito un’evoluzione più ampia del suo linguaggio artistico; tuttavia, ciò che resta del suo lavoro testimonia l’esistenza di un talento autentico, intimamente legato al contesto partenopeo e capace di tradurlo in pittura con vigore e sincerità.

    In definitiva, Salvatore Balsamo si pone come un interprete della Napoli del primo Novecento, con uno sguardo diretto e una pittura che privilegia il tono, la luce e la sensibilità locale più che le avanguardie. Anche se la sua produzione è limitata per via della breve vita, il suo contributo alla pittura di paesaggio campana rappresenta un piccolo ma significativo tassello del panorama artistico napoletano del suo tempo.

    STIMA min € 1500 - max € 1800

    Lotto 6  

    In preghiera

    Salvatore Balsamo Salvatore Balsamo
    Napoli 1894 - 1922
    Olio su tela cm 75,5x88 firmato in basso a dx S.Balsamo



    Salvatore Balsamo nacque a Napoli nel 1894 e vi morì nel 1922, a soli 28 anni. Durante la sua breve esistenza riuscì comunque a distinguersi come pittore partenopeo dalla mano vigorosa e dalla tavolozza corposa.
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    Formatosi nella città natale, fu allievo di importanti maestri della pittura napoletana come Vincenzo Irolli, Giuseppe Casciaro e Eugenio Scorzelli, che gli trasmisero la sensibilità per il paesaggio e la luce mediterranea.

    La produzione di Balsamo si concentra principalmente su vedute e scene di vita napoletana, con predilezione per il Golfo, il lungomare, la marina e gli scorci popolari che evocano l’atmosfera vivace della città. Nel suo repertorio compaiono anche figure, contadine o ordinarie, immerse in ambienti che raccontano la quotidianità più che la grandezza eroica.

    Stile e linguaggio del pittore evidenziano un gusto per la pittura «per macchie», con pennellate energiche e una resa della luce che tende al tonale e all’atmosferico. L’influenza del maestro Casciaro è percepibile nella ricerca di coloriti brillanti, mentre l’immediatezza della scena e la scelta di soggetti familiari richiamano l’ambiente verista-napoletano.

    La sua carriera, pur breve, ha lasciato tracce in collezioni e mercati d’arte: alcune sue opere sono riconosciute per la loro qualità e ricercatezza sul mercato, soprattutto le vedute ambientate a Napoli, che ne sottolineano la capacità di cogliere con spontaneità e forza cromatica il paesaggio urbano e marino del capoluogo campano.

    La cesura della sua vita prematura ha probabilmente impedito un’evoluzione più ampia del suo linguaggio artistico; tuttavia, ciò che resta del suo lavoro testimonia l’esistenza di un talento autentico, intimamente legato al contesto partenopeo e capace di tradurlo in pittura con vigore e sincerità.

    In definitiva, Salvatore Balsamo si pone come un interprete della Napoli del primo Novecento, con uno sguardo diretto e una pittura che privilegia il tono, la luce e la sensibilità locale più che le avanguardie. Anche se la sua produzione è limitata per via della breve vita, il suo contributo alla pittura di paesaggio campana rappresenta un piccolo ma significativo tassello del panorama artistico napoletano del suo tempo.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 7  

    Scena familiare

    Nicola Biondi
    Capua (CE) 1866 - Napoli 1929
    Olio su tela cm 40x46,5 firmato in basso a dx N.Biondi



    Nicola Biondi nacque a Capua il 7 ottobre 1866 e si spense a Napoli il 25 novembre 1929. Allievo dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, frequentò inizialmente la scuola guida di Antonio Licata per poi trasferirsi nella classe di Gioacchino Toma, entrando così in contatto con la tradizione pittorica partenopea e con una formazione solida dal punto di vista tecnico.
    Clicca per espandere



    Ben presto Biondi si cimentò nella pittura di figure, scene di genere e ritratti ambientati in contesti quotidiani: tra i suoi soggetti ricorrenti troviamo contadini, figure in abiti semplici, momenti di vita domestica. La sua produzione risente dei fermenti artistici dell’Ottocento italiano, senza tuttavia aderire a sperimentalismi radicali: privilegia una resa nitida della figura, una tavolozza equilibrata e una composizione che mira a cogliere con immediatezza la realtà che lo circonda.

    Tra le opere più note si cita “Una partita a carte”, presentata alla Promotrice di Napoli, che ben esemplifica l’interesse dell’artista per il quotidiano e per il racconto pittorico nella chiave della scena intima. Le esposizioni cui partecipò costantemente testimoniano una carriera regolare: dal 1883 al 1911 prese parte con continuità alle mostre della Promotrice “Salvator Rosa” a Napoli, e più avanti alla Società degli Artisti Italiani a Firenze e ad altre manifestazioni nazionali ed internazionali.

    Stile e linguaggio di Biondi mostrano un’artista che, pur inserito in una tradizione regionale, seppe accostarsi con fiducia al mercato artistico e alle esigenze dell’epoca. Non fu un innovatore nella forma, ma un pittore sensibile alla luce, all’atmosfera, al carattere umano: nelle sue tele, la figura emerge con dignità, e la scena spesso semplice — acquista pregnanza tramite pennellate calibrate e attenzione al colore.

    Nel corso della carriera Biondi attrasse l’interesse del collezionismo: numerose sue opere sono comparsi sul mercato d’arte e continuano a circolare in aste e mostre; questo testimonia la persistenza del suo nome e dell’apprezzamento per una pittura che unisce mestiere e senso narrativo.

    In sintesi, Nicola Biondi rappresenta un interprete della pittura di genere italiana tra Ottocento e Novecento: ancorato al Sud, alla formazione partenopea, ma aperto al mondo della mostra e del mercato, riuscì a dar voce con sincerità e misura ad un repertorio di figure, momenti quotidiani e ambientazioni tranquille, con un tocco che valorizzava la verità della scena senza rinunciare alla qualità pittorica.

    STIMA min € 1800 - max € 2000

    Lotto 7  

    Scena familiare

    Nicola Biondi Nicola Biondi
    Capua (CE) 1866 - Napoli 1929
    Olio su tela cm 40x46,5 firmato in basso a dx N.Biondi



    Nicola Biondi nacque a Capua il 7 ottobre 1866 e si spense a Napoli il 25 novembre 1929. Allievo dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, frequentò inizialmente la scuola guida di Antonio Licata per poi trasferirsi nella classe di Gioacchino Toma, entrando così in contatto con la tradizione pittorica partenopea e con una formazione solida dal punto di vista tecnico.
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    Ben presto Biondi si cimentò nella pittura di figure, scene di genere e ritratti ambientati in contesti quotidiani: tra i suoi soggetti ricorrenti troviamo contadini, figure in abiti semplici, momenti di vita domestica. La sua produzione risente dei fermenti artistici dell’Ottocento italiano, senza tuttavia aderire a sperimentalismi radicali: privilegia una resa nitida della figura, una tavolozza equilibrata e una composizione che mira a cogliere con immediatezza la realtà che lo circonda.

    Tra le opere più note si cita “Una partita a carte”, presentata alla Promotrice di Napoli, che ben esemplifica l’interesse dell’artista per il quotidiano e per il racconto pittorico nella chiave della scena intima. Le esposizioni cui partecipò costantemente testimoniano una carriera regolare: dal 1883 al 1911 prese parte con continuità alle mostre della Promotrice “Salvator Rosa” a Napoli, e più avanti alla Società degli Artisti Italiani a Firenze e ad altre manifestazioni nazionali ed internazionali.

    Stile e linguaggio di Biondi mostrano un’artista che, pur inserito in una tradizione regionale, seppe accostarsi con fiducia al mercato artistico e alle esigenze dell’epoca. Non fu un innovatore nella forma, ma un pittore sensibile alla luce, all’atmosfera, al carattere umano: nelle sue tele, la figura emerge con dignità, e la scena spesso semplice — acquista pregnanza tramite pennellate calibrate e attenzione al colore.

    Nel corso della carriera Biondi attrasse l’interesse del collezionismo: numerose sue opere sono comparsi sul mercato d’arte e continuano a circolare in aste e mostre; questo testimonia la persistenza del suo nome e dell’apprezzamento per una pittura che unisce mestiere e senso narrativo.

    In sintesi, Nicola Biondi rappresenta un interprete della pittura di genere italiana tra Ottocento e Novecento: ancorato al Sud, alla formazione partenopea, ma aperto al mondo della mostra e del mercato, riuscì a dar voce con sincerità e misura ad un repertorio di figure, momenti quotidiani e ambientazioni tranquille, con un tocco che valorizzava la verità della scena senza rinunciare alla qualità pittorica.



    0 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 8  

    Venezia

    Marcello Iras Baldessari
    Innsbruck 1894 - Roma 1965
    Olio su tela cm 50x70 firmato in basso a dx Baldessari



    Roberto Marcello Iras Baldessari nacque il 23 marzo 1894 a Innsbruck, ma la sua famiglia si trasferì subito a Rovereto (Trentino), dove egli visse l’infanzia e gli anni giovanili. Frequentò gli studi presso la Scuola Reale Elisabettina di Rovereto e poi intraprese la formazione artistica all’Accademia di Belle Arti di Venezia dal 1908 al 1914, accrescendo le competenze tecniche e maturando contatti con le avanguardie del tempo.
    Clicca per espandere



    Durante la prima guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi, Baldessari aderì con entusiasmo al movimento futurista: si trasferì a Firenze nel 1915, entrò in contatto con le riviste e le correnti del futurismo e realizzò incisioni, oli e disegni dove la velocità, il dinamismo delle macchine e la fusione tra figura e ambiente divennero temi centrali. L’esperienza della guerra e gli spostamenti contribuirono a dare un segno forte alla sua sensibilità, che pur aperta alle sperimentazioni non dimenticò un richiamo al paesaggio e alla sua terra d’origine.

    Nel corso degli anni venti Baldessari soggiornò in vari Paesi europei (Francia, Spagna, Svizzera) e visse una fase di intensa sperimentazione che lo portò ad avvicinarsi al dadaismo e all’astrattismo. In questo periodo assunse anche il nome «Iras», pseudonimo con cui volle distinguersi da altri artisti Baldessari e che rappresenta la sua volontà di autonomia creativa. Dal 1936 si stabilì definitivamente a Rovereto, dove continuò a operare affiancando l’attività pittorica a quella incisoria.

    Il linguaggio di Baldessari si distingue per la coesistenza tra la lezione futurista — con i suoi versi di movimento, linee spezzate, colori intensi — e un amore per la natura, per il paesaggio alpino e urbano del Trentino e del Nord Italia. Le sue opere mostrano una tensione tra meccanismo e natura, tra la modernità tecnologica e il richiamo alla terra, restituendo un universo visivo dove la luce, la linea e la materia dialogano con forza.

    Roberto Marcello Iras Baldessari morì a Roma il 22 giugno 1965, lasciando un’eredità artistica che oggi è oggetto di studi e di mostre retrospettive, testimone di un percorso che attraversa alcune delle principali correnti del XX secolo in Italia senza perdere mai una cifra individuale e autentica.

    STIMA min € 2000 - max € 2500

    Lotto 8  

    Venezia

    Marcello Iras Baldessari Marcello Iras Baldessari
    Innsbruck 1894 - Roma 1965
    Olio su tela cm 50x70 firmato in basso a dx Baldessari



    Roberto Marcello Iras Baldessari nacque il 23 marzo 1894 a Innsbruck, ma la sua famiglia si trasferì subito a Rovereto (Trentino), dove egli visse l’infanzia e gli anni giovanili. Frequentò gli studi presso la Scuola Reale Elisabettina di Rovereto e poi intraprese la formazione artistica all’Accademia di Belle Arti di Venezia dal 1908 al 1914, accrescendo le competenze tecniche e maturando contatti con le avanguardie del tempo.
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    Durante la prima guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi, Baldessari aderì con entusiasmo al movimento futurista: si trasferì a Firenze nel 1915, entrò in contatto con le riviste e le correnti del futurismo e realizzò incisioni, oli e disegni dove la velocità, il dinamismo delle macchine e la fusione tra figura e ambiente divennero temi centrali. L’esperienza della guerra e gli spostamenti contribuirono a dare un segno forte alla sua sensibilità, che pur aperta alle sperimentazioni non dimenticò un richiamo al paesaggio e alla sua terra d’origine.

    Nel corso degli anni venti Baldessari soggiornò in vari Paesi europei (Francia, Spagna, Svizzera) e visse una fase di intensa sperimentazione che lo portò ad avvicinarsi al dadaismo e all’astrattismo. In questo periodo assunse anche il nome «Iras», pseudonimo con cui volle distinguersi da altri artisti Baldessari e che rappresenta la sua volontà di autonomia creativa. Dal 1936 si stabilì definitivamente a Rovereto, dove continuò a operare affiancando l’attività pittorica a quella incisoria.

    Il linguaggio di Baldessari si distingue per la coesistenza tra la lezione futurista — con i suoi versi di movimento, linee spezzate, colori intensi — e un amore per la natura, per il paesaggio alpino e urbano del Trentino e del Nord Italia. Le sue opere mostrano una tensione tra meccanismo e natura, tra la modernità tecnologica e il richiamo alla terra, restituendo un universo visivo dove la luce, la linea e la materia dialogano con forza.

    Roberto Marcello Iras Baldessari morì a Roma il 22 giugno 1965, lasciando un’eredità artistica che oggi è oggetto di studi e di mostre retrospettive, testimone di un percorso che attraversa alcune delle principali correnti del XX secolo in Italia senza perdere mai una cifra individuale e autentica.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Augusto Rey
    Alessandria d'Egitto 1864 - Livorno 1898
    Olio su cartone cm 24x32,5 firmato in basso a dx A.Rey

    Augusto Rey nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1837. Trasferitosi in giovane età a Livorno, studiò nello studio del pittore Betti.
    Clicca per espandere

    Successivamente si trasferì a Firenze, dove si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti, frequentando anche gli studi di artisti come Lega e i Tommasi. Durante la sua formazione, entrò in contatto con i principali esponenti del movimento macchiaiolo, tra cui Silvestro Lega, Giovanni Fattori e Telemaco Signorini.

    Nel 1895, Augusto Rey costruì una villa a Crespina, chiamata "La Favorita", situata di fronte alla villa della donna che amava. La villa divenne un punto di ritrovo per gli artisti dell'epoca, che spesso vi soggiornavano. Rey era noto per la sua abilità nel dipingere paesaggi dal vero, unendosi così alla corrente macchiaiola. La sua produzione artistica è relativamente scarsa, e alcune sue opere sono state erroneamente attribuite ad altri artisti più noti.

    Una delle sue opere più significative, "La raccolta delle olive", è conservata nel Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno. Questo dipinto, che rappresenta contadine al lavoro in un oliveto, è stato donato al museo nel 1899 per lascito testamentario dell'artista.
    Museo Civico Giovanni Fattori - Livorno

    Augusto Rey morì nel 1898.

    STIMA min € 1800 - max € 2000

    Augusto Rey Augusto Rey
    Alessandria d'Egitto 1864 - Livorno 1898
    Olio su cartone cm 24x32,5 firmato in basso a dx A.Rey

    Augusto Rey nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1837. Trasferitosi in giovane età a Livorno, studiò nello studio del pittore Betti.
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    Successivamente si trasferì a Firenze, dove si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti, frequentando anche gli studi di artisti come Lega e i Tommasi. Durante la sua formazione, entrò in contatto con i principali esponenti del movimento macchiaiolo, tra cui Silvestro Lega, Giovanni Fattori e Telemaco Signorini.

    Nel 1895, Augusto Rey costruì una villa a Crespina, chiamata "La Favorita", situata di fronte alla villa della donna che amava. La villa divenne un punto di ritrovo per gli artisti dell'epoca, che spesso vi soggiornavano. Rey era noto per la sua abilità nel dipingere paesaggi dal vero, unendosi così alla corrente macchiaiola. La sua produzione artistica è relativamente scarsa, e alcune sue opere sono state erroneamente attribuite ad altri artisti più noti.

    Una delle sue opere più significative, "La raccolta delle olive", è conservata nel Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno. Questo dipinto, che rappresenta contadine al lavoro in un oliveto, è stato donato al museo nel 1899 per lascito testamentario dell'artista.
    Museo Civico Giovanni Fattori - Livorno

    Augusto Rey morì nel 1898.



    0 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 10  

    Scena familiare 1937

    Cafiero Filippelli
    Livorno 1889 - 1973
    Olio su tavola cm 50x60 firmato in basso a sx C.Filippelli



    Cafiero Filippelli nacque a Livorno il 4 dicembre 1889 e vi morì nel febbraio del 1973. Appartenente al vivace panorama artistico della città labronica, formò la propria sensibilità pittorica entrando in contatto con la Scuola di Livorno e con gli ambienti toscani della fine dell’Ottocento e del primo Novecento.
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    Compì gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove incontrò maestri come Giovanni Fattori e Galileo Chini, grazie ai quali poté assorbire tanto l’eredità della macchia marinara quanto le suggestioni liberty.

    Allievo dello scultore Lorenzo Gori e dell’acquarellista Lorenzo Cecchi, Filippelli sviluppò un linguaggio che si colloca tra la tradizione post-macchiaiola e un più moderno senso dell’intimità domestica. È noto soprattutto per le sue “scene di interno” – ambienti familiari e quotidiani illuminati da luci artificiali, come lampade o candele, in cui l’illuminazione gioca un ruolo centrale nella resa atmosferica. Accanto a questi soggetti più raccolti, Filippelli dimostrò anche dimestichezza con la pittura en plein air, realizzando marine, paesaggi e figure femminili immerse nel panorama costiero o urbano di Livorno e dintorni.

    Nel corso della sua carriera partecipò a numerose esposizioni fra cui diverse edizioni della Biennale di Venezia e della Quadriennale di Roma, consolidando la sua presenza nel circuito dell’arte italiana del XX secolo. Filippelli fu inoltre membro del Gruppo Labronico, importante associazione di artisti livornesi che operava negli anni d’oro della città. La sua opera conobbe ampia diffusione sul mercato dell’arte, in particolare grazie al riconoscimento delle sue vedute e degli interni familiari, benché a partire dagli anni Cinquanta la sua produzione e la sua quotazione abbiano subito una graduale flessione.

    Dal punto di vista stilistico, Filippelli si distingue per un saldo mestiere pittorico, una tavolozza calibrata e una luce intimista che conferisce alle sue composizioni un tono raccolto, quasi meditativo. Le figure, quando presenti, paiono assorte in gesti quotidiani: un padre che legge, una madre che veglia sul bimbo, una famiglia riunita attorno al focolare. Non mancano tuttavia i soggetti più “esteriori” come vedute marine, barche ormeggiate, momenti di vita sul lungomare di Ardenza o in altri scorci livornesi, in cui l’artista sa tradurre la brezza, il riflesso dell’acqua, la luce della sera.

    Cafiero Filippelli rimane oggi un interprete significativo del gusto sostenuto della Livorno del suo tempo: un pittore che, pur non spingendosi verso le sperimentazioni radicali, seppe cogliere con sincerità e sensibilità il mondo che lo circondava – la famiglia, la casa, il mare, la luce – e tradurlo in immagini di intima verità.

    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Lotto 10  

    Scena familiare 1937

    Cafiero Filippelli Cafiero Filippelli
    Livorno 1889 - 1973
    Olio su tavola cm 50x60 firmato in basso a sx C.Filippelli



    Cafiero Filippelli nacque a Livorno il 4 dicembre 1889 e vi morì nel febbraio del 1973. Appartenente al vivace panorama artistico della città labronica, formò la propria sensibilità pittorica entrando in contatto con la Scuola di Livorno e con gli ambienti toscani della fine dell’Ottocento e del primo Novecento.
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    Compì gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove incontrò maestri come Giovanni Fattori e Galileo Chini, grazie ai quali poté assorbire tanto l’eredità della macchia marinara quanto le suggestioni liberty.

    Allievo dello scultore Lorenzo Gori e dell’acquarellista Lorenzo Cecchi, Filippelli sviluppò un linguaggio che si colloca tra la tradizione post-macchiaiola e un più moderno senso dell’intimità domestica. È noto soprattutto per le sue “scene di interno” – ambienti familiari e quotidiani illuminati da luci artificiali, come lampade o candele, in cui l’illuminazione gioca un ruolo centrale nella resa atmosferica. Accanto a questi soggetti più raccolti, Filippelli dimostrò anche dimestichezza con la pittura en plein air, realizzando marine, paesaggi e figure femminili immerse nel panorama costiero o urbano di Livorno e dintorni.

    Nel corso della sua carriera partecipò a numerose esposizioni fra cui diverse edizioni della Biennale di Venezia e della Quadriennale di Roma, consolidando la sua presenza nel circuito dell’arte italiana del XX secolo. Filippelli fu inoltre membro del Gruppo Labronico, importante associazione di artisti livornesi che operava negli anni d’oro della città. La sua opera conobbe ampia diffusione sul mercato dell’arte, in particolare grazie al riconoscimento delle sue vedute e degli interni familiari, benché a partire dagli anni Cinquanta la sua produzione e la sua quotazione abbiano subito una graduale flessione.

    Dal punto di vista stilistico, Filippelli si distingue per un saldo mestiere pittorico, una tavolozza calibrata e una luce intimista che conferisce alle sue composizioni un tono raccolto, quasi meditativo. Le figure, quando presenti, paiono assorte in gesti quotidiani: un padre che legge, una madre che veglia sul bimbo, una famiglia riunita attorno al focolare. Non mancano tuttavia i soggetti più “esteriori” come vedute marine, barche ormeggiate, momenti di vita sul lungomare di Ardenza o in altri scorci livornesi, in cui l’artista sa tradurre la brezza, il riflesso dell’acqua, la luce della sera.

    Cafiero Filippelli rimane oggi un interprete significativo del gusto sostenuto della Livorno del suo tempo: un pittore che, pur non spingendosi verso le sperimentazioni radicali, seppe cogliere con sincerità e sensibilità il mondo che lo circondava – la famiglia, la casa, il mare, la luce – e tradurlo in immagini di intima verità.



    12 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 11  

    Giornata di sole 1898

    Luigi Bertelli
    Firenze 1860 - Firenze 1920
    Olio su tavola cm 25x19,5 firmato in basso a sx L.Bertelli



    Luigi Bertelli nacque a Caselle, frazione di San Lazzaro di Savena (Bologna) nei pressi dell’Appennino emiliano, il 19 dicembre 1833 (alcune fonti riportano il 27 dicembre 1832). Figlio di una famiglia contadina e legata al mondo della fornace, Bertelli crebbe in un ambiente semplice ma animato da una sorprendente sensibilità verso la natura e il paesaggio.
    Clicca per espandere

    Autodidatta, in assenza di una formazione accademica - o perlomeno senza che questa fosse preponderante - sviluppò fin da giovane una passione per la pittura, soprattutto per il paesaggio: le terre emiliane, le colline, le cave di gesso e le campagne attorno a Bologna divennero per lui materia viva da osservare e tradurre in pittura.

    Nel 1861 partecipò all’Esposizione italiana di Firenze, e ben presto si affacciò al panorama espositivo nazionale. Un viaggio a Parigi nel 1867, in occasione dell’Esposizione universale, si rivelò decisivo per la sua sensibilità: qui entrò in contatto con l’arte dei paesaggisti francesi, con la Scuola di Barbizon e con artisti quali Jean‑Francois Millet, Jean‑Baptiste‑Camille Corot e Gustave Courbet, trovando uno slancio – pur rielaborato – verso una pittura più autentica e meno convenzionalmente accademica. Tornato in Emilia, si dedicò con costanza a dipingere all’aperto: la campagna, i boschi, i calanchi e le cave divennero soggetti ricorrenti, nei quali emergeva una ricerca della “verità” della natura, della materia, della luce e del silenzio più che della mera descrizione.

    Durante gli anni maturi la sua opera si fece riconoscere per una personale visione: la densità della materia pittorica, l’attenzione al colore e alla luce, la resa spesso meditativa e solitaria della natura sono tratti che lo distinguono. Le cosiddette “Cave di Monte Donato” rappresentano un momento significativo della sua ricerca: in quelle ambientazioni scavate, deserte e cangianti alla luce lucida dell’Appennino, Bertelli dipinse, con piglio quasi ascetico, la natura come luogo interiore. La sua pittura evitava le mode di superficie o l’effetto spettacolare a favore di un linguaggio più misurato e sincero.

    Partecipò a numerose mostre: a Firenze, Torino, Parma, Milano, Roma e Bologna. Tuttavia, nonostante il suo impegno, visse spesso in condizioni economiche modeste e non sempre ottenne il riconoscimento che a posteriori la critica gli attribuì. Morì a Bologna nel 1916Luigi Bertelli nacque a Caselle, frazione di San Lazzaro di Savena (Bologna) nei pressi dell’Appennino emiliano, il 19 dicembre 1833 (alcune fonti riportano il 27 dicembre 1832). Figlio di una famiglia contadina e legata al mondo della fornace, Bertelli crebbe in un ambiente semplice ma animato da una sorprendente sensibilità verso la natura e il paesaggio. Autodidatta, in assenza di una formazione accademica - o perlomeno senza che questa fosse preponderante - sviluppò fin da giovane una passione per la pittura, soprattutto per il paesaggio: le terre emiliane, le colline, le cave di gesso e le campagne attorno a Bologna divennero per lui materia viva da osservare e tradurre in pittura.

    Nel 1861 partecipò all’Esposizione italiana di Firenze, e ben presto si affacciò al panorama espositivo nazionale. Un viaggio a Parigi nel 1867, in occasione dell’Esposizione universale, si rivelò decisivo per la sua sensibilità: qui entrò in contatto con l’arte dei paesaggisti francesi, con la Scuola di Barbizon e con artisti quali Jean‑Francois Millet, Jean‑Baptiste‑Camille Corot e Gustave Courbet, trovando uno slancio – pur rielaborato – verso una pittura più autentica e meno convenzionalmente accademica. Tornato in Emilia, si dedicò con costanza a dipingere all’aperto: la campagna, i boschi, i calanchi e le cave divennero soggetti ricorrenti, nei quali emergeva una ricerca della “verità” della natura, della materia, della luce e del silenzio più che della mera descrizione.

    Durante gli anni maturi la sua opera si fece riconoscere per una personale visione: la densità della materia pittorica, l’attenzione al colore e alla luce, la resa spesso meditativa e solitaria della natura sono tratti che lo distinguono. Le cosiddette “Cave di Monte Donato” rappresentano un momento significativo della sua ricerca: in quelle ambientazioni scavate, deserte e cangianti alla luce lucida dell’Appennino, Bertelli dipinse, con piglio quasi ascetico, la natura come luogo interiore. La sua pittura evitava le mode di superficie o l’effetto spettacolare a favore di un linguaggio più misurato e sincero.

    Partecipò a numerose mostre: a Firenze, Torino, Parma, Milano, Roma e Bologna. Tuttavia, nonostante il suo impegno, visse spesso in condizioni economiche modeste e non sempre ottenne il riconoscimento che a posteriori la critica gli attribuì. Morì a Bologna nel 1916.

    STIMA min € 1800 - max € 2000

    Lotto 11  

    Giornata di sole 1898

    Luigi Bertelli Luigi Bertelli
    Firenze 1860 - Firenze 1920
    Olio su tavola cm 25x19,5 firmato in basso a sx L.Bertelli



    Luigi Bertelli nacque a Caselle, frazione di San Lazzaro di Savena (Bologna) nei pressi dell’Appennino emiliano, il 19 dicembre 1833 (alcune fonti riportano il 27 dicembre 1832). Figlio di una famiglia contadina e legata al mondo della fornace, Bertelli crebbe in un ambiente semplice ma animato da una sorprendente sensibilità verso la natura e il paesaggio.
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    Autodidatta, in assenza di una formazione accademica - o perlomeno senza che questa fosse preponderante - sviluppò fin da giovane una passione per la pittura, soprattutto per il paesaggio: le terre emiliane, le colline, le cave di gesso e le campagne attorno a Bologna divennero per lui materia viva da osservare e tradurre in pittura.

    Nel 1861 partecipò all’Esposizione italiana di Firenze, e ben presto si affacciò al panorama espositivo nazionale. Un viaggio a Parigi nel 1867, in occasione dell’Esposizione universale, si rivelò decisivo per la sua sensibilità: qui entrò in contatto con l’arte dei paesaggisti francesi, con la Scuola di Barbizon e con artisti quali Jean‑Francois Millet, Jean‑Baptiste‑Camille Corot e Gustave Courbet, trovando uno slancio – pur rielaborato – verso una pittura più autentica e meno convenzionalmente accademica. Tornato in Emilia, si dedicò con costanza a dipingere all’aperto: la campagna, i boschi, i calanchi e le cave divennero soggetti ricorrenti, nei quali emergeva una ricerca della “verità” della natura, della materia, della luce e del silenzio più che della mera descrizione.

    Durante gli anni maturi la sua opera si fece riconoscere per una personale visione: la densità della materia pittorica, l’attenzione al colore e alla luce, la resa spesso meditativa e solitaria della natura sono tratti che lo distinguono. Le cosiddette “Cave di Monte Donato” rappresentano un momento significativo della sua ricerca: in quelle ambientazioni scavate, deserte e cangianti alla luce lucida dell’Appennino, Bertelli dipinse, con piglio quasi ascetico, la natura come luogo interiore. La sua pittura evitava le mode di superficie o l’effetto spettacolare a favore di un linguaggio più misurato e sincero.

    Partecipò a numerose mostre: a Firenze, Torino, Parma, Milano, Roma e Bologna. Tuttavia, nonostante il suo impegno, visse spesso in condizioni economiche modeste e non sempre ottenne il riconoscimento che a posteriori la critica gli attribuì. Morì a Bologna nel 1916Luigi Bertelli nacque a Caselle, frazione di San Lazzaro di Savena (Bologna) nei pressi dell’Appennino emiliano, il 19 dicembre 1833 (alcune fonti riportano il 27 dicembre 1832). Figlio di una famiglia contadina e legata al mondo della fornace, Bertelli crebbe in un ambiente semplice ma animato da una sorprendente sensibilità verso la natura e il paesaggio. Autodidatta, in assenza di una formazione accademica - o perlomeno senza che questa fosse preponderante - sviluppò fin da giovane una passione per la pittura, soprattutto per il paesaggio: le terre emiliane, le colline, le cave di gesso e le campagne attorno a Bologna divennero per lui materia viva da osservare e tradurre in pittura.

    Nel 1861 partecipò all’Esposizione italiana di Firenze, e ben presto si affacciò al panorama espositivo nazionale. Un viaggio a Parigi nel 1867, in occasione dell’Esposizione universale, si rivelò decisivo per la sua sensibilità: qui entrò in contatto con l’arte dei paesaggisti francesi, con la Scuola di Barbizon e con artisti quali Jean‑Francois Millet, Jean‑Baptiste‑Camille Corot e Gustave Courbet, trovando uno slancio – pur rielaborato – verso una pittura più autentica e meno convenzionalmente accademica. Tornato in Emilia, si dedicò con costanza a dipingere all’aperto: la campagna, i boschi, i calanchi e le cave divennero soggetti ricorrenti, nei quali emergeva una ricerca della “verità” della natura, della materia, della luce e del silenzio più che della mera descrizione.

    Durante gli anni maturi la sua opera si fece riconoscere per una personale visione: la densità della materia pittorica, l’attenzione al colore e alla luce, la resa spesso meditativa e solitaria della natura sono tratti che lo distinguono. Le cosiddette “Cave di Monte Donato” rappresentano un momento significativo della sua ricerca: in quelle ambientazioni scavate, deserte e cangianti alla luce lucida dell’Appennino, Bertelli dipinse, con piglio quasi ascetico, la natura come luogo interiore. La sua pittura evitava le mode di superficie o l’effetto spettacolare a favore di un linguaggio più misurato e sincero.

    Partecipò a numerose mostre: a Firenze, Torino, Parma, Milano, Roma e Bologna. Tuttavia, nonostante il suo impegno, visse spesso in condizioni economiche modeste e non sempre ottenne il riconoscimento che a posteriori la critica gli attribuì. Morì a Bologna nel 1916.



    2 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 12  

    Scogliera sul mare

    Giuseppe Ferdinando Piana
    Bordighera 1864-1956
    Olio su tela cm 57x34 firmato in basso a dx G.Piana

    ​Giuseppe Ferdinando Piana nacque il 3 dicembre 1864 a Ceriana, un pittoresco borgo nell'entroterra di Sanremo, e morì il 29 aprile 1956 a Bordighera, cittadina costiera della Liguria. Fin da giovane, Piana mostrò una spiccata inclinazione per l'arte pittorica.
    Clicca per espandere

    Durante uno dei suoi soggiorni a Bordighera, il celebre pittore Ernest Meissonier suggerì ai genitori di Giuseppe di avviarlo agli studi artistici. Nel 1882, Piana si trasferì a Torino per frequentare l'Accademia Albertina, dove fu allievo dei maestri Francesco Gamba e Andrea Gastaldi. ​
    Il suo debutto artistico avvenne a Torino con opere come "A ponente di Bordighera, campagna ligure" e "Politica rustica". Nel 1898, realizzò "Studio d'artista", un dipinto che attirò l'attenzione del governo, che lo acquisì. Nel 1903, Piana si trasferì a Sesto San Giovanni e partecipò all'Esposizione Permanente di Milano, presentando l'opera "Pace", che ricevette elogi dalla critica, in particolare da parte di Gaetano Previati. Sempre nel 1906, fu invitato alla Mostra Nazionale di Milano, dove espose "Cortile dei leoni in Granada", "La danza delle olive" e "Mare dopo la pioggia"; quest'ultime due opere furono acquistate dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano.

    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Lotto 12  

    Scogliera sul mare

    Giuseppe Ferdinando Piana Giuseppe Ferdinando Piana
    Bordighera 1864-1956
    Olio su tela cm 57x34 firmato in basso a dx G.Piana

    ​Giuseppe Ferdinando Piana nacque il 3 dicembre 1864 a Ceriana, un pittoresco borgo nell'entroterra di Sanremo, e morì il 29 aprile 1956 a Bordighera, cittadina costiera della Liguria. Fin da giovane, Piana mostrò una spiccata inclinazione per l'arte pittorica.
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    Durante uno dei suoi soggiorni a Bordighera, il celebre pittore Ernest Meissonier suggerì ai genitori di Giuseppe di avviarlo agli studi artistici. Nel 1882, Piana si trasferì a Torino per frequentare l'Accademia Albertina, dove fu allievo dei maestri Francesco Gamba e Andrea Gastaldi. ​
    Il suo debutto artistico avvenne a Torino con opere come "A ponente di Bordighera, campagna ligure" e "Politica rustica". Nel 1898, realizzò "Studio d'artista", un dipinto che attirò l'attenzione del governo, che lo acquisì. Nel 1903, Piana si trasferì a Sesto San Giovanni e partecipò all'Esposizione Permanente di Milano, presentando l'opera "Pace", che ricevette elogi dalla critica, in particolare da parte di Gaetano Previati. Sempre nel 1906, fu invitato alla Mostra Nazionale di Milano, dove espose "Cortile dei leoni in Granada", "La danza delle olive" e "Mare dopo la pioggia"; quest'ultime due opere furono acquistate dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 13  

    Natura morta

    Giuseppe Ferdinando Piana
    Bordighera 1864-1956
    Olio su tavola cm 60x46 firmato in basso a sx G.Piana

    ​Giuseppe Ferdinando Piana nacque il 3 dicembre 1864 a Ceriana, un pittoresco borgo nell'entroterra di Sanremo, e morì il 29 aprile 1956 a Bordighera, cittadina costiera della Liguria. Fin da giovane, Piana mostrò una spiccata inclinazione per l'arte pittorica.
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    Durante uno dei suoi soggiorni a Bordighera, il celebre pittore Ernest Meissonier suggerì ai genitori di Giuseppe di avviarlo agli studi artistici. Nel 1882, Piana si trasferì a Torino per frequentare l'Accademia Albertina, dove fu allievo dei maestri Francesco Gamba e Andrea Gastaldi. ​
    Il suo debutto artistico avvenne a Torino con opere come "A ponente di Bordighera, campagna ligure" e "Politica rustica". Nel 1898, realizzò "Studio d'artista", un dipinto che attirò l'attenzione del governo, che lo acquisì. Nel 1903, Piana si trasferì a Sesto San Giovanni e partecipò all'Esposizione Permanente di Milano, presentando l'opera "Pace", che ricevette elogi dalla critica, in particolare da parte di Gaetano Previati. Sempre nel 1906, fu invitato alla Mostra Nazionale di Milano, dove espose "Cortile dei leoni in Granada", "La danza delle olive" e "Mare dopo la pioggia"; quest'ultime due opere furono acquistate dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano.

    STIMA min € 1800 - max € 2000

    Lotto 13  

    Natura morta

    Giuseppe Ferdinando Piana Giuseppe Ferdinando Piana
    Bordighera 1864-1956
    Olio su tavola cm 60x46 firmato in basso a sx G.Piana

    ​Giuseppe Ferdinando Piana nacque il 3 dicembre 1864 a Ceriana, un pittoresco borgo nell'entroterra di Sanremo, e morì il 29 aprile 1956 a Bordighera, cittadina costiera della Liguria. Fin da giovane, Piana mostrò una spiccata inclinazione per l'arte pittorica.
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    Durante uno dei suoi soggiorni a Bordighera, il celebre pittore Ernest Meissonier suggerì ai genitori di Giuseppe di avviarlo agli studi artistici. Nel 1882, Piana si trasferì a Torino per frequentare l'Accademia Albertina, dove fu allievo dei maestri Francesco Gamba e Andrea Gastaldi. ​
    Il suo debutto artistico avvenne a Torino con opere come "A ponente di Bordighera, campagna ligure" e "Politica rustica". Nel 1898, realizzò "Studio d'artista", un dipinto che attirò l'attenzione del governo, che lo acquisì. Nel 1903, Piana si trasferì a Sesto San Giovanni e partecipò all'Esposizione Permanente di Milano, presentando l'opera "Pace", che ricevette elogi dalla critica, in particolare da parte di Gaetano Previati. Sempre nel 1906, fu invitato alla Mostra Nazionale di Milano, dove espose "Cortile dei leoni in Granada", "La danza delle olive" e "Mare dopo la pioggia"; quest'ultime due opere furono acquistate dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 14  

    Sulla spiaggia

    Giuseppe Ferdinando Piana
    Bordighera 1864-1956
    Olio su cartone cm 16,5x24 firmato in basso a sx G.Piana

    ​Giuseppe Ferdinando Piana nacque il 3 dicembre 1864 a Ceriana, un pittoresco borgo nell'entroterra di Sanremo, e morì il 29 aprile 1956 a Bordighera, cittadina costiera della Liguria. Fin da giovane, Piana mostrò una spiccata inclinazione per l'arte pittorica.
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    Durante uno dei suoi soggiorni a Bordighera, il celebre pittore Ernest Meissonier suggerì ai genitori di Giuseppe di avviarlo agli studi artistici. Nel 1882, Piana si trasferì a Torino per frequentare l'Accademia Albertina, dove fu allievo dei maestri Francesco Gamba e Andrea Gastaldi. ​
    Il suo debutto artistico avvenne a Torino con opere come "A ponente di Bordighera, campagna ligure" e "Politica rustica". Nel 1898, realizzò "Studio d'artista", un dipinto che attirò l'attenzione del governo, che lo acquisì. Nel 1903, Piana si trasferì a Sesto San Giovanni e partecipò all'Esposizione Permanente di Milano, presentando l'opera "Pace", che ricevette elogi dalla critica, in particolare da parte di Gaetano Previati. Sempre nel 1906, fu invitato alla Mostra Nazionale di Milano, dove espose "Cortile dei leoni in Granada", "La danza delle olive" e "Mare dopo la pioggia"; quest'ultime due opere furono acquistate dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano.

    STIMA min € 1200 - max € 1400

    Lotto 14  

    Sulla spiaggia

    Giuseppe Ferdinando Piana Giuseppe Ferdinando Piana
    Bordighera 1864-1956
    Olio su cartone cm 16,5x24 firmato in basso a sx G.Piana

    ​Giuseppe Ferdinando Piana nacque il 3 dicembre 1864 a Ceriana, un pittoresco borgo nell'entroterra di Sanremo, e morì il 29 aprile 1956 a Bordighera, cittadina costiera della Liguria. Fin da giovane, Piana mostrò una spiccata inclinazione per l'arte pittorica.
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    Durante uno dei suoi soggiorni a Bordighera, il celebre pittore Ernest Meissonier suggerì ai genitori di Giuseppe di avviarlo agli studi artistici. Nel 1882, Piana si trasferì a Torino per frequentare l'Accademia Albertina, dove fu allievo dei maestri Francesco Gamba e Andrea Gastaldi. ​
    Il suo debutto artistico avvenne a Torino con opere come "A ponente di Bordighera, campagna ligure" e "Politica rustica". Nel 1898, realizzò "Studio d'artista", un dipinto che attirò l'attenzione del governo, che lo acquisì. Nel 1903, Piana si trasferì a Sesto San Giovanni e partecipò all'Esposizione Permanente di Milano, presentando l'opera "Pace", che ricevette elogi dalla critica, in particolare da parte di Gaetano Previati. Sempre nel 1906, fu invitato alla Mostra Nazionale di Milano, dove espose "Cortile dei leoni in Granada", "La danza delle olive" e "Mare dopo la pioggia"; quest'ultime due opere furono acquistate dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 15  

    Lavorando nei campi

    Giuseppe Augusto Levis
    Chiomonte (TO) 1873 - Racconigi ( CN) 1926
    Olio su tavola cm 44,5x31 firmato in basso a sx G.Levis



    Giuseppe Augusto Levis nacque a Chiomonte (in Val di Susa, Piemonte) nel 1873, da una famiglia di buone condizioni economiche: il padre era un impresario edile di origini biellesi, la madre una donna di famiglia agiata con proprietà nella valle. Dopo gli studi classici e alcuni anni iscritti alla facoltà di Giurisprudenza a Torino, Levis decise di dedicarsi alla pittura, appassionato della natura e del paesaggio alpino.
    Clicca per espandere



    Nel 1901 entrò a far parte della cerchia di allievi del pittore Lorenzo Delleani, dal quale apprese la pittura «dal vero», ossia fatta sul posto, lungo i boschi e le valli del Biellese e della Valle d’Aosta. Da quell’esperienza ereditò la capacità di cogliere la luce mutevole e i riflessi che animano gli ambienti naturali: pini, massi, ruscelli, atmosfere alpine.

    L’attività artistica di Levis si sviluppò in parallelo ­– e non separatamente – alla sua partecipazione alla vita pubblica: fu consigliere comunale nel suo paese, poi sindaco di Chiomonte, e mantenne cariche locali che testimoniano l’impegno civico dello stesso artista. Durante la Prima Guerra Mondiale partecipò volontario al Genio Ferrovieri, esperienza che lo segnò anche come uomo e come pittore.

    Nel suo lavoro pittorico gli anni ‘10 e ‘20 videro una produzione intensa: paesaggi montani, boschi carichi di luce, vallate inondati da sole o avvolti da nebbie, ma anche scene di vita contadina, processioni nelle valli alpine, momenti collettivi che s’immergono nel luogo. Lo stile di Levis è figurativo, radicato nella tradizione della pittura piemontese del paesaggio e dell’ambiente alpino, ma con una sensibilità personale che privilegia l’istantaneità della luce, la pennellata materica, la vibrazione cromatica. Non si trattava di una pittura di puro decoro, ma di una pittura che sente la natura, la vive, la interpreta.

    Sul piano tecnico, Levis usa tele e tavolette, segna spesso in basso la data precisa dell’esecuzione, e le sue composizioni mostrano una qualità «tattile»: la materia pittorica è visibile, le pennellate sono piene, il contorno non sempre raccolto al minimo dettaglio ma suggerito nella luce e nell’atmosfera. Il soggetto più ricorrente è il paesaggio montano: boschi, ruscelli, montagne, nevicate, accampamenti militari; secondo alcuni, anche aspetti della guerra stessa.

    Giuseppe Augusto Levis morì nel 1926 a RacconigiGiuseppe Augusto Levis nacque a Chiomonte (in Val di Susa, Piemonte) nel 1873, da una famiglia di buone condizioni economiche: il padre era un impresario edile di origini biellesi, la madre una donna di famiglia agiata con proprietà nella valle. Dopo gli studi classici e alcuni anni iscritti alla facoltà di Giurisprudenza a Torino, Levis decise di dedicarsi alla pittura, appassionato della natura e del paesaggio alpino.

    Nel 1901 entrò a far parte della cerchia di allievi del pittore Lorenzo Delleani, dal quale apprese la pittura «dal vero», ossia fatta sul posto, lungo i boschi e le valli del Biellese e della Valle d’Aosta. Da quell’esperienza ereditò la capacità di cogliere la luce mutevole e i riflessi che animano gli ambienti naturali: pini, massi, ruscelli, atmosfere alpine.

    L’attività artistica di Levis si sviluppò in parallelo ­– e non separatamente – alla sua partecipazione alla vita pubblica: fu consigliere comunale nel suo paese, poi sindaco di Chiomonte, e mantenne cariche locali che testimoniano l’impegno civico dello stesso artista. Durante la Prima Guerra Mondiale partecipò volontario al Genio Ferrovieri, esperienza che lo segnò anche come uomo e come pittore.

    Nel suo lavoro pittorico gli anni ‘10 e ‘20 videro una produzione intensa: paesaggi montani, boschi carichi di luce, vallate inondati da sole o avvolti da nebbie, ma anche scene di vita contadina, processioni nelle valli alpine, momenti collettivi che s’immergono nel luogo. Lo stile di Levis è figurativo, radicato nella tradizione della pittura piemontese del paesaggio e dell’ambiente alpino, ma con una sensibilità personale che privilegia l’istantaneità della luce, la pennellata materica, la vibrazione cromatica. Non si trattava di una pittura di puro decoro, ma di una pittura che sente la natura, la vive, la interpreta.

    Sul piano tecnico, Levis usa tele e tavolette, segna spesso in basso la data precisa dell’esecuzione, e le sue composizioni mostrano una qualità «tattile»: la materia pittorica è visibile, le pennellate sono piene, il contorno non sempre raccolto al minimo dettaglio ma suggerito nella luce e nell’atmosfera. Il soggetto più ricorrente è il paesaggio montano: boschi, ruscelli, montagne, nevicate, accampamenti militari; secondo alcuni, anche aspetti della guerra stessa.

    Giuseppe Augusto Levis morì nel 1926 a Racconigi.

    STIMA min € 1800 - max € 2000

    Lotto 15  

    Lavorando nei campi

    Giuseppe Augusto Levis Giuseppe Augusto Levis
    Chiomonte (TO) 1873 - Racconigi ( CN) 1926
    Olio su tavola cm 44,5x31 firmato in basso a sx G.Levis



    Giuseppe Augusto Levis nacque a Chiomonte (in Val di Susa, Piemonte) nel 1873, da una famiglia di buone condizioni economiche: il padre era un impresario edile di origini biellesi, la madre una donna di famiglia agiata con proprietà nella valle. Dopo gli studi classici e alcuni anni iscritti alla facoltà di Giurisprudenza a Torino, Levis decise di dedicarsi alla pittura, appassionato della natura e del paesaggio alpino.
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    Nel 1901 entrò a far parte della cerchia di allievi del pittore Lorenzo Delleani, dal quale apprese la pittura «dal vero», ossia fatta sul posto, lungo i boschi e le valli del Biellese e della Valle d’Aosta. Da quell’esperienza ereditò la capacità di cogliere la luce mutevole e i riflessi che animano gli ambienti naturali: pini, massi, ruscelli, atmosfere alpine.

    L’attività artistica di Levis si sviluppò in parallelo ­– e non separatamente – alla sua partecipazione alla vita pubblica: fu consigliere comunale nel suo paese, poi sindaco di Chiomonte, e mantenne cariche locali che testimoniano l’impegno civico dello stesso artista. Durante la Prima Guerra Mondiale partecipò volontario al Genio Ferrovieri, esperienza che lo segnò anche come uomo e come pittore.

    Nel suo lavoro pittorico gli anni ‘10 e ‘20 videro una produzione intensa: paesaggi montani, boschi carichi di luce, vallate inondati da sole o avvolti da nebbie, ma anche scene di vita contadina, processioni nelle valli alpine, momenti collettivi che s’immergono nel luogo. Lo stile di Levis è figurativo, radicato nella tradizione della pittura piemontese del paesaggio e dell’ambiente alpino, ma con una sensibilità personale che privilegia l’istantaneità della luce, la pennellata materica, la vibrazione cromatica. Non si trattava di una pittura di puro decoro, ma di una pittura che sente la natura, la vive, la interpreta.

    Sul piano tecnico, Levis usa tele e tavolette, segna spesso in basso la data precisa dell’esecuzione, e le sue composizioni mostrano una qualità «tattile»: la materia pittorica è visibile, le pennellate sono piene, il contorno non sempre raccolto al minimo dettaglio ma suggerito nella luce e nell’atmosfera. Il soggetto più ricorrente è il paesaggio montano: boschi, ruscelli, montagne, nevicate, accampamenti militari; secondo alcuni, anche aspetti della guerra stessa.

    Giuseppe Augusto Levis morì nel 1926 a RacconigiGiuseppe Augusto Levis nacque a Chiomonte (in Val di Susa, Piemonte) nel 1873, da una famiglia di buone condizioni economiche: il padre era un impresario edile di origini biellesi, la madre una donna di famiglia agiata con proprietà nella valle. Dopo gli studi classici e alcuni anni iscritti alla facoltà di Giurisprudenza a Torino, Levis decise di dedicarsi alla pittura, appassionato della natura e del paesaggio alpino.

    Nel 1901 entrò a far parte della cerchia di allievi del pittore Lorenzo Delleani, dal quale apprese la pittura «dal vero», ossia fatta sul posto, lungo i boschi e le valli del Biellese e della Valle d’Aosta. Da quell’esperienza ereditò la capacità di cogliere la luce mutevole e i riflessi che animano gli ambienti naturali: pini, massi, ruscelli, atmosfere alpine.

    L’attività artistica di Levis si sviluppò in parallelo ­– e non separatamente – alla sua partecipazione alla vita pubblica: fu consigliere comunale nel suo paese, poi sindaco di Chiomonte, e mantenne cariche locali che testimoniano l’impegno civico dello stesso artista. Durante la Prima Guerra Mondiale partecipò volontario al Genio Ferrovieri, esperienza che lo segnò anche come uomo e come pittore.

    Nel suo lavoro pittorico gli anni ‘10 e ‘20 videro una produzione intensa: paesaggi montani, boschi carichi di luce, vallate inondati da sole o avvolti da nebbie, ma anche scene di vita contadina, processioni nelle valli alpine, momenti collettivi che s’immergono nel luogo. Lo stile di Levis è figurativo, radicato nella tradizione della pittura piemontese del paesaggio e dell’ambiente alpino, ma con una sensibilità personale che privilegia l’istantaneità della luce, la pennellata materica, la vibrazione cromatica. Non si trattava di una pittura di puro decoro, ma di una pittura che sente la natura, la vive, la interpreta.

    Sul piano tecnico, Levis usa tele e tavolette, segna spesso in basso la data precisa dell’esecuzione, e le sue composizioni mostrano una qualità «tattile»: la materia pittorica è visibile, le pennellate sono piene, il contorno non sempre raccolto al minimo dettaglio ma suggerito nella luce e nell’atmosfera. Il soggetto più ricorrente è il paesaggio montano: boschi, ruscelli, montagne, nevicate, accampamenti militari; secondo alcuni, anche aspetti della guerra stessa.

    Giuseppe Augusto Levis morì nel 1926 a Racconigi.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 16  

    Scena di cortile

    Ernesto Pochintesta
    Stradella 1840 - Torino 1892
    Olio su tela cm 37x45 firmato in basso a dx E.Pochintesta



    Ernesto Pochintesta nacque il 18 gennaio 1840 a Stradella (Pavia), in una famiglia di proprietari terrieri con origini nobiliari ferraresi. Sin da giovane mostrò una certa inclinazione per l’arte, pur avendo inizialmente intrapreso una carriera militare: partecipò alla Seconda guerra d’Indipendenza come sottotenente e successivamente servì nel 53º Reggimento di Fanteria “Umbria”.
    Clicca per espandere

    Dopo il congedo dall’esercito intraprese la via della pittura, trasferendosi a Torino dove frequentò l’Accademia Albertina sotto la guida del pittore Antonio Fontanesi.

    Pochintesta si inserì nella corrente paesaggistica della seconda metà dell’Ottocento, dedicandosi quasi esclusivamente al paesaggio e alle vedute naturalistiche. Durante un soggiorno a Parigi nel 1875-77 ampliò i suoi orizzonti: espose al Salon del 1876 e 1877, venne in contatto con gli ambienti delle avanguardie e si interessò al paesaggismo francese, in particolare a figure come Camille Corot. Pur non riscuotendo in Francia il successo sperato, tornò in Italia verso il 1880 e si stabilì nuovamente a Torino, continuando a lavorare con costanza.

    Le sue opere – tra le quali “Rive del Po”, “Campagna ferrarese”, “A Issogne” – testimoniano un approccio realistico alla natura: Pochintesta predilige scenari fluviali, boschi, valli, carreggiate silenziose. La luce che pervade i suoi quadri è spesso morbida, il cielo carico di atmosfera, la scena vissuta più che idealizzata. Talvolta realizzò anche incisioni e acqueforti, pubblicate in Piemonte e Liguria, segno della sua versatilità.

    Nonostante la qualità della sua pittura, Pochintesta visse gli ultimi anni in condizioni economiche sempre più precarie a causa di investimenti infelici. Il 13 gennaio 1892 morì a Torino, meno di due settimane prima del suo 52º compleanno.

    STIMA min € 1200 - max € 1400

    Lotto 16  

    Scena di cortile

    Ernesto Pochintesta Ernesto Pochintesta
    Stradella 1840 - Torino 1892
    Olio su tela cm 37x45 firmato in basso a dx E.Pochintesta



    Ernesto Pochintesta nacque il 18 gennaio 1840 a Stradella (Pavia), in una famiglia di proprietari terrieri con origini nobiliari ferraresi. Sin da giovane mostrò una certa inclinazione per l’arte, pur avendo inizialmente intrapreso una carriera militare: partecipò alla Seconda guerra d’Indipendenza come sottotenente e successivamente servì nel 53º Reggimento di Fanteria “Umbria”.
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    Dopo il congedo dall’esercito intraprese la via della pittura, trasferendosi a Torino dove frequentò l’Accademia Albertina sotto la guida del pittore Antonio Fontanesi.

    Pochintesta si inserì nella corrente paesaggistica della seconda metà dell’Ottocento, dedicandosi quasi esclusivamente al paesaggio e alle vedute naturalistiche. Durante un soggiorno a Parigi nel 1875-77 ampliò i suoi orizzonti: espose al Salon del 1876 e 1877, venne in contatto con gli ambienti delle avanguardie e si interessò al paesaggismo francese, in particolare a figure come Camille Corot. Pur non riscuotendo in Francia il successo sperato, tornò in Italia verso il 1880 e si stabilì nuovamente a Torino, continuando a lavorare con costanza.

    Le sue opere – tra le quali “Rive del Po”, “Campagna ferrarese”, “A Issogne” – testimoniano un approccio realistico alla natura: Pochintesta predilige scenari fluviali, boschi, valli, carreggiate silenziose. La luce che pervade i suoi quadri è spesso morbida, il cielo carico di atmosfera, la scena vissuta più che idealizzata. Talvolta realizzò anche incisioni e acqueforti, pubblicate in Piemonte e Liguria, segno della sua versatilità.

    Nonostante la qualità della sua pittura, Pochintesta visse gli ultimi anni in condizioni economiche sempre più precarie a causa di investimenti infelici. Il 13 gennaio 1892 morì a Torino, meno di due settimane prima del suo 52º compleanno.



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  • Lotto 17  

    Giornata di caccia

    Ernesto Pochintesta
    Stradella 1840 - Torino 1892
    Olio su tela cm 37x45 firmato in basso a dx E.Pochintesta



    Ernesto Pochintesta nacque il 18 gennaio 1840 a Stradella (Pavia), in una famiglia di proprietari terrieri con origini nobiliari ferraresi. Sin da giovane mostrò una certa inclinazione per l’arte, pur avendo inizialmente intrapreso una carriera militare: partecipò alla Seconda guerra d’Indipendenza come sottotenente e successivamente servì nel 53º Reggimento di Fanteria “Umbria”.
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    Dopo il congedo dall’esercito intraprese la via della pittura, trasferendosi a Torino dove frequentò l’Accademia Albertina sotto la guida del pittore Antonio Fontanesi.

    Pochintesta si inserì nella corrente paesaggistica della seconda metà dell’Ottocento, dedicandosi quasi esclusivamente al paesaggio e alle vedute naturalistiche. Durante un soggiorno a Parigi nel 1875-77 ampliò i suoi orizzonti: espose al Salon del 1876 e 1877, venne in contatto con gli ambienti delle avanguardie e si interessò al paesaggismo francese, in particolare a figure come Camille Corot. Pur non riscuotendo in Francia il successo sperato, tornò in Italia verso il 1880 e si stabilì nuovamente a Torino, continuando a lavorare con costanza.

    Le sue opere – tra le quali “Rive del Po”, “Campagna ferrarese”, “A Issogne” – testimoniano un approccio realistico alla natura: Pochintesta predilige scenari fluviali, boschi, valli, carreggiate silenziose. La luce che pervade i suoi quadri è spesso morbida, il cielo carico di atmosfera, la scena vissuta più che idealizzata. Talvolta realizzò anche incisioni e acqueforti, pubblicate in Piemonte e Liguria, segno della sua versatilità.

    Nonostante la qualità della sua pittura, Pochintesta visse gli ultimi anni in condizioni economiche sempre più precarie a causa di investimenti infelici. Il 13 gennaio 1892 morì a Torino, meno di due settimane prima del suo 52º compleanno.

    STIMA min € 1200 - max € 1400

    Lotto 17  

    Giornata di caccia

    Ernesto Pochintesta Ernesto Pochintesta
    Stradella 1840 - Torino 1892
    Olio su tela cm 37x45 firmato in basso a dx E.Pochintesta



    Ernesto Pochintesta nacque il 18 gennaio 1840 a Stradella (Pavia), in una famiglia di proprietari terrieri con origini nobiliari ferraresi. Sin da giovane mostrò una certa inclinazione per l’arte, pur avendo inizialmente intrapreso una carriera militare: partecipò alla Seconda guerra d’Indipendenza come sottotenente e successivamente servì nel 53º Reggimento di Fanteria “Umbria”.
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    Dopo il congedo dall’esercito intraprese la via della pittura, trasferendosi a Torino dove frequentò l’Accademia Albertina sotto la guida del pittore Antonio Fontanesi.

    Pochintesta si inserì nella corrente paesaggistica della seconda metà dell’Ottocento, dedicandosi quasi esclusivamente al paesaggio e alle vedute naturalistiche. Durante un soggiorno a Parigi nel 1875-77 ampliò i suoi orizzonti: espose al Salon del 1876 e 1877, venne in contatto con gli ambienti delle avanguardie e si interessò al paesaggismo francese, in particolare a figure come Camille Corot. Pur non riscuotendo in Francia il successo sperato, tornò in Italia verso il 1880 e si stabilì nuovamente a Torino, continuando a lavorare con costanza.

    Le sue opere – tra le quali “Rive del Po”, “Campagna ferrarese”, “A Issogne” – testimoniano un approccio realistico alla natura: Pochintesta predilige scenari fluviali, boschi, valli, carreggiate silenziose. La luce che pervade i suoi quadri è spesso morbida, il cielo carico di atmosfera, la scena vissuta più che idealizzata. Talvolta realizzò anche incisioni e acqueforti, pubblicate in Piemonte e Liguria, segno della sua versatilità.

    Nonostante la qualità della sua pittura, Pochintesta visse gli ultimi anni in condizioni economiche sempre più precarie a causa di investimenti infelici. Il 13 gennaio 1892 morì a Torino, meno di due settimane prima del suo 52º compleanno.



    0 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 18  

    Ultime luci del giorno

    Carlo Vittori
    Cremona 1881 - 1943
    Olio su cartone cm 34x44,5 firmato in basso a dx C.Vittori



    Carlo Vittori nacque a Cremona nel 1881 e vi morì nel 1943. La sua vita e la sua opera restano legate in modo profondo alla terra lombarda, ai paesaggi del Po e alla vita silenziosa della campagna padana, che rappresentò con sensibilità e fedeltà poetica.
    Clicca per espandere



    Fin dagli inizi mostrò un talento naturale per il disegno e la pittura, che lo condussero a dedicarsi soprattutto al paesaggio e alle scene rurali. I soggetti più ricorrenti nelle sue opere sono le rive dei fiumi, i mulini, le case contadine, gli argini immersi nella nebbia o nella luce dorata del tramonto. Vittori fu un osservatore attento del mondo che lo circondava: nelle sue tele la natura non è sfondo, ma protagonista, animata dalla presenza discreta di figure umane o animali che si integrano armoniosamente nell’ambiente.

    La sua pittura si distingue per un realismo poetico, lontano da ogni artificio accademico. Nei suoi quadri la luce si diffonde morbida, il colore è caldo e modulato, la pennellata rapida ma controllata restituisce la vibrazione dell’aria e delle stagioni. Vittori non inseguì le avanguardie del suo tempo, preferendo rimanere fedele a un linguaggio intimo e personale, in cui il paesaggio diventa anche metafora dell’animo umano: solitudine, fatica, serenità e malinconia convivono in equilibrio.

    Artista schivo e riservato, lavorò perlopiù lontano dai centri artistici maggiori, trovando nella provincia lombarda la sua ispirazione più autentica. I suoi dipinti, pur non appartenendo ai grandi movimenti dell’epoca, sono stati spesso accostati a quelli dei pittori veristi e postmacchiaioli per l’attenzione al vero e per la profondità emotiva con cui riesce a trasmettere il senso del tempo e della natura.

    STIMA min € 700 - max € 800

    Lotto 18  

    Ultime luci del giorno

    Carlo Vittori Carlo Vittori
    Cremona 1881 - 1943
    Olio su cartone cm 34x44,5 firmato in basso a dx C.Vittori



    Carlo Vittori nacque a Cremona nel 1881 e vi morì nel 1943. La sua vita e la sua opera restano legate in modo profondo alla terra lombarda, ai paesaggi del Po e alla vita silenziosa della campagna padana, che rappresentò con sensibilità e fedeltà poetica.
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    Fin dagli inizi mostrò un talento naturale per il disegno e la pittura, che lo condussero a dedicarsi soprattutto al paesaggio e alle scene rurali. I soggetti più ricorrenti nelle sue opere sono le rive dei fiumi, i mulini, le case contadine, gli argini immersi nella nebbia o nella luce dorata del tramonto. Vittori fu un osservatore attento del mondo che lo circondava: nelle sue tele la natura non è sfondo, ma protagonista, animata dalla presenza discreta di figure umane o animali che si integrano armoniosamente nell’ambiente.

    La sua pittura si distingue per un realismo poetico, lontano da ogni artificio accademico. Nei suoi quadri la luce si diffonde morbida, il colore è caldo e modulato, la pennellata rapida ma controllata restituisce la vibrazione dell’aria e delle stagioni. Vittori non inseguì le avanguardie del suo tempo, preferendo rimanere fedele a un linguaggio intimo e personale, in cui il paesaggio diventa anche metafora dell’animo umano: solitudine, fatica, serenità e malinconia convivono in equilibrio.

    Artista schivo e riservato, lavorò perlopiù lontano dai centri artistici maggiori, trovando nella provincia lombarda la sua ispirazione più autentica. I suoi dipinti, pur non appartenendo ai grandi movimenti dell’epoca, sono stati spesso accostati a quelli dei pittori veristi e postmacchiaioli per l’attenzione al vero e per la profondità emotiva con cui riesce a trasmettere il senso del tempo e della natura.



    4 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 19  

    Via di paese

    Achille Formis
    Napoli 1830 - Milano 1906
    Olio su tavola cm 60x29 firmato in basso a sx A.Formis



    Achille Formis, nato Achille Befani l’15 settembre 1832 a Napoli e morto il 28 ottobre 1906 a Milano, fu un pittore italiano che seppe coniugare una formazione legata al canto lirico con una successiva e profonda dedizione alla pittura del paesaggio e delle vedute. In giovane età frequentò l’Accademia di Belle Arti di Napoli e inizialmente coltivò la carriera di basso nei teatri italiani sotto lo pseudonimo “Formis” — cognome materno — prima di dedicarsi definitivamente all’arte visiva negli anni Sessanta.
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    Trasferitosi a Milano, intraprese un nuovo percorso iscrivendosi all’Accademia di Brera e immergendosi nell’ambiente milanese del paesaggismo lombardo. In quegli anni avviò un intenso lavoro “dal vero” nelle campagne, lungo laghi e fiumi del Nord Italia, in cui emergeva la sua predilezione per la natura osservata direttamente: boschi, rive, laghi, ma anche ambienti orientali che aveva visitato durante viaggi in Egitto e Turchia. Questi soggiorni nel Levante gli permisero di introdurre nella sua pittura tematiche esotiche — villaggi arabi, scene turche, la luce nord-africana — che accrebbero la varietà del suo repertorio.

    Lo stile di Formis si caratterizza per un’adesione sincera al paesaggio, con pennellate spesso rapide e tattili, tavolozza luminosa ma equilibrata e composizioni che alternano vasti spazi aperti a dettagli di vita quotidiana. Pur non aderendo alle correnti più radicali del suo tempo, egli fu riconosciuto come figura di spicco del naturalismo lombardo, collaborando e dialogando con artisti quali Eugenio Gignous. Le sue opere testimoniano una capacità di cogliere l’atmosfera di un luogo: il riflesso luminoso sul lago, la nebbia mattutina sulla pianura, il fascino orientale di una luce sconosciuta.

    Formis partecipò con regolarità alle Esposizioni nazionali di Belle Arti, mostre della Permanente di Milano e manifestazioni internazionali, ottenendo apprezzamento per la freschezza della visione e per la tecnica matura. Tra le sue opere più note si segnalano paesaggi sul lago di Varese, scene agricole mantovane e marine lagunari. Nell’ultimo periodo della sua carriera si fece più sottile nella stesura della materia e più audace nei tagli prospettici, pur restando fedele al suo linguaggio visivo sobrio e ben calibrato.

    Morì a Milano nel 1906.

    STIMA min € 800 - max € 1000

    Lotto 19  

    Via di paese

    Achille Formis Achille Formis
    Napoli 1830 - Milano 1906
    Olio su tavola cm 60x29 firmato in basso a sx A.Formis



    Achille Formis, nato Achille Befani l’15 settembre 1832 a Napoli e morto il 28 ottobre 1906 a Milano, fu un pittore italiano che seppe coniugare una formazione legata al canto lirico con una successiva e profonda dedizione alla pittura del paesaggio e delle vedute. In giovane età frequentò l’Accademia di Belle Arti di Napoli e inizialmente coltivò la carriera di basso nei teatri italiani sotto lo pseudonimo “Formis” — cognome materno — prima di dedicarsi definitivamente all’arte visiva negli anni Sessanta.
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    Trasferitosi a Milano, intraprese un nuovo percorso iscrivendosi all’Accademia di Brera e immergendosi nell’ambiente milanese del paesaggismo lombardo. In quegli anni avviò un intenso lavoro “dal vero” nelle campagne, lungo laghi e fiumi del Nord Italia, in cui emergeva la sua predilezione per la natura osservata direttamente: boschi, rive, laghi, ma anche ambienti orientali che aveva visitato durante viaggi in Egitto e Turchia. Questi soggiorni nel Levante gli permisero di introdurre nella sua pittura tematiche esotiche — villaggi arabi, scene turche, la luce nord-africana — che accrebbero la varietà del suo repertorio.

    Lo stile di Formis si caratterizza per un’adesione sincera al paesaggio, con pennellate spesso rapide e tattili, tavolozza luminosa ma equilibrata e composizioni che alternano vasti spazi aperti a dettagli di vita quotidiana. Pur non aderendo alle correnti più radicali del suo tempo, egli fu riconosciuto come figura di spicco del naturalismo lombardo, collaborando e dialogando con artisti quali Eugenio Gignous. Le sue opere testimoniano una capacità di cogliere l’atmosfera di un luogo: il riflesso luminoso sul lago, la nebbia mattutina sulla pianura, il fascino orientale di una luce sconosciuta.

    Formis partecipò con regolarità alle Esposizioni nazionali di Belle Arti, mostre della Permanente di Milano e manifestazioni internazionali, ottenendo apprezzamento per la freschezza della visione e per la tecnica matura. Tra le sue opere più note si segnalano paesaggi sul lago di Varese, scene agricole mantovane e marine lagunari. Nell’ultimo periodo della sua carriera si fece più sottile nella stesura della materia e più audace nei tagli prospettici, pur restando fedele al suo linguaggio visivo sobrio e ben calibrato.

    Morì a Milano nel 1906.



    4 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 20  

    Chiaro di luna

    Carlo Costantino Tagliabue
    Bresso (MI) 1880 - Milano 1960
    Olio su tela cm 37x49 firmato in basso a dx C.Tagliabue

    Il pittore Carlo Costantino Tagliabue e' nato ad Affori (Milano) nel 1880 e morto a Milano nel 1960. Appreso il disegno nelle Scuole di decorazione di Milano, fu dapprima decoratore, poi copista nelle varie pinacoteche e gallerie studiando e riproducendo prevalentemente i maestri dell'antichita'.
    Clicca per espandere

    Dopo queste esperienze, si dedico' soltanto al paesaggio ed alle marine. Esordi' alla Permanente milanese, nel 1905; poi partecipo' frequentemente alle Biennali di Brera e ad altre esposizioni nazionali. Predilige il paesaggio di montagna, che rende con tendenza segantiniana, e due lavori di questo genere sono stati acquistati dalla Banca Commerciale Italiana; alcune marine, fra le quali "La mareggiata" furono acquistate dal Re. Altri dipinti sono conservati in Italia ed all'estero, presso enti e privati. Citansi di lui anche "Sotto le nubi", e parecchi affreschi di carattere religioso. Alla Galleria d'Arte Moderna di Milano esistono: "Notturno" e "Plenilunio a Venezia".

    Note biografiche tratte dal Dizionario Illustrato dei Pittori, Disegnatori ed Incisori Italiani A. M. Comanducci.

    STIMA min € 1800 - max € 2000

    Lotto 20  

    Chiaro di luna

    Carlo Costantino Tagliabue Carlo Costantino Tagliabue
    Bresso (MI) 1880 - Milano 1960
    Olio su tela cm 37x49 firmato in basso a dx C.Tagliabue

    Il pittore Carlo Costantino Tagliabue e' nato ad Affori (Milano) nel 1880 e morto a Milano nel 1960. Appreso il disegno nelle Scuole di decorazione di Milano, fu dapprima decoratore, poi copista nelle varie pinacoteche e gallerie studiando e riproducendo prevalentemente i maestri dell'antichita'.
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    Dopo queste esperienze, si dedico' soltanto al paesaggio ed alle marine. Esordi' alla Permanente milanese, nel 1905; poi partecipo' frequentemente alle Biennali di Brera e ad altre esposizioni nazionali. Predilige il paesaggio di montagna, che rende con tendenza segantiniana, e due lavori di questo genere sono stati acquistati dalla Banca Commerciale Italiana; alcune marine, fra le quali "La mareggiata" furono acquistate dal Re. Altri dipinti sono conservati in Italia ed all'estero, presso enti e privati. Citansi di lui anche "Sotto le nubi", e parecchi affreschi di carattere religioso. Alla Galleria d'Arte Moderna di Milano esistono: "Notturno" e "Plenilunio a Venezia".

    Note biografiche tratte dal Dizionario Illustrato dei Pittori, Disegnatori ed Incisori Italiani A. M. Comanducci.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 21  

    Ritorno dal lavoro

    Clemente Pugliese Levi
    Vercelli 1855 - Milano 1936
    Olio su tela cm 102x74 firmato in basso a dx C.Levi



    Clemente Pugliese Levi nacque a Vercelli nel 1855, in una famiglia della borghesia piemontese che lo avviò agli studi classici; inizialmente si iscrisse all’Università nella Facoltà di Scienze Naturali, ma dopo poco scelse di dedicarsi completamente all’arte, trasferendosi a Torino e frequentando l’Accademia Albertina di Belle Arti. Il suo primo maestro fu Enrico Gamba, cui fece seguito l’incontro decisivo con Antonio Fontanesi, figura centrale della pittura di paesaggio piemontese, che divenne per lui riferimento e amico.
    Clicca per espandere



    Negli anni Ottanta del XIX secolo Pugliese Levi cominciò a partecipare regolarmente a esposizioni d’arte a Torino, a Milano, a Venezia e altrove; nel contempo avviò viaggi artistici in Europa, toccando Parigi e restando in contatto con le suggestioni dell’impressionismo francese, senza tuttavia tradire la lezione italiana del paesaggio e del naturalismo. Gradualmente la sua pittura mutò da soggetti di genere e rappresentazioni più accademiche – come mercati o figure rurali – verso una riflessione più poetica della natura: i prati allagati, i canali irrigui della pianura vercellese, i riflessi dell’acqua, le stagioni luminose diventarono soggetti ricorrenti della sua tela.

    Lo stile di Pugliese Levi riflette una fusione di sensibilità: da un lato la tradizione del paesaggismo piemontese, dall’altro una attenzione più moderna alla luce, all’atmosfera e al colore. Le sue opere sono note per i verdi intensi dei prati, i toni grigi e azzurri dell’acqua, la linea dell’orizzonte che si dilata e invita lo sguardo a perdersi. Un dipinto celebre di quel periodo, “Una marcita”, lo consacrò: in esso la campagna irrigata diventa motivo di meditazione e non solo di descrizione. Con ciò gli fu attribuito il soprannome di “pittore del prato e dell’acqua”.

    Nel 1906 si trasferì a Milano dove rimase a lungo, soggiornando spesso anche nelle valli alpine, sul Lago d’Orta, a Macugnaga e Courmayeur; i paesaggi montani e lacustri arricchirono il suo repertorio artistico. In quegli anni adottò soluzioni più libere, proponendo pennellate più rapide e una luce più vibrante, senza tuttavia abbandonare la figura o la figurazione. Continuò a esporre fino agli anni Venti, quando l’età cominciò a ridurre la sua attività; tenne una grande antologica a Milano attorno al 1933, e l’ultima traccia della sua presenza pubblica risale al 1935.

    Morì a Milano l’8 luglio 1936.

    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Lotto 21  

    Ritorno dal lavoro

    Clemente Pugliese Levi Clemente Pugliese Levi
    Vercelli 1855 - Milano 1936
    Olio su tela cm 102x74 firmato in basso a dx C.Levi



    Clemente Pugliese Levi nacque a Vercelli nel 1855, in una famiglia della borghesia piemontese che lo avviò agli studi classici; inizialmente si iscrisse all’Università nella Facoltà di Scienze Naturali, ma dopo poco scelse di dedicarsi completamente all’arte, trasferendosi a Torino e frequentando l’Accademia Albertina di Belle Arti. Il suo primo maestro fu Enrico Gamba, cui fece seguito l’incontro decisivo con Antonio Fontanesi, figura centrale della pittura di paesaggio piemontese, che divenne per lui riferimento e amico.
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    Negli anni Ottanta del XIX secolo Pugliese Levi cominciò a partecipare regolarmente a esposizioni d’arte a Torino, a Milano, a Venezia e altrove; nel contempo avviò viaggi artistici in Europa, toccando Parigi e restando in contatto con le suggestioni dell’impressionismo francese, senza tuttavia tradire la lezione italiana del paesaggio e del naturalismo. Gradualmente la sua pittura mutò da soggetti di genere e rappresentazioni più accademiche – come mercati o figure rurali – verso una riflessione più poetica della natura: i prati allagati, i canali irrigui della pianura vercellese, i riflessi dell’acqua, le stagioni luminose diventarono soggetti ricorrenti della sua tela.

    Lo stile di Pugliese Levi riflette una fusione di sensibilità: da un lato la tradizione del paesaggismo piemontese, dall’altro una attenzione più moderna alla luce, all’atmosfera e al colore. Le sue opere sono note per i verdi intensi dei prati, i toni grigi e azzurri dell’acqua, la linea dell’orizzonte che si dilata e invita lo sguardo a perdersi. Un dipinto celebre di quel periodo, “Una marcita”, lo consacrò: in esso la campagna irrigata diventa motivo di meditazione e non solo di descrizione. Con ciò gli fu attribuito il soprannome di “pittore del prato e dell’acqua”.

    Nel 1906 si trasferì a Milano dove rimase a lungo, soggiornando spesso anche nelle valli alpine, sul Lago d’Orta, a Macugnaga e Courmayeur; i paesaggi montani e lacustri arricchirono il suo repertorio artistico. In quegli anni adottò soluzioni più libere, proponendo pennellate più rapide e una luce più vibrante, senza tuttavia abbandonare la figura o la figurazione. Continuò a esporre fino agli anni Venti, quando l’età cominciò a ridurre la sua attività; tenne una grande antologica a Milano attorno al 1933, e l’ultima traccia della sua presenza pubblica risale al 1935.

    Morì a Milano l’8 luglio 1936.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 22  

    Venezia

    Eugenio Bonivento
    Chioggia 1880-Milano 1956
    Olio su tela cm 70x92 firmato in basso a dx E.Bonivento

    Eugenio Bonivento (1880-1956), nato a Chioggia, è stato un pittore italiano che ha dedicato la sua arte principalmente alla rappresentazione della laguna veneta e della campagna circostante. Allievo di Guglielmo Ciardi all'Accademia di Belle Arti di Venezia, Bonivento si distinse per la sua sensibilità nel catturare la luce e l'atmosfera nei paesaggi lagunari.
    Clicca per espandere

    Le sue opere più significative includono "Quiete lagunare" e "Venezia", che sono conservate nelle principali gallerie d'arte moderne. Partecipò a numerose esposizioni, tra cui la Biennale di Venezia, contribuendo alla diffusione della pittura paesaggistica veneta in Italia e all'estero.

    STIMA min € 2000 - max € 2500

    Lotto 22  

    Venezia

    Eugenio Bonivento Eugenio Bonivento
    Chioggia 1880-Milano 1956
    Olio su tela cm 70x92 firmato in basso a dx E.Bonivento

    Eugenio Bonivento (1880-1956), nato a Chioggia, è stato un pittore italiano che ha dedicato la sua arte principalmente alla rappresentazione della laguna veneta e della campagna circostante. Allievo di Guglielmo Ciardi all'Accademia di Belle Arti di Venezia, Bonivento si distinse per la sua sensibilità nel catturare la luce e l'atmosfera nei paesaggi lagunari.
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    Le sue opere più significative includono "Quiete lagunare" e "Venezia", che sono conservate nelle principali gallerie d'arte moderne. Partecipò a numerose esposizioni, tra cui la Biennale di Venezia, contribuendo alla diffusione della pittura paesaggistica veneta in Italia e all'estero.



    13 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 23  

    Paesaggio montano 1873

    Giovanni Battista Ferrari


    Giovanni Battista Ferrari nacque a Brescia il 13 ottobre 1829, nella contrada delle Grazie, primo di sei figli. Fin dalla giovinezza mostrò inclinazione per il disegno e la pittura, e nel 1855 si iscrisse alla scuola della civica Pinacoteca di Brescia, diretta da Gabriele Rottini, dove seguì i corsi di paesaggio e figura.
    Clicca per espandere

    Nel 1856 ottenne una pensione che gli permise di trasferirsi a Milano per frequentare i corsi dell’Accademia di Brera, in particolare quelli di paesaggio diretti da Albert Zimmermann.

    Durante gli anni ’60 intraprese anche viaggi all’estero, toccando Londra e gli Stati Uniti, ma questi spostamenti non modificarono la sua vocazione principale: la pittura del paesaggio lombardo e trentino. Tornato in Italia, si stabilì a Milano intorno al 1872 pur mantenendo forti legami con Brescia e con la valle del Quel suo padre era originario, la Val di Sole.

    Ferrari dedicò l’intera carriera al paesaggio: laghi, valli, corsi d’acqua, campagne lombarde e alpine, e la presenza dell’uomo e della natura laboriosa vi è spesso richiamata attraverso contadini all’opera, mietitrici, aratori, scene rurali immerse in una luce vibrante e nitida. Pur radicato nella tradizione naturalista della seconda metà del XIX secolo, egli non aderì alle avanguardie del periodo, preferendo un linguaggio diretto, leggibile e coerente.

    Nel 1870 vinse il prestigioso premio Mylius alla Brera con un’opera rappresentante una veduta di Brescia, riconoscimento che confermò il suo ruolo tra i paesaggisti lombardi. Continuò a esporre regolarmente nelle sale milanesi, torinesi e genovesi, e la sua pittura venne apprezzata per la capacità di cogliere la luce, l’atmosfera dei laghi e delle montagne, senza stravolgere la scena ma rivelandola con sincerità.

    Giovanni Battista Ferrari morì a Milano il 26 aprile 1906, all’età di 76 anni.


    Olio su tela cm 32x44,5 firmato in basso a dx G.Ferrari

    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Lotto 23  

    Paesaggio montano 1873

    Giovanni Battista Ferrari Giovanni Battista Ferrari


    Giovanni Battista Ferrari nacque a Brescia il 13 ottobre 1829, nella contrada delle Grazie, primo di sei figli. Fin dalla giovinezza mostrò inclinazione per il disegno e la pittura, e nel 1855 si iscrisse alla scuola della civica Pinacoteca di Brescia, diretta da Gabriele Rottini, dove seguì i corsi di paesaggio e figura.
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    Nel 1856 ottenne una pensione che gli permise di trasferirsi a Milano per frequentare i corsi dell’Accademia di Brera, in particolare quelli di paesaggio diretti da Albert Zimmermann.

    Durante gli anni ’60 intraprese anche viaggi all’estero, toccando Londra e gli Stati Uniti, ma questi spostamenti non modificarono la sua vocazione principale: la pittura del paesaggio lombardo e trentino. Tornato in Italia, si stabilì a Milano intorno al 1872 pur mantenendo forti legami con Brescia e con la valle del Quel suo padre era originario, la Val di Sole.

    Ferrari dedicò l’intera carriera al paesaggio: laghi, valli, corsi d’acqua, campagne lombarde e alpine, e la presenza dell’uomo e della natura laboriosa vi è spesso richiamata attraverso contadini all’opera, mietitrici, aratori, scene rurali immerse in una luce vibrante e nitida. Pur radicato nella tradizione naturalista della seconda metà del XIX secolo, egli non aderì alle avanguardie del periodo, preferendo un linguaggio diretto, leggibile e coerente.

    Nel 1870 vinse il prestigioso premio Mylius alla Brera con un’opera rappresentante una veduta di Brescia, riconoscimento che confermò il suo ruolo tra i paesaggisti lombardi. Continuò a esporre regolarmente nelle sale milanesi, torinesi e genovesi, e la sua pittura venne apprezzata per la capacità di cogliere la luce, l’atmosfera dei laghi e delle montagne, senza stravolgere la scena ma rivelandola con sincerità.

    Giovanni Battista Ferrari morì a Milano il 26 aprile 1906, all’età di 76 anni.


    Olio su tela cm 32x44,5 firmato in basso a dx G.Ferrari



    5 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 24  

    Riva di...

    Vittore Zanetti Zilla
    Venezia 1864 - Milano 1946
    Olio su tavola cm 51x60 firmato in basso a sx V.Zilla



    Vittore Zanetti Zilla nacque a Venezia il 21 marzo 1864 in una famiglia agiata, e si spense a Milano il 6 febbraio 1946. Fin da giovane frequentò scuole tecniche nella città lagunare e, parallelamente, iniziò a coltivare l’interesse per la pittura, frequentando lo studio del pittore veneziano Giacomo Favretto, amico di famiglia.
    Clicca per espandere

    Ottenuto il diploma di scuola superiore nel 1882, si avvicinò agli studi d’arte sotto la guida di Egisto Lancerotto, apprendendo le basi tecniche del disegno e della composizione. Successivamente visse per un periodo a Napoli e in Sicilia durante il servizio militare, per poi tornare a Venezia e trasferirsi con la famiglia in Abruzzo, dove lavorò come insegnante pur senza mai abbandonare la sua ricerca artistica.

    Nel 1898 intraprese un viaggio europeo che lo mise in contatto con i paesaggisti francesi e con le tendenze decorative dell’arte internazionale: da questo momento la sua pittura mutò diventando sempre di più veicolo di atmosfere, luce e colore anziché mera descrizione. Fin dalla prima edizione della Biennale di Venezia, a partire dal 1895, Zanetti Zilla prese parte con assiduità alle grandi esposizioni d’arte, consolidando la propria fama nel panorama italiano e oltre­confine.

    La sua poetica visiva si concentra soprattutto sulla laguna veneziana, sui suoi canali, barche, albe e tramonti. Tuttavia la tradizione veneziana si fonde in lui con influssi post-impressionisti e con un gusto elegante per la decorazione: nei suoi dipinti emerge un uso del colore puro e intenso, una pennellata che talvolta sembra sfiorare la ceramica, e una resa luminosa che evoca la superficie riflettente dell’acqua, la bruma mattutina e la quiete del paesaggio lagunare. Sperimentiò anche acquerello e tempera verniciata, tecniche che gli permisero di ottenere cromie brillanti e un tratto leggero, quasi grafico.

    Negli anni della Prima guerra mondiale si trasferì a Milano, dove rimase stabilmente fino alla morte. Qui, nel contesto meneghino, partecipò a mostre personali e continuò a esporre alla Galleria Pesaro e in altre sedi, mantenendo una produzione regolare e coerente. Lo stile di Zanetti Zilla rifiutava l’esibizione di mode d’avanguardia, preferendo al contrario una via personale fatta di colore, atmosfera e modulazione della luce. Le sue vedute veneziane, pur non rompendo con la tradizione, ne rivelano una maturità stilistica che le rende riconoscibili: la laguna non è soltanto tema geografico, ma luogo mentale, riflesso visivo e meditazione silenziosa.

    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Lotto 24  

    Riva di...

    Vittore Zanetti Zilla Vittore Zanetti Zilla
    Venezia 1864 - Milano 1946
    Olio su tavola cm 51x60 firmato in basso a sx V.Zilla



    Vittore Zanetti Zilla nacque a Venezia il 21 marzo 1864 in una famiglia agiata, e si spense a Milano il 6 febbraio 1946. Fin da giovane frequentò scuole tecniche nella città lagunare e, parallelamente, iniziò a coltivare l’interesse per la pittura, frequentando lo studio del pittore veneziano Giacomo Favretto, amico di famiglia.
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    Ottenuto il diploma di scuola superiore nel 1882, si avvicinò agli studi d’arte sotto la guida di Egisto Lancerotto, apprendendo le basi tecniche del disegno e della composizione. Successivamente visse per un periodo a Napoli e in Sicilia durante il servizio militare, per poi tornare a Venezia e trasferirsi con la famiglia in Abruzzo, dove lavorò come insegnante pur senza mai abbandonare la sua ricerca artistica.

    Nel 1898 intraprese un viaggio europeo che lo mise in contatto con i paesaggisti francesi e con le tendenze decorative dell’arte internazionale: da questo momento la sua pittura mutò diventando sempre di più veicolo di atmosfere, luce e colore anziché mera descrizione. Fin dalla prima edizione della Biennale di Venezia, a partire dal 1895, Zanetti Zilla prese parte con assiduità alle grandi esposizioni d’arte, consolidando la propria fama nel panorama italiano e oltre­confine.

    La sua poetica visiva si concentra soprattutto sulla laguna veneziana, sui suoi canali, barche, albe e tramonti. Tuttavia la tradizione veneziana si fonde in lui con influssi post-impressionisti e con un gusto elegante per la decorazione: nei suoi dipinti emerge un uso del colore puro e intenso, una pennellata che talvolta sembra sfiorare la ceramica, e una resa luminosa che evoca la superficie riflettente dell’acqua, la bruma mattutina e la quiete del paesaggio lagunare. Sperimentiò anche acquerello e tempera verniciata, tecniche che gli permisero di ottenere cromie brillanti e un tratto leggero, quasi grafico.

    Negli anni della Prima guerra mondiale si trasferì a Milano, dove rimase stabilmente fino alla morte. Qui, nel contesto meneghino, partecipò a mostre personali e continuò a esporre alla Galleria Pesaro e in altre sedi, mantenendo una produzione regolare e coerente. Lo stile di Zanetti Zilla rifiutava l’esibizione di mode d’avanguardia, preferendo al contrario una via personale fatta di colore, atmosfera e modulazione della luce. Le sue vedute veneziane, pur non rompendo con la tradizione, ne rivelano una maturità stilistica che le rende riconoscibili: la laguna non è soltanto tema geografico, ma luogo mentale, riflesso visivo e meditazione silenziosa.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Vittore Antonio Cargnel
    Venezia 1872 - Milano 1931
    Olio su tela cm 54x73 firmato in basso a dx V.Cargnel

    Vittore Antonio Cargnel, nato a Venezia nel 1872, fu un pittore italiano il cui percorso artistico si sviluppò tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo. Nel 1888, si iscrisse all'Accademia di Venezia, ma gran parte della sua formazione avvenne nello studio di Cesare Laurenti, noto pittore simbolista.
    Clicca per espandere

    Cargnel trasse ispirazione anche dalle opere di artisti come Ciardi, Favretto e Nono, dai quali trasse numerosi suggerimenti per il suo sviluppo artistico.

    Le sue capacità artistiche si manifestarono in opere sia di carattere simbolista, come "La sera di Ca’ Pesaro" del 1899, che in ritratti, tra cui il noto "Ritratto di Giuseppe Favaro" del 1905. Tuttavia, la sua vera natura artistica si rivelò come paesaggista, radicato nella tradizione del tardo Ottocento veneto. Questo filone tematico rimase costante in tutta la sua carriera, con la campagna veneta e friulana come principale soggetto delle sue opere.

    Cargnel partecipò alla I Biennale nel 1895 con l'opera "Averte faciem tuam, domine, a peccatis meis," fortemente influenzata da Nono e Laurenti. La sua partecipazione continuò anche nelle edizioni successive della Biennale e in mostre internazionali come il Salon di Parigi, San Pietroburgo e Lipsia. La sua pittura si evolse verso una maggiore attenzione alla vibrazione atmosferica, evidente nelle opere esposte all'VIII Mostra internazionale di Monaco di Baviera.

    Nel 1900, si trasferì vicino a Treviso, dove avviò una fonderia di campane, e nel 1910 si trasferì a Sacile, dove rimase fino alla disfatta di Caporetto nel 1917. Durante questo periodo, realizzò alcuni dei suoi migliori paesaggi della pedemontana pordenonese, come "Poffabro" del 1912. Dopo la guerra, tornò spesso al paesaggio pedemontano e friulano anche dopo il trasferimento a Milano nel 1918, dove trovò un ambiente favorevole alla diffusione della sua pittura. Nel 1924 divenne socio onorario della regia Accademia di belle arti di Brera.

    La sua attività espositiva continuò con successo, partecipando a mostre importanti in Italia e all'estero. Cargnel morì a Milano nel 1931, e l'anno successivo si tenne una vasta retrospettiva alla Galleria Milano. Il suo contributo artistico fu successivamente riconosciuto con la presenza di due sue opere alla mostra dei quarant'anni della Biennale nel 1935. La sua opera ricevette una nuova attenzione nel corso degli anni, con retrospettive significative nel 1968 a Pordenone, nel 1988 a Sacile e nel 1999 al Museo civico di Pordenone. Opere di Cargnel si trovano oggi presso il Museo civico d'arte e la provincia di Pordenone.

    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Vittore Antonio Cargnel Vittore Antonio Cargnel
    Venezia 1872 - Milano 1931
    Olio su tela cm 54x73 firmato in basso a dx V.Cargnel

    Vittore Antonio Cargnel, nato a Venezia nel 1872, fu un pittore italiano il cui percorso artistico si sviluppò tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo. Nel 1888, si iscrisse all'Accademia di Venezia, ma gran parte della sua formazione avvenne nello studio di Cesare Laurenti, noto pittore simbolista.
    Clicca per espandere

    Cargnel trasse ispirazione anche dalle opere di artisti come Ciardi, Favretto e Nono, dai quali trasse numerosi suggerimenti per il suo sviluppo artistico.

    Le sue capacità artistiche si manifestarono in opere sia di carattere simbolista, come "La sera di Ca’ Pesaro" del 1899, che in ritratti, tra cui il noto "Ritratto di Giuseppe Favaro" del 1905. Tuttavia, la sua vera natura artistica si rivelò come paesaggista, radicato nella tradizione del tardo Ottocento veneto. Questo filone tematico rimase costante in tutta la sua carriera, con la campagna veneta e friulana come principale soggetto delle sue opere.

    Cargnel partecipò alla I Biennale nel 1895 con l'opera "Averte faciem tuam, domine, a peccatis meis," fortemente influenzata da Nono e Laurenti. La sua partecipazione continuò anche nelle edizioni successive della Biennale e in mostre internazionali come il Salon di Parigi, San Pietroburgo e Lipsia. La sua pittura si evolse verso una maggiore attenzione alla vibrazione atmosferica, evidente nelle opere esposte all'VIII Mostra internazionale di Monaco di Baviera.

    Nel 1900, si trasferì vicino a Treviso, dove avviò una fonderia di campane, e nel 1910 si trasferì a Sacile, dove rimase fino alla disfatta di Caporetto nel 1917. Durante questo periodo, realizzò alcuni dei suoi migliori paesaggi della pedemontana pordenonese, come "Poffabro" del 1912. Dopo la guerra, tornò spesso al paesaggio pedemontano e friulano anche dopo il trasferimento a Milano nel 1918, dove trovò un ambiente favorevole alla diffusione della sua pittura. Nel 1924 divenne socio onorario della regia Accademia di belle arti di Brera.

    La sua attività espositiva continuò con successo, partecipando a mostre importanti in Italia e all'estero. Cargnel morì a Milano nel 1931, e l'anno successivo si tenne una vasta retrospettiva alla Galleria Milano. Il suo contributo artistico fu successivamente riconosciuto con la presenza di due sue opere alla mostra dei quarant'anni della Biennale nel 1935. La sua opera ricevette una nuova attenzione nel corso degli anni, con retrospettive significative nel 1968 a Pordenone, nel 1988 a Sacile e nel 1999 al Museo civico di Pordenone. Opere di Cargnel si trovano oggi presso il Museo civico d'arte e la provincia di Pordenone.



    4 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 26  

    Tramonto a Venezia

    Marcello Broggi
    Lombardia 1896-1954
    Olio su tavola cm 34,5x47 firmato in basso a sx Marcello Broggi



    STIMA min € 500 - max € 600

    Lotto 26  

    Tramonto a Venezia

    Marcello Broggi Marcello Broggi
    Lombardia 1896-1954
    Olio su tavola cm 34,5x47 firmato in basso a sx Marcello Broggi





    2 offerte pre-asta Dettaglio
  • Anselmo Bucci
    Fossombrone - 1887 - Monza 1955
    Olio su tavola cm 24x39,5 firmato in basso a dx Bucci

    Anselmo Bucci, figlio di Achille Muzio, nacque il 23 maggio 1887 a Fossombrone. Dopo aver completato gli studi classici al liceo Marco Foscarini di Venezia, si dedicò al disegno presso la scuola di Francesco Salvini a Este.
    Clicca per espandere

    Nel 1904-05, fu allievo dell'Accademia di Brera a Milano e nel 1906 si trasferì a Parigi, rimanendovi fino al 1915 e concentrando la sua attenzione sull'incisione. Durante questo periodo, realizzò diverse raccolte di incisioni, ispirate alla cultura grafica francese post-impressionista, come "Le petit Paris qui bouge" (1908) e "Paris qui bouge" (1909), ottenendo anche una menzione onorevole al Salon des artistes français nel 1910.

    Il suo stile si rifletteva sia nelle influenze del post-impressionismo francese che nelle tracce dello studio del Fattori, mantenendo una maniera secca e evitando la retorica. Il periodo parigino segnò un momento significativo per l'arte di Bucci, in cui si avvicinò al gusto di artisti come Jean-François Raffaelli e Pierre Bonnard, influenze evidenti in opere come "L'écraseur," "Touaregs à Paris," "Avenue Rachel," e altre.

    Durante la prima guerra mondiale, Bucci fu volontario di guerra e documentò la vita sul fronte attraverso incisioni e litografie, come le "Croquis du front italien" (1918) e "Marina a terra" (1918). Dopo la guerra, la sua arte subì un cambiamento significativo. Pur essendo un abile incisore, Bucci decise di esplorare la pittura, orientandosi verso un ritorno al classicismo, in contrasto con le correnti avanguardiste.

    Nel 1922, Bucci fu il promotore del gruppo "Novecento italiano", che cercava di favorire un orientamento neoclassico. Il suo impegno maggiore in questo periodo fu il dipinto "I pittori" (1921-1924), che rappresentava il suo pensiero antitetico ai movimenti d'avanguardia. Bucci mantenne il suo distacco ideale dalla contemporaneità, sostenendo la preferenza per gli antichi rispetto ai moderni.

    Nel corso degli anni successivi, Bucci si affermò anche come scrittore, pubblicando opere come "Il libro della Bigia" (1942) e contribuendo con articoli al Corriere della Sera. Morì a Monza il 19 novembre 1955, lasciando un'impronta significativa nell'ambito artistico italiano, con la sua straordinaria vitalità, indipendenza morale e ironia che si manifestava sia nelle sue opere grafiche che nella sua produzione letteraria.

    STIMA min € 2000 - max € 2500

    Anselmo Bucci Anselmo Bucci
    Fossombrone - 1887 - Monza 1955
    Olio su tavola cm 24x39,5 firmato in basso a dx Bucci

    Anselmo Bucci, figlio di Achille Muzio, nacque il 23 maggio 1887 a Fossombrone. Dopo aver completato gli studi classici al liceo Marco Foscarini di Venezia, si dedicò al disegno presso la scuola di Francesco Salvini a Este.
    Clicca per espandere

    Nel 1904-05, fu allievo dell'Accademia di Brera a Milano e nel 1906 si trasferì a Parigi, rimanendovi fino al 1915 e concentrando la sua attenzione sull'incisione. Durante questo periodo, realizzò diverse raccolte di incisioni, ispirate alla cultura grafica francese post-impressionista, come "Le petit Paris qui bouge" (1908) e "Paris qui bouge" (1909), ottenendo anche una menzione onorevole al Salon des artistes français nel 1910.

    Il suo stile si rifletteva sia nelle influenze del post-impressionismo francese che nelle tracce dello studio del Fattori, mantenendo una maniera secca e evitando la retorica. Il periodo parigino segnò un momento significativo per l'arte di Bucci, in cui si avvicinò al gusto di artisti come Jean-François Raffaelli e Pierre Bonnard, influenze evidenti in opere come "L'écraseur," "Touaregs à Paris," "Avenue Rachel," e altre.

    Durante la prima guerra mondiale, Bucci fu volontario di guerra e documentò la vita sul fronte attraverso incisioni e litografie, come le "Croquis du front italien" (1918) e "Marina a terra" (1918). Dopo la guerra, la sua arte subì un cambiamento significativo. Pur essendo un abile incisore, Bucci decise di esplorare la pittura, orientandosi verso un ritorno al classicismo, in contrasto con le correnti avanguardiste.

    Nel 1922, Bucci fu il promotore del gruppo "Novecento italiano", che cercava di favorire un orientamento neoclassico. Il suo impegno maggiore in questo periodo fu il dipinto "I pittori" (1921-1924), che rappresentava il suo pensiero antitetico ai movimenti d'avanguardia. Bucci mantenne il suo distacco ideale dalla contemporaneità, sostenendo la preferenza per gli antichi rispetto ai moderni.

    Nel corso degli anni successivi, Bucci si affermò anche come scrittore, pubblicando opere come "Il libro della Bigia" (1942) e contribuendo con articoli al Corriere della Sera. Morì a Monza il 19 novembre 1955, lasciando un'impronta significativa nell'ambito artistico italiano, con la sua straordinaria vitalità, indipendenza morale e ironia che si manifestava sia nelle sue opere grafiche che nella sua produzione letteraria.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Anselmo Bucci
    Fossombrone - 1887 - Monza 1955
    Olio su tavola cm 33x42 firmato in basso a dx Bucci

    Anselmo Bucci, figlio di Achille Muzio, nacque il 23 maggio 1887 a Fossombrone. Dopo aver completato gli studi classici al liceo Marco Foscarini di Venezia, si dedicò al disegno presso la scuola di Francesco Salvini a Este.
    Clicca per espandere

    Nel 1904-05, fu allievo dell'Accademia di Brera a Milano e nel 1906 si trasferì a Parigi, rimanendovi fino al 1915 e concentrando la sua attenzione sull'incisione. Durante questo periodo, realizzò diverse raccolte di incisioni, ispirate alla cultura grafica francese post-impressionista, come "Le petit Paris qui bouge" (1908) e "Paris qui bouge" (1909), ottenendo anche una menzione onorevole al Salon des artistes français nel 1910.

    Il suo stile si rifletteva sia nelle influenze del post-impressionismo francese che nelle tracce dello studio del Fattori, mantenendo una maniera secca e evitando la retorica. Il periodo parigino segnò un momento significativo per l'arte di Bucci, in cui si avvicinò al gusto di artisti come Jean-François Raffaelli e Pierre Bonnard, influenze evidenti in opere come "L'écraseur," "Touaregs à Paris," "Avenue Rachel," e altre.

    Durante la prima guerra mondiale, Bucci fu volontario di guerra e documentò la vita sul fronte attraverso incisioni e litografie, come le "Croquis du front italien" (1918) e "Marina a terra" (1918). Dopo la guerra, la sua arte subì un cambiamento significativo. Pur essendo un abile incisore, Bucci decise di esplorare la pittura, orientandosi verso un ritorno al classicismo, in contrasto con le correnti avanguardiste.

    Nel 1922, Bucci fu il promotore del gruppo "Novecento italiano", che cercava di favorire un orientamento neoclassico. Il suo impegno maggiore in questo periodo fu il dipinto "I pittori" (1921-1924), che rappresentava il suo pensiero antitetico ai movimenti d'avanguardia. Bucci mantenne il suo distacco ideale dalla contemporaneità, sostenendo la preferenza per gli antichi rispetto ai moderni.

    Nel corso degli anni successivi, Bucci si affermò anche come scrittore, pubblicando opere come "Il libro della Bigia" (1942) e contribuendo con articoli al Corriere della Sera. Morì a Monza il 19 novembre 1955, lasciando un'impronta significativa nell'ambito artistico italiano, con la sua straordinaria vitalità, indipendenza morale e ironia che si manifestava sia nelle sue opere grafiche che nella sua produzione letteraria.

    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Anselmo Bucci Anselmo Bucci
    Fossombrone - 1887 - Monza 1955
    Olio su tavola cm 33x42 firmato in basso a dx Bucci

    Anselmo Bucci, figlio di Achille Muzio, nacque il 23 maggio 1887 a Fossombrone. Dopo aver completato gli studi classici al liceo Marco Foscarini di Venezia, si dedicò al disegno presso la scuola di Francesco Salvini a Este.
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    Nel 1904-05, fu allievo dell'Accademia di Brera a Milano e nel 1906 si trasferì a Parigi, rimanendovi fino al 1915 e concentrando la sua attenzione sull'incisione. Durante questo periodo, realizzò diverse raccolte di incisioni, ispirate alla cultura grafica francese post-impressionista, come "Le petit Paris qui bouge" (1908) e "Paris qui bouge" (1909), ottenendo anche una menzione onorevole al Salon des artistes français nel 1910.

    Il suo stile si rifletteva sia nelle influenze del post-impressionismo francese che nelle tracce dello studio del Fattori, mantenendo una maniera secca e evitando la retorica. Il periodo parigino segnò un momento significativo per l'arte di Bucci, in cui si avvicinò al gusto di artisti come Jean-François Raffaelli e Pierre Bonnard, influenze evidenti in opere come "L'écraseur," "Touaregs à Paris," "Avenue Rachel," e altre.

    Durante la prima guerra mondiale, Bucci fu volontario di guerra e documentò la vita sul fronte attraverso incisioni e litografie, come le "Croquis du front italien" (1918) e "Marina a terra" (1918). Dopo la guerra, la sua arte subì un cambiamento significativo. Pur essendo un abile incisore, Bucci decise di esplorare la pittura, orientandosi verso un ritorno al classicismo, in contrasto con le correnti avanguardiste.

    Nel 1922, Bucci fu il promotore del gruppo "Novecento italiano", che cercava di favorire un orientamento neoclassico. Il suo impegno maggiore in questo periodo fu il dipinto "I pittori" (1921-1924), che rappresentava il suo pensiero antitetico ai movimenti d'avanguardia. Bucci mantenne il suo distacco ideale dalla contemporaneità, sostenendo la preferenza per gli antichi rispetto ai moderni.

    Nel corso degli anni successivi, Bucci si affermò anche come scrittore, pubblicando opere come "Il libro della Bigia" (1942) e contribuendo con articoli al Corriere della Sera. Morì a Monza il 19 novembre 1955, lasciando un'impronta significativa nell'ambito artistico italiano, con la sua straordinaria vitalità, indipendenza morale e ironia che si manifestava sia nelle sue opere grafiche che nella sua produzione letteraria.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 29  

    Laghetto alpino

    Paolo Punzo
    Ponteranica (BG) 1906 - Bergamo 1979
    Olio su cartone cm 40x50 firmato in basso a sx Punzo



    Paolo Punzo nacque a Bergamo il 1° marzo 1906, quarto di sette figli in una famiglia guidata dal padre Antonino, ufficiale originario di Nola e trasferito a Bergamo nel 1901. Fin dalla giovinezza Punzo mostrò una forte passione per la montagna e per l’alpinismo: divenne membro del Club Alpino Italiano (CAI) e frequentò con entusiasmo la natura alpina lombarda, in particolare le valli della Valtellina e della Val Chiavenna.
    Clicca per espandere



    Autodidatta nella pittura, Punzo elaborò un proprio linguaggio visivo fortemente legato all’esperienza dell’alta quota: salì in vetta con tavolozza e colori, dipingendo «en plein air» rocce, nevi perenni, altopiani e riflessi luminosi che solo chi vive la montagna può cogliere. Il suo lavoro lo portò a restituire non una semplice veduta panoramica, ma la percezione diretta del paesaggio alpino: la luce che gioca sul ghiaccio, le sfumature celesti della sera, la rapidità dei cambi di tempo, l’essenza della montagna catturata con spontaneità e sincerità.

    Durante gli anni ’30, ’40 e ’50 Punzo espose con regolarità a Sondrio, Bergamo, Milano, St. Moritz e Cortina, e ben presto divenne noto, anche grazie all’attenzione della critica e della stampa, come «il pittore della montagna». Pur immerso nella tradizione dell’osservazione del vero, Punzo mostrò negli anni un’apertura verso l’espressione più libera della forma: alcuni dei suoi paesaggi liguri degli anni ’40, per esempio, rivelano una tavolozza più sciolta e un tocco meno accademico.

    Lo stile di Punzo combina rigore e immediatezza: non pretende la spettacolarità, bensì la verità del momento vissuto — la vetta, il ghiacciaio, la roccia — e lo fa con una pennellata che sa essere veloce come il riflesso della luce e misurata come la pietra che scolpisce. I suoi dipinti costituiscono non solo testimonianze di luoghi alpini, ma anche segni del passaggio del tempo: oggi le sue tele dialogano con il tema del cambiamento climatico, con le montagne che mutano e con i ghiacciai che arretrano.

    Paolo Punzo si spense nel 1979Paolo Punzo nacque a Bergamo il 1° marzo 1906, quarto di sette figli in una famiglia guidata dal padre Antonino, ufficiale originario di Nola e trasferito a Bergamo nel 1901. Fin dalla giovinezza Punzo mostrò una forte passione per la montagna e per l’alpinismo: divenne membro del Club Alpino Italiano (CAI) e frequentò con entusiasmo la natura alpina lombarda, in particolare le valli della Valtellina e della Val Chiavenna.

    Autodidatta nella pittura, Punzo elaborò un proprio linguaggio visivo fortemente legato all’esperienza dell’alta quota: salì in vetta con tavolozza e colori, dipingendo «en plein air» rocce, nevi perenni, altopiani e riflessi luminosi che solo chi vive la montagna può cogliere. Il suo lavoro lo portò a restituire non una semplice veduta panoramica, ma la percezione diretta del paesaggio alpino: la luce che gioca sul ghiaccio, le sfumature celesti della sera, la rapidità dei cambi di tempo, l’essenza della montagna catturata con spontaneità e sincerità.

    Durante gli anni ’30, ’40 e ’50 Punzo espose con regolarità a Sondrio, Bergamo, Milano, St. Moritz e Cortina, e ben presto divenne noto, anche grazie all’attenzione della critica e della stampa, come «il pittore della montagna». Pur immerso nella tradizione dell’osservazione del vero, Punzo mostrò negli anni un’apertura verso l’espressione più libera della forma: alcuni dei suoi paesaggi liguri degli anni ’40, per esempio, rivelano una tavolozza più sciolta e un tocco meno accademico.

    Lo stile di Punzo combina rigore e immediatezza: non pretende la spettacolarità, bensì la verità del momento vissuto — la vetta, il ghiacciaio, la roccia — e lo fa con una pennellata che sa essere veloce come il riflesso della luce e misurata come la pietra che scolpisce. I suoi dipinti costituiscono non solo testimonianze di luoghi alpini, ma anche segni del passaggio del tempo: oggi le sue tele dialogano con il tema del cambiamento climatico, con le montagne che mutano e con i ghiacciai che arretrano.

    Paolo Punzo si spense nel 1979.

    STIMA min € 1200 - max € 1400

    Lotto 29  

    Laghetto alpino

    Paolo Punzo Paolo Punzo
    Ponteranica (BG) 1906 - Bergamo 1979
    Olio su cartone cm 40x50 firmato in basso a sx Punzo



    Paolo Punzo nacque a Bergamo il 1° marzo 1906, quarto di sette figli in una famiglia guidata dal padre Antonino, ufficiale originario di Nola e trasferito a Bergamo nel 1901. Fin dalla giovinezza Punzo mostrò una forte passione per la montagna e per l’alpinismo: divenne membro del Club Alpino Italiano (CAI) e frequentò con entusiasmo la natura alpina lombarda, in particolare le valli della Valtellina e della Val Chiavenna.
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    Autodidatta nella pittura, Punzo elaborò un proprio linguaggio visivo fortemente legato all’esperienza dell’alta quota: salì in vetta con tavolozza e colori, dipingendo «en plein air» rocce, nevi perenni, altopiani e riflessi luminosi che solo chi vive la montagna può cogliere. Il suo lavoro lo portò a restituire non una semplice veduta panoramica, ma la percezione diretta del paesaggio alpino: la luce che gioca sul ghiaccio, le sfumature celesti della sera, la rapidità dei cambi di tempo, l’essenza della montagna catturata con spontaneità e sincerità.

    Durante gli anni ’30, ’40 e ’50 Punzo espose con regolarità a Sondrio, Bergamo, Milano, St. Moritz e Cortina, e ben presto divenne noto, anche grazie all’attenzione della critica e della stampa, come «il pittore della montagna». Pur immerso nella tradizione dell’osservazione del vero, Punzo mostrò negli anni un’apertura verso l’espressione più libera della forma: alcuni dei suoi paesaggi liguri degli anni ’40, per esempio, rivelano una tavolozza più sciolta e un tocco meno accademico.

    Lo stile di Punzo combina rigore e immediatezza: non pretende la spettacolarità, bensì la verità del momento vissuto — la vetta, il ghiacciaio, la roccia — e lo fa con una pennellata che sa essere veloce come il riflesso della luce e misurata come la pietra che scolpisce. I suoi dipinti costituiscono non solo testimonianze di luoghi alpini, ma anche segni del passaggio del tempo: oggi le sue tele dialogano con il tema del cambiamento climatico, con le montagne che mutano e con i ghiacciai che arretrano.

    Paolo Punzo si spense nel 1979Paolo Punzo nacque a Bergamo il 1° marzo 1906, quarto di sette figli in una famiglia guidata dal padre Antonino, ufficiale originario di Nola e trasferito a Bergamo nel 1901. Fin dalla giovinezza Punzo mostrò una forte passione per la montagna e per l’alpinismo: divenne membro del Club Alpino Italiano (CAI) e frequentò con entusiasmo la natura alpina lombarda, in particolare le valli della Valtellina e della Val Chiavenna.

    Autodidatta nella pittura, Punzo elaborò un proprio linguaggio visivo fortemente legato all’esperienza dell’alta quota: salì in vetta con tavolozza e colori, dipingendo «en plein air» rocce, nevi perenni, altopiani e riflessi luminosi che solo chi vive la montagna può cogliere. Il suo lavoro lo portò a restituire non una semplice veduta panoramica, ma la percezione diretta del paesaggio alpino: la luce che gioca sul ghiaccio, le sfumature celesti della sera, la rapidità dei cambi di tempo, l’essenza della montagna catturata con spontaneità e sincerità.

    Durante gli anni ’30, ’40 e ’50 Punzo espose con regolarità a Sondrio, Bergamo, Milano, St. Moritz e Cortina, e ben presto divenne noto, anche grazie all’attenzione della critica e della stampa, come «il pittore della montagna». Pur immerso nella tradizione dell’osservazione del vero, Punzo mostrò negli anni un’apertura verso l’espressione più libera della forma: alcuni dei suoi paesaggi liguri degli anni ’40, per esempio, rivelano una tavolozza più sciolta e un tocco meno accademico.

    Lo stile di Punzo combina rigore e immediatezza: non pretende la spettacolarità, bensì la verità del momento vissuto — la vetta, il ghiacciaio, la roccia — e lo fa con una pennellata che sa essere veloce come il riflesso della luce e misurata come la pietra che scolpisce. I suoi dipinti costituiscono non solo testimonianze di luoghi alpini, ma anche segni del passaggio del tempo: oggi le sue tele dialogano con il tema del cambiamento climatico, con le montagne che mutano e con i ghiacciai che arretrano.

    Paolo Punzo si spense nel 1979.



    0 offerte pre-asta Dettaglio
  • G.Bertelli
    Brescia XX Secolo
    Olio su cartone cm 30x35 firmato in basso a dx G.Bertelli



    STIMA min € 800 - max € 1000

    G.Bertelli G.Bertelli
    Brescia XX Secolo
    Olio su cartone cm 30x35 firmato in basso a dx G.Bertelli





    3 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 31  

    Natura morta con fiori

    Licinio Barzanti
    Forli 1857 - Como 1945
    Olio su tela cm 50x70 firmato in basso a sx L.Barzanti

    Licinio Barzanti nacque a Forlì il 29 ottobre 1857 e morì a Como il 4 dicembre 1944. Cresciuto in un ambiente che favoriva la formazione artistica, si formò all'Accademia di Belle Arti di Firenze, sebbene gran parte del suo sviluppo artistico fosse autodidatta.
    Clicca per espandere

    Fu principalmente attratto dalla pittura dal vero e dal ritratto, ma trovò la sua vera espressione nelle composizioni floreali e nei paesaggi, che divennero il suo principale campo di indagine.

    Il suo stile si distingue per la fusione di tradizione classica e tendenze veriste, unendo un realismo attento ai dettagli a una sensibilità per le luci e i colori. Le sue opere erano caratterizzate da una delicata armonia cromatica e atmosfere che spesso richiamano una visione romantica della natura. Barzanti partecipò a numerose mostre in Italia e all'estero, guadagnandosi consensi anche in Russia, dove le sue opere furono particolarmente apprezzate.

    Nel corso della sua carriera, Barzanti ebbe modo di esporre in importanti gallerie, e nel 1931 organizzò una mostra personale presso la Galleria Micheli di Milano. Nonostante il successo ottenuto durante la sua vita, fu solo successivamente, in occasione di una retrospettiva dedicata a lui nel 2014 a Forlì, che venne riconosciuto pienamente il valore del suo contributo alla pittura.

    STIMA min € 1400 - max € 1500

    Lotto 31  

    Natura morta con fiori

    Licinio Barzanti Licinio Barzanti
    Forli 1857 - Como 1945
    Olio su tela cm 50x70 firmato in basso a sx L.Barzanti

    Licinio Barzanti nacque a Forlì il 29 ottobre 1857 e morì a Como il 4 dicembre 1944. Cresciuto in un ambiente che favoriva la formazione artistica, si formò all'Accademia di Belle Arti di Firenze, sebbene gran parte del suo sviluppo artistico fosse autodidatta.
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    Fu principalmente attratto dalla pittura dal vero e dal ritratto, ma trovò la sua vera espressione nelle composizioni floreali e nei paesaggi, che divennero il suo principale campo di indagine.

    Il suo stile si distingue per la fusione di tradizione classica e tendenze veriste, unendo un realismo attento ai dettagli a una sensibilità per le luci e i colori. Le sue opere erano caratterizzate da una delicata armonia cromatica e atmosfere che spesso richiamano una visione romantica della natura. Barzanti partecipò a numerose mostre in Italia e all'estero, guadagnandosi consensi anche in Russia, dove le sue opere furono particolarmente apprezzate.

    Nel corso della sua carriera, Barzanti ebbe modo di esporre in importanti gallerie, e nel 1931 organizzò una mostra personale presso la Galleria Micheli di Milano. Nonostante il successo ottenuto durante la sua vita, fu solo successivamente, in occasione di una retrospettiva dedicata a lui nel 2014 a Forlì, che venne riconosciuto pienamente il valore del suo contributo alla pittura.



    4 offerte pre-asta Dettaglio
  • Silvio Albertini
    Verona 1889 - 1984
    Olio su tavola cm 50x71,5 firmato in basso a sx Silvio Albertini



    Silvio Alberto Albertini nacque a Verona il 18 aprile 1889 e vi morì nel 1984, all’età di 95 anni. Fin dalla giovinezza manifestò un forte interesse per l’arte, tant’è che già nella città natale frequentò l’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Alfredo Savini.
    Clicca per espandere

    Iniziò quindi un percorso formativo regolare che lo portò a consolidare la sua tecnica e a farsi apprezzare come pittore e decoratore.

    La sua produzione artistica si sviluppò in un arco temporale molto vasto e fu caratterizzata da una forte presenza nei contesti espositivi del Novecento italiano: le sue opere comparvero con continuità alle esposizioni di Venezia, Milano, Vicenza, Trento, Rovereto, Bolzano e naturalmente Verona. Parallelamente, tenne almeno due mostre personali, una a Roma e un’altra a Bologna, che ne rafforzarono il profilo nell’ambito artistico nazionale.

    Albertini si dedicò a soggetti figurativi e paesaggistici: paesaggi rurali, scene di vita semplice, autoritratti, nature morte e scorci di vita domestica rivelano la versatilità del suo linguaggio. Tra le sue opere più citate figurano “Al pascolo”, “Primi passi”, “Solo d’inverno”, “Il canto dei molini”, “Tramonto sul lago” e l’“Autoritratto”. La tavolozza di Albertini si distingue per toni caldi e luminosi, per una resa immediata della luce e dell’atmosfera del luogo, e per una pennellata che predilige la chiarezza e la leggibilità.

    Oltre alla sua attività pittorica, Albertini ebbe anche un forte impegno didattico: dal 1916 insegnò presso l’Istituto Professionale «Ugo Zannoni» a Verona, trasmettendo la propria esperienza alle nuove generazioni e contribuendo alla vita culturale della sua città. Il fatto che venisse indicato come “Prof. ” nei cataloghi è testimonianza del suo ruolo riconosciuto anche in campo formativo.

    Nel corso della sua lunga carriera, Albertini seppe rimanere fedele a una pittura realista e accessibile, evitando le sperimentazioni radicali delle avanguardie pur integrando con coerenza una sensibilità moderna nella resa della luce e del colore. La sua arte attraversa buona parte del Novecento, offrendo una testimonianza del paesaggio veneto, delle atmosfere della campagna e della vita quotidiana in chiave visiva e poetica.

    STIMA min € 700 - max € 800

    Silvio Albertini Silvio Albertini
    Verona 1889 - 1984
    Olio su tavola cm 50x71,5 firmato in basso a sx Silvio Albertini



    Silvio Alberto Albertini nacque a Verona il 18 aprile 1889 e vi morì nel 1984, all’età di 95 anni. Fin dalla giovinezza manifestò un forte interesse per l’arte, tant’è che già nella città natale frequentò l’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Alfredo Savini.
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    Iniziò quindi un percorso formativo regolare che lo portò a consolidare la sua tecnica e a farsi apprezzare come pittore e decoratore.

    La sua produzione artistica si sviluppò in un arco temporale molto vasto e fu caratterizzata da una forte presenza nei contesti espositivi del Novecento italiano: le sue opere comparvero con continuità alle esposizioni di Venezia, Milano, Vicenza, Trento, Rovereto, Bolzano e naturalmente Verona. Parallelamente, tenne almeno due mostre personali, una a Roma e un’altra a Bologna, che ne rafforzarono il profilo nell’ambito artistico nazionale.

    Albertini si dedicò a soggetti figurativi e paesaggistici: paesaggi rurali, scene di vita semplice, autoritratti, nature morte e scorci di vita domestica rivelano la versatilità del suo linguaggio. Tra le sue opere più citate figurano “Al pascolo”, “Primi passi”, “Solo d’inverno”, “Il canto dei molini”, “Tramonto sul lago” e l’“Autoritratto”. La tavolozza di Albertini si distingue per toni caldi e luminosi, per una resa immediata della luce e dell’atmosfera del luogo, e per una pennellata che predilige la chiarezza e la leggibilità.

    Oltre alla sua attività pittorica, Albertini ebbe anche un forte impegno didattico: dal 1916 insegnò presso l’Istituto Professionale «Ugo Zannoni» a Verona, trasmettendo la propria esperienza alle nuove generazioni e contribuendo alla vita culturale della sua città. Il fatto che venisse indicato come “Prof. ” nei cataloghi è testimonianza del suo ruolo riconosciuto anche in campo formativo.

    Nel corso della sua lunga carriera, Albertini seppe rimanere fedele a una pittura realista e accessibile, evitando le sperimentazioni radicali delle avanguardie pur integrando con coerenza una sensibilità moderna nella resa della luce e del colore. La sua arte attraversa buona parte del Novecento, offrendo una testimonianza del paesaggio veneto, delle atmosfere della campagna e della vita quotidiana in chiave visiva e poetica.



    2 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 33  

    Ritratto 1884

    Angelo Dall Oca Bianca
    Verona 1858 - 1942
    Olio su cartone cm 50x34 firmato in basso a dx A.Bianca



    Angelo Dall’Oca Bianca nacque a Verona il 31 marzo 1858, in una famiglia modesta: il padre era verniciatore e la famiglia attraversava difficoltà economiche. Fin da giovanissimo manifestò inclinazione al disegno, e dopo aver svolto lavori artigianali al fine di contribuire al sostentamento familiare, entrò nel 1873 all’Accademia di Belle Arti “Cignaroli” di Verona, sotto la guida di Napoleone Nani.
    Clicca per espandere

    Durante quegli anni, frequenti furono le influenze del verismo veneto e dell’ambiente artistico veronese, che lo avviarono a dipingere scene di vita quotidiana e scorci cittadini.

    Nel corso degli anni successivi, Dall’Oca Bianca maturò il proprio linguaggio: partecipò alle mostre della Società di Belle Arti e alla Esposizione dell’Accademia di Brera, ottenendo riconoscimenti. Intorno agli anni ’80, sotto l’influsso del pittore Giacomo Favretto, rafforzò il suo interesse per l’istantaneità visiva, l’osservazione “dal vero” e l’uso della fotografia come supporto preparatorio per le sue opere. I soggetti dei suoi dipinti spaziano dalle strade veronesi ai paesaggi lagunari, dalla vita popolare ai momenti silenziosi della quotidianità, e si caratterizzano per una luce chiara e una pennellata fluida.

    Col passare del tempo, l’artista cominciò ad avvicinarsi anche a soluzioni formali più moderne: nell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 presentò l’opera “Gli amori delle anime”, che segnala una svolta verso temi simbolisti e influenze divisioniste. Le sue vedute urbane e lagunari, con riflessi e contrasti cromatici più accentuati, testimoniano questa evoluzione. Nel 1912, in occasione della Biennale di Venezia, Dall’Oca Bianca ebbe una sala personale con numerose opere esposte, a suggello del suo prestigio.

    Tuttavia, a partire dal primo decennio del XX secolo, la sua pittura cominciò ad essere criticata come eccessivamente legata a temi veristi e a un linguaggio considerato superato dalle avanguardie emergenti. Di conseguenza, l’artista si ritirò progressivamente dall’attività espositiva, scegliendo di dedicarsi alla sua città natale: Verona. Qui si impegnò nella tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, promuovendo iniziative con risvolto sociale, tra cui il “Villaggio Dall’Oca” destinato alle famiglie veronesi meno abbienti.

    Angelo Dall’Oca Bianca morì a Verona il 18 maggio 1942. La sua opera, ampia e variegata, rappresenta una testimonianza significativa della pittura italiana tra Ottocento e Novecento: da un verismo iniziale radicato nella realtà locale si apre verso una sensibilità più luminosa, più attenta alla luce, all’atmosfera, all’istante, senza rinunciare al sentimento e al legame con il territorio.

    STIMA min € 5000 - max € 6000

    Lotto 33  

    Ritratto 1884

    Angelo Dall Oca Bianca Angelo Dall Oca Bianca
    Verona 1858 - 1942
    Olio su cartone cm 50x34 firmato in basso a dx A.Bianca



    Angelo Dall’Oca Bianca nacque a Verona il 31 marzo 1858, in una famiglia modesta: il padre era verniciatore e la famiglia attraversava difficoltà economiche. Fin da giovanissimo manifestò inclinazione al disegno, e dopo aver svolto lavori artigianali al fine di contribuire al sostentamento familiare, entrò nel 1873 all’Accademia di Belle Arti “Cignaroli” di Verona, sotto la guida di Napoleone Nani.
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    Durante quegli anni, frequenti furono le influenze del verismo veneto e dell’ambiente artistico veronese, che lo avviarono a dipingere scene di vita quotidiana e scorci cittadini.

    Nel corso degli anni successivi, Dall’Oca Bianca maturò il proprio linguaggio: partecipò alle mostre della Società di Belle Arti e alla Esposizione dell’Accademia di Brera, ottenendo riconoscimenti. Intorno agli anni ’80, sotto l’influsso del pittore Giacomo Favretto, rafforzò il suo interesse per l’istantaneità visiva, l’osservazione “dal vero” e l’uso della fotografia come supporto preparatorio per le sue opere. I soggetti dei suoi dipinti spaziano dalle strade veronesi ai paesaggi lagunari, dalla vita popolare ai momenti silenziosi della quotidianità, e si caratterizzano per una luce chiara e una pennellata fluida.

    Col passare del tempo, l’artista cominciò ad avvicinarsi anche a soluzioni formali più moderne: nell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 presentò l’opera “Gli amori delle anime”, che segnala una svolta verso temi simbolisti e influenze divisioniste. Le sue vedute urbane e lagunari, con riflessi e contrasti cromatici più accentuati, testimoniano questa evoluzione. Nel 1912, in occasione della Biennale di Venezia, Dall’Oca Bianca ebbe una sala personale con numerose opere esposte, a suggello del suo prestigio.

    Tuttavia, a partire dal primo decennio del XX secolo, la sua pittura cominciò ad essere criticata come eccessivamente legata a temi veristi e a un linguaggio considerato superato dalle avanguardie emergenti. Di conseguenza, l’artista si ritirò progressivamente dall’attività espositiva, scegliendo di dedicarsi alla sua città natale: Verona. Qui si impegnò nella tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, promuovendo iniziative con risvolto sociale, tra cui il “Villaggio Dall’Oca” destinato alle famiglie veronesi meno abbienti.

    Angelo Dall’Oca Bianca morì a Verona il 18 maggio 1942. La sua opera, ampia e variegata, rappresenta una testimonianza significativa della pittura italiana tra Ottocento e Novecento: da un verismo iniziale radicato nella realtà locale si apre verso una sensibilità più luminosa, più attenta alla luce, all’atmosfera, all’istante, senza rinunciare al sentimento e al legame con il territorio.



    6 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 34  

    Ritratto di nobildonna

    Angelo Dall Oca Bianca
    Verona 1858 - 1942
    Pastello su carta cm 54x34 firmato in basso a dx A.Bianca



    Angelo Dall’Oca Bianca nacque a Verona il 31 marzo 1858, in una famiglia modesta: il padre era verniciatore e la famiglia attraversava difficoltà economiche. Fin da giovanissimo manifestò inclinazione al disegno, e dopo aver svolto lavori artigianali al fine di contribuire al sostentamento familiare, entrò nel 1873 all’Accademia di Belle Arti “Cignaroli” di Verona, sotto la guida di Napoleone Nani.
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    Durante quegli anni, frequenti furono le influenze del verismo veneto e dell’ambiente artistico veronese, che lo avviarono a dipingere scene di vita quotidiana e scorci cittadini.

    Nel corso degli anni successivi, Dall’Oca Bianca maturò il proprio linguaggio: partecipò alle mostre della Società di Belle Arti e alla Esposizione dell’Accademia di Brera, ottenendo riconoscimenti. Intorno agli anni ’80, sotto l’influsso del pittore Giacomo Favretto, rafforzò il suo interesse per l’istantaneità visiva, l’osservazione “dal vero” e l’uso della fotografia come supporto preparatorio per le sue opere. I soggetti dei suoi dipinti spaziano dalle strade veronesi ai paesaggi lagunari, dalla vita popolare ai momenti silenziosi della quotidianità, e si caratterizzano per una luce chiara e una pennellata fluida.

    Col passare del tempo, l’artista cominciò ad avvicinarsi anche a soluzioni formali più moderne: nell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 presentò l’opera “Gli amori delle anime”, che segnala una svolta verso temi simbolisti e influenze divisioniste. Le sue vedute urbane e lagunari, con riflessi e contrasti cromatici più accentuati, testimoniano questa evoluzione. Nel 1912, in occasione della Biennale di Venezia, Dall’Oca Bianca ebbe una sala personale con numerose opere esposte, a suggello del suo prestigio.

    Tuttavia, a partire dal primo decennio del XX secolo, la sua pittura cominciò ad essere criticata come eccessivamente legata a temi veristi e a un linguaggio considerato superato dalle avanguardie emergenti. Di conseguenza, l’artista si ritirò progressivamente dall’attività espositiva, scegliendo di dedicarsi alla sua città natale: Verona. Qui si impegnò nella tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, promuovendo iniziative con risvolto sociale, tra cui il “Villaggio Dall’Oca” destinato alle famiglie veronesi meno abbienti.

    Angelo Dall’Oca Bianca morì a Verona il 18 maggio 1942. La sua opera, ampia e variegata, rappresenta una testimonianza significativa della pittura italiana tra Ottocento e Novecento: da un verismo iniziale radicato nella realtà locale si apre verso una sensibilità più luminosa, più attenta alla luce, all’atmosfera, all’istante, senza rinunciare al sentimento e al legame con il territorio.

    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Lotto 34  

    Ritratto di nobildonna

    Angelo Dall Oca Bianca Angelo Dall Oca Bianca
    Verona 1858 - 1942
    Pastello su carta cm 54x34 firmato in basso a dx A.Bianca



    Angelo Dall’Oca Bianca nacque a Verona il 31 marzo 1858, in una famiglia modesta: il padre era verniciatore e la famiglia attraversava difficoltà economiche. Fin da giovanissimo manifestò inclinazione al disegno, e dopo aver svolto lavori artigianali al fine di contribuire al sostentamento familiare, entrò nel 1873 all’Accademia di Belle Arti “Cignaroli” di Verona, sotto la guida di Napoleone Nani.
    Clicca per espandere

    Durante quegli anni, frequenti furono le influenze del verismo veneto e dell’ambiente artistico veronese, che lo avviarono a dipingere scene di vita quotidiana e scorci cittadini.

    Nel corso degli anni successivi, Dall’Oca Bianca maturò il proprio linguaggio: partecipò alle mostre della Società di Belle Arti e alla Esposizione dell’Accademia di Brera, ottenendo riconoscimenti. Intorno agli anni ’80, sotto l’influsso del pittore Giacomo Favretto, rafforzò il suo interesse per l’istantaneità visiva, l’osservazione “dal vero” e l’uso della fotografia come supporto preparatorio per le sue opere. I soggetti dei suoi dipinti spaziano dalle strade veronesi ai paesaggi lagunari, dalla vita popolare ai momenti silenziosi della quotidianità, e si caratterizzano per una luce chiara e una pennellata fluida.

    Col passare del tempo, l’artista cominciò ad avvicinarsi anche a soluzioni formali più moderne: nell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 presentò l’opera “Gli amori delle anime”, che segnala una svolta verso temi simbolisti e influenze divisioniste. Le sue vedute urbane e lagunari, con riflessi e contrasti cromatici più accentuati, testimoniano questa evoluzione. Nel 1912, in occasione della Biennale di Venezia, Dall’Oca Bianca ebbe una sala personale con numerose opere esposte, a suggello del suo prestigio.

    Tuttavia, a partire dal primo decennio del XX secolo, la sua pittura cominciò ad essere criticata come eccessivamente legata a temi veristi e a un linguaggio considerato superato dalle avanguardie emergenti. Di conseguenza, l’artista si ritirò progressivamente dall’attività espositiva, scegliendo di dedicarsi alla sua città natale: Verona. Qui si impegnò nella tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, promuovendo iniziative con risvolto sociale, tra cui il “Villaggio Dall’Oca” destinato alle famiglie veronesi meno abbienti.

    Angelo Dall’Oca Bianca morì a Verona il 18 maggio 1942. La sua opera, ampia e variegata, rappresenta una testimonianza significativa della pittura italiana tra Ottocento e Novecento: da un verismo iniziale radicato nella realtà locale si apre verso una sensibilità più luminosa, più attenta alla luce, all’atmosfera, all’istante, senza rinunciare al sentimento e al legame con il territorio.



    7 offerte pre-asta Dettaglio
  • Giovanni Battista Vicari
    Italia XIX - XX Secolo
    Olio su tela cm 63x33,5 firmato al retro.

    Copia della prima importante commissione religiosa per il giovane Tiziano fu la pala intitolata Assunta. Il dipinto venne commissionato dal priore dei francescani della chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari di Venezia.
    STIMA min € 1200 - max € 1400

    Giovanni Battista Vicari Giovanni Battista Vicari
    Italia XIX - XX Secolo
    Olio su tela cm 63x33,5 firmato al retro.

    Copia della prima importante commissione religiosa per il giovane Tiziano fu la pala intitolata Assunta. Il dipinto venne commissionato dal priore dei francescani della chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari di Venezia.


    2 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 36  

    Le oche

    Sergio Budicin
    Trieste 1939
    Olio su tavola cm 20x30 firmato in basso a dx S.Budicin



    Sergio Budicin nacque a Trieste nel 1939 e sin da giovane mostrò una predilezione per il mondo naturale e per gli animali, che sarebbero poi divenuti protagonisti della sua pittura. Pur non emergendo una dettagliata documentazione sul suo percorso formativo, risulta che Budicin abbia affiancato alla propria sensibilità pittorica una continuità operativa che lo ha portato a realizzare numerosi dipinti in cui grande cura è posta nella rappresentazione della fauna, della campagna, del paesaggio e dell’essere umano inserito in ambienti naturali.
    Clicca per espandere



    Il suo linguaggio visivo si fonda su una visione realistico-poetica: animali al pascolo, paesaggi silenziosi, figure immerse nella natura sono raffigurati con attenzione al particolare, ma anche con una luce che invita all’osservazione meditativa. Negli anni la sua opera ha trovato collocazione nel mercato d’arte, dove le sue tele appaiono in cataloghi d’asta, testimonianza di una presenza stabile seppur non eclatante nel panorama artistico.

    Budicin non sembra aver cercato la grande esposizione internazionale o la risonanza delle avanguardie; piuttosto, è rimasto fedele al soggetto – natura e animali – con un approccio che privilegia la serenità dell’osservazione e la qualità pittorica. Le sue opere risultano apprezzate da collezionisti che amano la pittura figurativa d’impegno, ben fatta e coerente nel tempo.

    STIMA min € 800 - max € 1000

    Lotto 36  

    Le oche

    Sergio Budicin Sergio Budicin
    Trieste 1939
    Olio su tavola cm 20x30 firmato in basso a dx S.Budicin



    Sergio Budicin nacque a Trieste nel 1939 e sin da giovane mostrò una predilezione per il mondo naturale e per gli animali, che sarebbero poi divenuti protagonisti della sua pittura. Pur non emergendo una dettagliata documentazione sul suo percorso formativo, risulta che Budicin abbia affiancato alla propria sensibilità pittorica una continuità operativa che lo ha portato a realizzare numerosi dipinti in cui grande cura è posta nella rappresentazione della fauna, della campagna, del paesaggio e dell’essere umano inserito in ambienti naturali.
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    Il suo linguaggio visivo si fonda su una visione realistico-poetica: animali al pascolo, paesaggi silenziosi, figure immerse nella natura sono raffigurati con attenzione al particolare, ma anche con una luce che invita all’osservazione meditativa. Negli anni la sua opera ha trovato collocazione nel mercato d’arte, dove le sue tele appaiono in cataloghi d’asta, testimonianza di una presenza stabile seppur non eclatante nel panorama artistico.

    Budicin non sembra aver cercato la grande esposizione internazionale o la risonanza delle avanguardie; piuttosto, è rimasto fedele al soggetto – natura e animali – con un approccio che privilegia la serenità dell’osservazione e la qualità pittorica. Le sue opere risultano apprezzate da collezionisti che amano la pittura figurativa d’impegno, ben fatta e coerente nel tempo.



    10 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 37  

    Tra le pecorelle

    Sergio Budicin
    Trieste 1939
    Olio su tavola cm 11,5x16,5 firmato in basso a sx S.Budicin



    Sergio Budicin nacque a Trieste nel 1939 e sin da giovane mostrò una predilezione per il mondo naturale e per gli animali, che sarebbero poi divenuti protagonisti della sua pittura. Pur non emergendo una dettagliata documentazione sul suo percorso formativo, risulta che Budicin abbia affiancato alla propria sensibilità pittorica una continuità operativa che lo ha portato a realizzare numerosi dipinti in cui grande cura è posta nella rappresentazione della fauna, della campagna, del paesaggio e dell’essere umano inserito in ambienti naturali.
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    Il suo linguaggio visivo si fonda su una visione realistico-poetica: animali al pascolo, paesaggi silenziosi, figure immerse nella natura sono raffigurati con attenzione al particolare, ma anche con una luce che invita all’osservazione meditativa. Negli anni la sua opera ha trovato collocazione nel mercato d’arte, dove le sue tele appaiono in cataloghi d’asta, testimonianza di una presenza stabile seppur non eclatante nel panorama artistico.

    Budicin non sembra aver cercato la grande esposizione internazionale o la risonanza delle avanguardie; piuttosto, è rimasto fedele al soggetto – natura e animali – con un approccio che privilegia la serenità dell’osservazione e la qualità pittorica. Le sue opere risultano apprezzate da collezionisti che amano la pittura figurativa d’impegno, ben fatta e coerente nel tempo.

    STIMA min € 500 - max € 600

    Lotto 37  

    Tra le pecorelle

    Sergio Budicin Sergio Budicin
    Trieste 1939
    Olio su tavola cm 11,5x16,5 firmato in basso a sx S.Budicin



    Sergio Budicin nacque a Trieste nel 1939 e sin da giovane mostrò una predilezione per il mondo naturale e per gli animali, che sarebbero poi divenuti protagonisti della sua pittura. Pur non emergendo una dettagliata documentazione sul suo percorso formativo, risulta che Budicin abbia affiancato alla propria sensibilità pittorica una continuità operativa che lo ha portato a realizzare numerosi dipinti in cui grande cura è posta nella rappresentazione della fauna, della campagna, del paesaggio e dell’essere umano inserito in ambienti naturali.
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    Il suo linguaggio visivo si fonda su una visione realistico-poetica: animali al pascolo, paesaggi silenziosi, figure immerse nella natura sono raffigurati con attenzione al particolare, ma anche con una luce che invita all’osservazione meditativa. Negli anni la sua opera ha trovato collocazione nel mercato d’arte, dove le sue tele appaiono in cataloghi d’asta, testimonianza di una presenza stabile seppur non eclatante nel panorama artistico.

    Budicin non sembra aver cercato la grande esposizione internazionale o la risonanza delle avanguardie; piuttosto, è rimasto fedele al soggetto – natura e animali – con un approccio che privilegia la serenità dell’osservazione e la qualità pittorica. Le sue opere risultano apprezzate da collezionisti che amano la pittura figurativa d’impegno, ben fatta e coerente nel tempo.



    6 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 38  

    Lungo il canale

    Francesco Sartorelli
    Cornuda TV 1856 - Udine 1939
    Olio su tela cm 70x93 firmato in basso a dx F.Sartorelli

    Francesco Sartorelli nacque il 14 settembre 1856 a Cornuda, in provincia di Treviso, da una famiglia agiata, con un padre notaio ad Asolo. Inizialmente intraprese studi classici e si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell'Università di Padova, ma nel 1875 abbandonò il percorso accademico per dedicarsi alla musica, iscrivendosi al Conservatorio di Milano per studiare flauto.
    Clicca per espandere

    Tuttavia, a causa di gravi problemi di salute, fu costretto a interrompere la sua carriera musicale e tornò a Cornuda, dove si avvicinò alla pittura come autodidatta.
    Nel 1889 si trasferì a Venezia, dove strinse amicizia con l'artista Alessandro Milesi e partecipò per la prima volta a una mostra alla Promotrice di Torino. Da allora, la sua carriera artistica decollò, partecipando alle Esposizioni Internazionali d'Arte di Venezia a partire dal 1895. Nel 1900 ricevette un importante riconoscimento con il Premio Principe Umberto all'Esposizione di Brera e, l’anno successivo, una medaglia d'oro all'VIII Esposizione Internazionale d'Arte di Monaco.
    Nel 1903, il mercante d'arte Ferruccio Stefani organizzò una mostra personale itinerante che toccò città come Buenos Aires, Montevideo e Valparaíso. Le sue opere furono esposte nuovamente a Buenos Aires nel 1910, in occasione dell'Esposizione Internazionale d'Arte del Centenario, e lo stesso anno, la Biennale di Venezia gli dedicò una sala con ben quarantasei opere. Nel 1924 si trasferì a Milano, dove l'anno successivo allestì una personale alla Galleria Pesaro.
    Nel 1940, a pochi mesi dalla sua morte, la Biennale Internazionale d'Arte di Venezia gli dedicò una retrospettiva curata dal figlio Carlo, anch'egli pittore. Francesco Sartorelli morì l'8 aprile 1939 a Udine, lasciando un'importante eredità nel panorama artistico italiano, caratterizzato dalla sua pittura paesaggistica che ebbe una grande risonanza a livello internazionale.

    STIMA min € 2000 - max € 2500

    Lotto 38  

    Lungo il canale

    Francesco Sartorelli Francesco Sartorelli
    Cornuda TV 1856 - Udine 1939
    Olio su tela cm 70x93 firmato in basso a dx F.Sartorelli

    Francesco Sartorelli nacque il 14 settembre 1856 a Cornuda, in provincia di Treviso, da una famiglia agiata, con un padre notaio ad Asolo. Inizialmente intraprese studi classici e si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell'Università di Padova, ma nel 1875 abbandonò il percorso accademico per dedicarsi alla musica, iscrivendosi al Conservatorio di Milano per studiare flauto.
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    Tuttavia, a causa di gravi problemi di salute, fu costretto a interrompere la sua carriera musicale e tornò a Cornuda, dove si avvicinò alla pittura come autodidatta.
    Nel 1889 si trasferì a Venezia, dove strinse amicizia con l'artista Alessandro Milesi e partecipò per la prima volta a una mostra alla Promotrice di Torino. Da allora, la sua carriera artistica decollò, partecipando alle Esposizioni Internazionali d'Arte di Venezia a partire dal 1895. Nel 1900 ricevette un importante riconoscimento con il Premio Principe Umberto all'Esposizione di Brera e, l’anno successivo, una medaglia d'oro all'VIII Esposizione Internazionale d'Arte di Monaco.
    Nel 1903, il mercante d'arte Ferruccio Stefani organizzò una mostra personale itinerante che toccò città come Buenos Aires, Montevideo e Valparaíso. Le sue opere furono esposte nuovamente a Buenos Aires nel 1910, in occasione dell'Esposizione Internazionale d'Arte del Centenario, e lo stesso anno, la Biennale di Venezia gli dedicò una sala con ben quarantasei opere. Nel 1924 si trasferì a Milano, dove l'anno successivo allestì una personale alla Galleria Pesaro.
    Nel 1940, a pochi mesi dalla sua morte, la Biennale Internazionale d'Arte di Venezia gli dedicò una retrospettiva curata dal figlio Carlo, anch'egli pittore. Francesco Sartorelli morì l'8 aprile 1939 a Udine, lasciando un'importante eredità nel panorama artistico italiano, caratterizzato dalla sua pittura paesaggistica che ebbe una grande risonanza a livello internazionale.



    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 39  

    Primavera 1922

    Clifford Holmead Phillips
    Pennsylvania 1889 - Brussels 1975
    Olio su cartone cm 30x41 firmato in basso a dx C.Phillips



    Clifford Holmead Phillips nacque nel 1889 a Shippensburg, in Pennsylvania, in una famiglia benestante. Fin da giovane mostrò una forte inclinazione per l’arte e un atteggiamento critico verso la società industriale che si stava affermando negli Stati Uniti di fine Ottocento.
    Clicca per espandere

    Dopo aver completato gli studi, intraprese numerosi viaggi in Europa, dove visitò musei e gallerie, studiando da autodidatta i grandi maestri della pittura moderna e antica. Rifiutò sempre una formazione accademica tradizionale, preferendo formarsi attraverso l’osservazione diretta e la ricerca personale.

    Negli anni Venti soggiornò a lungo in Europa – tra Bruxelles, Parigi e Berlino – venendo in contatto con le correnti artistiche più vive del tempo. L’incontro con l’espressionismo, il fauvismo e la pittura francese di fine secolo lo spinse a elaborare un linguaggio personale, fatto di colore denso, materia corposa e linee decise. La sua pittura si distinse per una forza espressiva immediata e per un senso profondo dell’umanità dei soggetti, che fossero paesaggi urbani, ritratti o interni.

    Nel 1927 tenne la sua prima mostra personale a Parigi, ottenendo l’attenzione della critica e aprendo la strada a un lungo periodo di attività tra Europa e Stati Uniti. Negli anni successivi si stabilì in Belgio, pur continuando a viaggiare, e qui maturò la fase più intensa della sua produzione. I suoi dipinti di questo periodo, spesso centrati su figure umane isolate o su paesaggi metropolitani attraversati da una luce inquieta, esprimono una visione drammatica ma poetica della condizione moderna.

    Negli anni Cinquanta e Sessanta la sua pittura divenne ancora più libera e sintetica. Dopo un grave ictus, riprese a dipingere con energia sorprendente, sviluppando una tecnica che definì “shorthand painting”: una pittura rapida, essenziale, capace di cogliere in pochi tratti l’essenza del soggetto. In questi lavori, la materia pittorica diventa linguaggio puro, strumento per trasmettere emozione più che forma.

    Clifford Holmead Phillips morì nel 1975 a Bruxelles, dopo una vita interamente dedicata all’arte.

    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Lotto 39  

    Primavera 1922

    Clifford Holmead Phillips Clifford Holmead Phillips
    Pennsylvania 1889 - Brussels 1975
    Olio su cartone cm 30x41 firmato in basso a dx C.Phillips



    Clifford Holmead Phillips nacque nel 1889 a Shippensburg, in Pennsylvania, in una famiglia benestante. Fin da giovane mostrò una forte inclinazione per l’arte e un atteggiamento critico verso la società industriale che si stava affermando negli Stati Uniti di fine Ottocento.
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    Dopo aver completato gli studi, intraprese numerosi viaggi in Europa, dove visitò musei e gallerie, studiando da autodidatta i grandi maestri della pittura moderna e antica. Rifiutò sempre una formazione accademica tradizionale, preferendo formarsi attraverso l’osservazione diretta e la ricerca personale.

    Negli anni Venti soggiornò a lungo in Europa – tra Bruxelles, Parigi e Berlino – venendo in contatto con le correnti artistiche più vive del tempo. L’incontro con l’espressionismo, il fauvismo e la pittura francese di fine secolo lo spinse a elaborare un linguaggio personale, fatto di colore denso, materia corposa e linee decise. La sua pittura si distinse per una forza espressiva immediata e per un senso profondo dell’umanità dei soggetti, che fossero paesaggi urbani, ritratti o interni.

    Nel 1927 tenne la sua prima mostra personale a Parigi, ottenendo l’attenzione della critica e aprendo la strada a un lungo periodo di attività tra Europa e Stati Uniti. Negli anni successivi si stabilì in Belgio, pur continuando a viaggiare, e qui maturò la fase più intensa della sua produzione. I suoi dipinti di questo periodo, spesso centrati su figure umane isolate o su paesaggi metropolitani attraversati da una luce inquieta, esprimono una visione drammatica ma poetica della condizione moderna.

    Negli anni Cinquanta e Sessanta la sua pittura divenne ancora più libera e sintetica. Dopo un grave ictus, riprese a dipingere con energia sorprendente, sviluppando una tecnica che definì “shorthand painting”: una pittura rapida, essenziale, capace di cogliere in pochi tratti l’essenza del soggetto. In questi lavori, la materia pittorica diventa linguaggio puro, strumento per trasmettere emozione più che forma.

    Clifford Holmead Phillips morì nel 1975 a Bruxelles, dopo una vita interamente dedicata all’arte.



    0 offerte pre-asta Dettaglio
  • Guido Agostini
    Firenze XIX - XX
    Olio su tela cm 42x32,5 firmato in basso a sx Agostini

    Guido Agostini (1870-1898) è stato un pittore italiano noto per le sue rappresentazioni di paesaggi toscani. Nato a Milano, ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Brera, dove ha sviluppato le sue abilità artistiche.
    Clicca per espandere

    Le sue opere, sebbene non numerose, ritraggono principalmente scorci delle campagne toscane, con casolari e castelli come soggetti principali. La sua carriera artistica si è estesa dal 1865 al 1898, periodo in cui ha partecipato a diverse esposizioni, tra cui quelle di Vienna, Parigi e Londra. Le sue opere sono state vendute in numerose aste, dimostrando un continuo interesse per il suo lavoro. Guido Agostini è scomparso prematuramente nel 1898, ma il suo contributo all'arte paesaggistica italiana rimane significativo. ​

    STIMA min € 1500 - max € 1800

    Guido Agostini Guido Agostini
    Firenze XIX - XX
    Olio su tela cm 42x32,5 firmato in basso a sx Agostini

    Guido Agostini (1870-1898) è stato un pittore italiano noto per le sue rappresentazioni di paesaggi toscani. Nato a Milano, ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Brera, dove ha sviluppato le sue abilità artistiche.
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    Le sue opere, sebbene non numerose, ritraggono principalmente scorci delle campagne toscane, con casolari e castelli come soggetti principali. La sua carriera artistica si è estesa dal 1865 al 1898, periodo in cui ha partecipato a diverse esposizioni, tra cui quelle di Vienna, Parigi e Londra. Le sue opere sono state vendute in numerose aste, dimostrando un continuo interesse per il suo lavoro. Guido Agostini è scomparso prematuramente nel 1898, ma il suo contributo all'arte paesaggistica italiana rimane significativo. ​



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