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Esordì pubblicamente nel 1898 a Firenze e successivamente si recò a Parigi per frequentare l'accademia di Fernand Cormon. La sua carriera artistica fu influenzata dalla luce della pittura di Giovanni Segantini, e nel 1899 si trasferì nell'Engadina per seguire le sue tracce. Dopo la morte della madre nel 1900, Maggi si stabilì a Torino e iniziò le sue sperimentazioni artistiche a Forno Alpi Graie. Nel 1900, firmò un contratto esclusivo con il mercante Alberto Grubicy, diventando parte del gruppo divisionista. Nel 1904, si trasferì a La Thuile in Val d'Aosta per approfondire lo studio dal vero. Nel 1905, presentò il dipinto "Mattino di festa" all'Esposizione internazionale di Venezia, segnando un momento significativo nella sua carriera. Dal 1907 in poi, Maggi partecipò a numerose mostre internazionali, ottenendo riconoscimenti e successi. Nel 1913 lasciò La Thuile per stabilirsi a Torino, chiudendo la sua fase divisionista. La Biennale di Venezia del 1914 mostrò ancora opere influenzate da Segantini. La chiamata alle armi nel 1915 non interruppe la sua ricerca artistica, e il suo stile si perfezionò durante il servizio militare. Congedato nel 1919, tornò a Torino e riprese intensa attività espositiva, ottenendo successi e acquisizioni importanti. Nel 1926, il dipinto "Neve" fu acquistato dalla Galleria civica di Torino. La sua pittura subì l'influenza del movimento Novecento, senza una vera adesione. Nel 1935 divenne supplente di Cesare Ferro all'Accademia Albertina di Torino, iniziando una prolifica carriera di insegnante fino al 1951. Nel corso degli anni, Maggi partecipò a numerose mostre nazionali, ricevendo premi e riconoscimenti. Nel 1947 fu nominato accademico di S. Luca. Negli anni successivi, la sua attività espositiva si diradò a causa di problemi di salute e depressione legata alla morte della moglie nel 1957. Nel 1959, una retrospettiva a Torino segnò la sua consacrazione pubblica. Cesare Maggi morì a Torino il 11 maggio 1961.
Contrariamente alla maniera del suo maestro, Tavernier si dedicò fin da principio alla rappresentazione del paesaggio e a scene di genere all'aperto. Il suo esordio artistico avvenne nel 1884 alla Promotrice di Torino, ma la sua carriera si sviluppò soprattutto a Roma, dove si stabilì. Qui trasse ispirazione dalla suggestiva Campagna Romana e trascorse periodi significativi anche lungo la costa adriatica. Tavernier, tuttavia, non si legò a una singola località e, nel corso della sua vita, visse anche a Torino e infine a Grottaferrata, dove si spense il 15 novembre 1932. La sua produzione artistica fu ampiamente esposta a Torino e Roma, oltre che alle biennali veneziane e ad altre importanti mostre in Italia. Alcune delle sue opere sono conservate presso il Museo Civico di Torino, testimonianza del riconoscimento ottenuto nel panorama artistico dell'epoca. Il tratto distintivo di Tavernier risiede nella vivacità della sua tavolozza, che talvolta si avvicinò al gusto dei divisionisti senza tuttavia riprodurre pedissequamente i loro rapporti cromatici. I suoi paesaggi sono animati da figure umane, dotati di uno spirito aneddotico che aggiunge profondità e interesse alle sue opere. In questo modo, Tavernier ha contribuito a arricchire il panorama artistico italiano del suo tempo con la sua visione personale e la sua sensibilità alla bellezza della natura e della vita quotidiana.
La sua formazione avvenne principalmente a Torino, dove entrò in contatto con l’ambiente artistico della città, che in quegli anni stava vivendo una stagione di grande fermento culturale. Nel corso della sua carriera, Vacchetti si fece apprezzare per la sua maestria nell'uso del colore e per la capacità di rendere con finezza la bellezza degli oggetti e dei paesaggi, trattati con un realismo preciso ma al contempo affascinante. La sua pittura non era solo un’esercizio tecnico, ma un modo per trasmettere emozioni e sensazioni attraverso la resa accurata delle atmosfere. Pur non appartenendo a una scuola specifica, Vacchetti fu influenzato dalle correnti artistiche del suo tempo, ma seppe rimanere fedele alla propria visione, facendo della luce e dei particolari il punto di forza delle sue opere. La sua produzione fu ampiamente apprezzata e le sue opere furono esposte in numerose gallerie e mostre, guadagnandosi un posto di rilievo nel panorama artistico piemontese.
La sua formazione proseguì all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove fu allievo di Vincenzo Volpe e attirò l’attenzione del direttore Carlo Siviero, che gli offrì un incarico come assistente, proposta che Toro rifiutò per dedicarsi interamente alla sua produzione artistica. La pittura di Attilio Toro si sviluppò seguendo la grande tradizione ottocentesca napoletana, ma con uno stile personale caratterizzato da pennellate dense, colori sapientemente impastati e una particolare luminosità che dava vitalità ai soggetti. Realizzò ritratti di grande sensibilità, nudi femminili carichi di grazia e paesaggi semplici ma vibranti. Nel corso della sua carriera, partecipò a numerose esposizioni, tra cui la Prima Esposizione Biennale Nazionale d’Arte della Città di Napoli del 1921, dove presentò l’opera "Redenta". Raggiunse importanti riconoscimenti, come il premio della Columbus Association nel 1940 e la medaglia d’oro alla Mostra Nazionale di Caserta nel 1961 per il dipinto "San Gregorio d’Alife". Tra le sue opere più apprezzate si annovera anche il "Generale Clark", considerato un punto alto della sua produzione. Attilio Toro visse gli ultimi anni a Portici, dove si spense nel 1982. Attilio Toro nacque a Napoli il 4 dicembre 1892. Fin da giovane si avvicinò al mondo dell’arte, apprendendo i primi rudimenti della pittura nell’atelier del padre, Carmine Toro. La sua formazione proseguì all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove fu allievo di Vincenzo Volpe e attirò l’attenzione del direttore Carlo Siviero, che gli offrì un incarico come assistente, proposta che Toro rifiutò per dedicarsi interamente alla sua produzione artistica. La pittura di Attilio Toro si sviluppò seguendo la grande tradizione ottocentesca napoletana, ma con uno stile personale caratterizzato da pennellate dense, colori sapientemente impastati e una particolare luminosità che dava vitalità ai soggetti. Realizzò ritratti di grande sensibilità, nudi femminili carichi di grazia e paesaggi semplici ma vibranti. Nel corso della sua carriera, partecipò a numerose esposizioni, tra cui la Prima Esposizione Biennale Nazionale d’Arte della Città di Napoli del 1921, dove presentò l’opera "Redenta". Raggiunse importanti riconoscimenti, come il premio della Columbus Association nel 1940 e la medaglia d’oro alla Mostra Nazionale di Caserta nel 1961 per il dipinto "San Gregorio d’Alife". Tra le sue opere più apprezzate si annovera anche il "Generale Clark", considerato un punto alto della sua produzione. Attilio Toro visse gli ultimi anni a Portici, dove si spense nel 1982.
Nel 1855 decise di dedicarsi con decisione al genere militare e patriottico: scene di battaglie, assalti, cariche, soldati e eserciti divennero il fulcro della sua produzione artistica. Dopo il ritorno a Milano aderì alla “Società della Confusion”, che nel 1875 si trasformò nell’Circolo degli Artisti, trovando in quel contesto un clima culturale vivace e propenso al rinnovamento: in quegli anni sperimentò l’acquerello e realizzò scene meno solenni, legate alla vita quotidiana, alle corse di cavalli, a momenti di costume. Nel 1874 un evento tragico lo segnò profondamente: la morte del suo unico figlio lo spinse a tornare con forza alla pittura patriottica, a una rappresentazione della storia e del conflitto più intensa e meditata. Tra le sue opere più celebri figura La Carica di Pastrengo, dipinta nel 1880, che testimonia la sua capacità di rendere con realismo e drammaticità le vicende delle guerre d’indipendenza. La sua reputazione in ambito militare-storico gli valse numerosi riconoscimenti ufficiali e nel 1884 fu nominato membro della commissione incaricata di istituire il futuro Museo del Risorgimento di Milano. Continuò a dipingere fino agli ultimi anni di vita: nel 1887 realizzò una scena militare ora conservata al Museo Cantonale d'Arte di Lugano, e nel 1896 portò a termine un ritratto per l’Ospedale Maggiore di Milano. Morì a Milano il 29 novembre 1897.
Maldarelli e lo scultore S. Lista. Fu profondamente influenzato dalle opere di F. P. Michetti, A. D'Orsi e A. Mancini viste all'Esposizione Nazionale di Napoli nel 1877. Debuttò alla XV Mostra della Società Promotrice di Napoli nel 1879 con "Felice rimembranza", vincendo il primo premio. Negli anni successivi, espose varie opere di ispirazione storica e ritratti, come "Sesto Tarquinio" e "L'attentato all'onore di Lucrezia". Il suo ritratto di Francesco Netti del 1884 esemplifica la sua abilità nel catturare il carattere e l'individualità delle figure. Tra il 1880 e il 1883, durante il servizio militare a Pavia, continuò a dipingere, realizzando opere come "Povera madre". Tornato a Napoli, frequentò artisti come Michetti e Sartorio e partecipò a varie esposizioni, ottenendo riconoscimenti per opere come "Amore e dovere" e "Maddalena moderna". Tra il 1889 e il 1890, partecipò alla decorazione della birreria Gambrinus di Napoli. Verso la fine degli anni '80, si dedicò al "secondo realismo", specializzandosi in scene di vita domestica e realismo popolare, influenzato da artisti come A. Cefaly e F. Palizzi. Le sue opere descrivono spesso interni rustici e scene familiari, come "Focolare domestico", "Il bacio della mamma" e "Bella lavandaia", esibendo una tecnica pittorica vivace e dettagliata. Le sue pitture di genere riscossero successo nei mercati internazionali di Parigi, Londra e Berlino, sebbene l'artista stesso considerasse quel periodo come uno dei più gravosi della sua vita, dovendo produrre opere accattivanti per motivi economici. Nel corso del Novecento, il suo stile divenne più fluido e rapido, con composizioni all'aperto e scene cittadine. Partecipò a numerose esposizioni nazionali e internazionali, ricevendo riconoscimenti per opere come "Primavera", "La prediletta", "Sogno primaverile" e "Spannocchiatrici". Le sue ultime partecipazioni espositive risalgono agli anni '30 e '40, culminando con la sua presenza alla I Annuale Nazionale del 1948 a Cava de' Tirreni.
Fu principalmente attratto dalla pittura dal vero e dal ritratto, ma trovò la sua vera espressione nelle composizioni floreali e nei paesaggi, che divennero il suo principale campo di indagine. Il suo stile si distingue per la fusione di tradizione classica e tendenze veriste, unendo un realismo attento ai dettagli a una sensibilità per le luci e i colori. Le sue opere erano caratterizzate da una delicata armonia cromatica e atmosfere che spesso richiamano una visione romantica della natura. Barzanti partecipò a numerose mostre in Italia e all'estero, guadagnandosi consensi anche in Russia, dove le sue opere furono particolarmente apprezzate. Nel corso della sua carriera, Barzanti ebbe modo di esporre in importanti gallerie, e nel 1931 organizzò una mostra personale presso la Galleria Micheli di Milano. Nonostante il successo ottenuto durante la sua vita, fu solo successivamente, in occasione di una retrospettiva dedicata a lui nel 2014 a Forlì, che venne riconosciuto pienamente il valore del suo contributo alla pittura.
Il suo debutto ufficiale avviene nel 1901 alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino, presentando tre studi condotti dal vero. Questo evento segna l'inizio della sua costante partecipazione alle principali mostre d'arte a livello nazionale. Tuttavia, nei primi anni della sua carriera, Lupo è spesso criticato per ciò che alcuni considerano un'eccessiva aderenza ai modelli insegnatigli dal suo maestro, Vittorio Cavalleri. Nonostante le prime opere siano state incentrate principalmente su paesaggi realizzati en plein air, nel corso degli anni Lupo inizia a diversificare i suoi soggetti artistici, fino a specializzarsi come animalista e autore di scene di mercato a partire dagli anni Venti. Un momento significativo nella carriera di Alessandro Lupo è stato nel 1921, quando ha allestito una mostra personale presso la Galleria Vinciana di Milano. Questo evento ha segnato l'inizio di una crescente attenzione critica ed espositiva nei confronti dell'artista. Tuttavia, questa fase positiva è stata bruscamente interrotta dall'esclusione di Lupo dalla Biennale di Venezia nel 1928. Nonostante le critiche sul suo stile artistico, la piacevolezza dei soggetti da lui rappresentati e il suo gusto che sembrava attardato nei confronti dei canoni artistici ottocenteschi gli hanno garantito un successo costante sul mercato dell'arte. La sua opera ha continuato ad essere apprezzata e ricercata dai collezionisti nel corso degli anni, contribuendo così a preservare il suo lascito artistico nel panorama artistico italiano.
Qui studiò sotto la guida di Enrico Gamba e Andrea Gastaldi, due tra le figure più rappresentative del panorama artistico torinese dell’epoca. Durante il percorso accademico ottenne numerose menzioni d’onore, a testimonianza del suo talento precoce e della solidità della sua formazione. Completati gli studi nel 1869, esordì alla mostra annuale della Promotrice di Torino con un dipinto di genere intitolato Una bolla di sapone, che anticipava l’interesse dell’artista per scene dal carattere intimo e narrativo. In un primo momento, infatti, Marchisio si dedicò prevalentemente alla pittura di genere, per poi orientarsi progressivamente verso soggetti storici, in particolare scene in costume e ricostruzioni memoriali. Queste opere si distinguevano per la precisione del disegno e per una palette cromatica equilibrata, che ne esaltava la raffinatezza formale. Il riconoscimento ufficiale arrivò nel 1878 con il dipinto Amore e patria, acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna di Torino, che ne consacrò il successo nel panorama artistico italiano. A partire dagli anni Novanta dell’Ottocento, Marchisio ampliò ulteriormente il proprio repertorio artistico, dedicandosi anche alla pittura su vetro. In questo ambito realizzò pregevoli vetrate per edifici religiosi, tra cui le chiese di Quarniento e Cossano Canavese, consolidando così la sua versatilità tecnica. Andrea Marchisio continuò a esporre con regolarità, soprattutto alla Promotrice torinese, fino alla fine del secolo. Morì nella sua città natale il 23 luglio 1927, lasciando un segno tangibile nella pittura piemontese tra Otto e Novecento, grazie a un’opera caratterizzata da rigore compositivo e sensibilità narrativa. Andrea Marchisio nacque a Torino il 15 maggio 1850 da Antonio e Caterina Ferri. Fin da giovane mostrò una spiccata inclinazione per il disegno, tanto che nel 1864, a soli quattordici anni, fu ammesso all’Accademia Albertina di Belle Arti. Qui studiò sotto la guida di Enrico Gamba e Andrea Gastaldi, due tra le figure più rappresentative del panorama artistico torinese dell’epoca. Durante il percorso accademico ottenne numerose menzioni d’onore, a testimonianza del suo talento precoce e della solidità della sua formazione. Completati gli studi nel 1869, esordì alla mostra annuale della Promotrice di Torino con un dipinto di genere intitolato Una bolla di sapone, che anticipava l’interesse dell’artista per scene dal carattere intimo e narrativo. In un primo momento, infatti, Marchisio si dedicò prevalentemente alla pittura di genere, per poi orientarsi progressivamente verso soggetti storici, in particolare scene in costume e ricostruzioni memoriali. Queste opere si distinguevano per la precisione del disegno e per una palette cromatica equilibrata, che ne esaltava la raffinatezza formale. Il riconoscimento ufficiale arrivò nel 1878 con il dipinto Amore e patria, acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna di Torino, che ne consacrò il successo nel panorama artistico italiano. A partire dagli anni Novanta dell’Ottocento, Marchisio ampliò ulteriormente il proprio repertorio artistico, dedicandosi anche alla pittura su vetro. In questo ambito realizzò pregevoli vetrate per edifici religiosi, tra cui le chiese di Quarniento e Cossano Canavese, consolidando così la sua versatilità tecnica. Andrea Marchisio continuò a esporre con regolarità, soprattutto alla Promotrice torinese, fino alla fine del secolo. Morì nella sua città natale il 23 luglio 1927, lasciando un segno tangibile nella pittura piemontese tra Otto e Novecento, grazie a un’opera caratterizzata da rigore compositivo e sensibilità narrativa.
Ha iniziato la sua carriera artistica nel 1889, esponendo opere presso la Promotrice di Torino. Roda era noto per i suoi dipinti di paesaggi alpini e scene della vita di montagna, spesso ritraendo il maestoso Cervino. Ha anche dipinto paesaggi della pianura padana e del mare ligure. Nel corso della sua carriera, ha ricevuto riconoscimenti e premi per le sue opere, ma verso la fine degli anni '20 ha abbandonato l'attività espositiva e si è ritirato dall'ambiente artistico. La sua pittura è stata descritta come un equilibrio tra realismo e espressionismo, con un'attenzione particolare alla luce e ai cambiamenti atmosferici. Roda è stato elogiato per la sua capacità di catturare la bellezza della natura, sia nelle montagne che nella campagna. La sua salute ha iniziato a declinare negli anni '30, e Roda è morto nel 1933. Sebbene la critica dell'epoca non sia stata sempre gentile con lui, le sue opere sono ancora oggi ammirate e conservate in collezioni private e musei.
Dopo un primo periodo all’Accademia di Pisa, si trasferì a Ginevra, dove si formò nello studio del paesaggista Alexandre Calame. Qui affinò il gusto per la rappresentazione della natura, inizialmente ancora legata a una sensibilità romantica. Negli anni successivi intraprese un lungo viaggio di formazione tra Svizzera, Francia, Belgio e Olanda. Il contatto diretto con i paesisti della Scuola di Barbizon, che privilegiavano la pittura dal vero e un approccio più naturale alla luce, lo spinse verso un linguaggio sobrio, essenziale, fondato sulla resa atmosferica e su un uso delicato del colore. Questo cambiamento segnò la sua maturità artistica. Nel 1857 si stabilì per alcuni anni a Roma. Le campagne laziali, il paesaggio rustico e i grandi cieli luminosi divennero soggetti ricorrenti nelle sue opere. Tornato poi in Piemonte, continuò su questa linea dipingendo vedute silenziose e meditate di laghi, fiumi, pianure e montagne. I suoi paesaggi si distinguono per l’equilibrio composto, per l’attenzione agli effetti di luce e per un sentimento di quiete che attraversa tutta la sua produzione. È in questa fase che il suo nome si lega al gruppo di artisti riuniti nella cosiddetta Scuola di Rivara, ambiente fertile per lo sviluppo del paesaggismo piemontese. Accanto all’attività pittorica coltivò un profondo interesse per il medioevo, l’antiquariato e la conservazione del patrimonio artistico. Acquistò e restaurò il Castello di Issogne, partecipò al progetto del Borgo Medievale di Torino e contribuì a interventi su importanti edifici storici del Piemonte e della Valle d’Aosta. La sua competenza come collezionista e conoscitore d’arte lo rese una figura di primo piano nel dibattito culturale dell’Italia postunitaria. Dal 1863 fu coinvolto nella gestione delle collezioni civiche di Torino e nel 1890 divenne direttore del Museo Civico, ruolo che svolse con rigore e visione, favorendo l’ampliamento e la sistemazione organica delle raccolte. Negli ultimi anni dipinse meno a causa delle condizioni di salute, ma continuò a impegnarsi nella tutela del patrimonio. Morì a Torino il 14 dicembre 1910.
Inizialmente impegnato negli studi matematici a Torino, ben presto decise di seguire la sua vera vocazione, iscrivendosi all’Accademia Albertina. Qui ebbe l’opportunità di apprendere i fondamenti dell’arte sotto la guida di Antonio Fontanesi, rinomato pittore paesaggista, che influenzò profondamente il suo percorso creativo.
Fin dagli esordi, infatti, Sauli d’Igliano si distinse per una pittura attenta ai dettagli della vita quotidiana, ispirandosi al linguaggio visivo di Turletti e di Pier Celestino Gilardi. Nel corso della sua carriera partecipò a numerose esposizioni nazionali, ottenendo una discreta notorietà. Tra le sue prime apparizioni pubbliche si segnala quella del 1880 alla Mostra Nazionale di Torino, dove espose Offesa dal baffone. A Roma, nel 1883, presentò La lezione, mentre nel 1886 fu la volta di Asperges me Domine, esposta a Livorno. Due anni prima, all’Esposizione di Belle Arti di Torino del 1884, aveva presentato opere come Storielle di gioventù e Funerali e danze, testimonianza di un linguaggio pittorico già maturo e consapevole. Accanto alla pittura di genere, Sauli d’Igliano si dedicò con passione al paesaggio, rappresentando in particolare i monti della Val di Viù, i borghi di Usseglio e le vedute costiere della Liguria. Le sue composizioni naturalistiche, popolate spesso da figure intente nelle attività quotidiane, offrono uno spaccato genuino della vita rurale del tempo. Attraverso un tratto fluido e una palette calda e naturale, riusciva a coniugare l’osservazione del reale con una sottile vena lirica e simbolica. Giuseppe Sauli d’Igliano si spense il 14 gennaio 1928. La sua opera rimane significativa per la capacità di fondere sensibilità narrativa e rigore compositivo, restituendo con autenticità lo spirito di un’epoca e di un territorio.
Nel 1854 si iscrisse all'Accademia Albertina di Torino, studiando con E. Gamba e successivamente con C. Arienti e A. Gastaldi. Esordì nel 1855 alla mostra della Società Promotrice di Belle Arti con l'acquarello "Testa di vecchio". Durante questi anni, si distinse con opere di soggetto storico come "Episodio dell'assedio di Ancona" (1860) e "Ulisse riconosciuto dal suo vecchio cane Argo". Nel 1863 vinse il primo premio dell'Albertina con "Studio di figura dal vero rappresentante Sordello", consolidando la sua reputazione. Le sue prime opere rispecchiano uno stile accademico-romantico con tagli scenografici e attenzione alla ricostruzione storica. Tuttavia, dal 1868 si orientò verso il paesaggio en plein air, con opere come "Spiaggia presso Genova", caratterizzate da un approccio più immediato e da un tocco pittorico meno rigido. Attivo nella vita culturale torinese, nel 1869 aderì alla società d'artisti "L'Acquaforte" e strinse amicizia con il poeta G. Camerana. Il suo viaggio a Venezia nel 1873 rafforzò l'interesse per la pittura tonale e la lezione dei maestri veneziani, influenze che si riflettono nelle sue opere degli anni Settanta. Durante questo periodo produsse sia vedute paesaggistiche sia opere di gusto orientalista, come "Tappeti da vendere" (1880) e "Fuciliere arabo a cavallo" (1881), dimostrando un interesse per l'esotismo in linea con la moda dell'epoca. Nel 1883 visitò l'Olanda con Camerana, un'esperienza che influenzò la sua tavolozza e il suo approccio alla luce. Da allora, incrementò la produzione di tavolette e paesaggi ispirati alle campagne piemontesi e alle vedute liguri. Senza un netto distacco dalla pittura storica, si concentrò progressivamente su scene di vita quotidiana e paesaggi vibranti di luce. Partecipò a numerose esposizioni: la III Esposizione nazionale italiana di Napoli (1877), la I Triennale di Milano (1891) e la I Biennale di Venezia (1895), continuando a esporre fino al 1907. Nel 1900 due sue opere furono presentate alla Mostra Universale di Parigi. Nel 1902 fu tra i promotori dell'Esposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna di Torino. Morì a Torino il 13 novembre 1908. La sua ultima opera, "Cuneo dalla Madonna della Riva", fu autenticata dall'amico scultore Leonardo Bistolfi, che gli dedicò anche un ritratto in gesso e una lapide commemorativa nel cimitero di Pollone Biellese.
Franchetti di Mantova e, successivamente, l'Accademia Cignaroli di Verona. Si trasferì poi a Milano, dove proseguì gli studi all'Accademia di Brera, entrando in contatto con maestri come Cesare Tallone e Ambrogio Alciati. Durante la sua carriera, Graziani partecipò a numerose esposizioni di grande rilevanza, tra cui l'Esposizione Nazionale di Belle Arti di Brera a Milano e varie mostre organizzate dalla Società per le Belle Arti di Milano. Il suo talento fu riconosciuto anche a livello internazionale, con la sua partecipazione alla Biennale di Venezia e alla Mostra d'Arte Italiana di Barcellona. Le sue opere si distinsero per la qualità e la delicatezza, in particolare nei ritratti e nelle composizioni di figure femminili, che gli garantirono numerosi premi e riconoscimenti. Nel 1933, per esempio, ottenne una medaglia d'argento per l'affresco "Il Mercato" e una medaglia d'oro per il dipinto "Fanciulla in verde". Dal 1931 al 1942, Graziani si dedicò anche all'insegnamento, contribuendo alla formazione di nuove generazioni di artisti all'Umanitaria di Milano.
La sua formazione venne interrotta nel 1848, quando partecipò ai moti rivoluzionari, un impegno politico che lo costrinse ad abbandonare temporaneamente Napoli per sfuggire alla repressione borbonica. Tornato alla vita artistica, Sagliano riprese gli studi nel 1853 presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli, entrando in contatto con personalità di spicco come Domenico Morelli e Achille Vertunni. La sua pittura si caratterizzò per una fusione tra istanze storiche, religiose e di genere, trattate sempre con uno sguardo attento alla dimensione umana e naturale dei soggetti. Tra le opere più celebrate vi sono "Cristo presentato al popolo", premiato con la medaglia d'oro e oggi conservato nella Pinacoteca di Capodimonte, ed "Episodio del brigantaggio nelle provincie meridionali", che suscitò grande interesse e fu acquistato direttamente dal sovrano. Il suo repertorio include anche scene storiche come "Margherita di Svevia fa seppellire gli avanzi del figlio Corradino", "L'infanzia di Corradino" e "Vittorio Emanuele a Roma il 1° luglio 1871", quest'ultima premiata in importanti esposizioni nazionali e internazionali. Parallelamente alla pittura, Sagliano si dedicò alla modellazione dell'argilla e alla didattica, dirigendo una Scuola di disegno applicato all'industria a Napoli. Le sue opere, spesso caratterizzate da un naturalismo vibrante e da una forte attenzione alla luce e alla resa atmosferica, mostrano un legame profondo con la tradizione e la storia italiana, come si nota nel dipinto "Zingarelle", ambientato in una rigogliosa natura mediterranea. Francesco Sagliano morì a Napoli il 26 gennaio 1890
In quegli anni conobbe artisti come Eugenio Gignous, con il quale instaurò rapporti di amicizia e condivisione artistica. Nel 1871 espose per la prima volta a Brera e nel 1872, a causa di difficoltà economiche e della malattia del padre, fece ritorno con la famiglia a Miazzina. Qui iniziò a dedicarsi anche all’agricoltura, ma senza mai rinunciare all’amore per la pittura. Nonostante il lavoro nei campi, Tominetti continuò a dipingere e a inviare regolarmente le sue opere a importanti mostre: nelle città di Milano, Torino, Genova e in altri centri italiani. La sua produzione iniziale apparteneva al naturalismo lombardo, con paesaggi e scene rurali legate alla montagna e alla vita agreste, spesso ambientate nei territori attorno al Lago Maggiore. Negli anni Ottanta dell’Ottocento la sua carriera artistica subì una svolta decisiva grazie ai contatti con la famiglia aristocratica dei Troubetzkoy. Invitato come maestro di disegno e pittura per il figlio Pietro presso la loro villa di Ghiffa, entrò in contatto con ambienti aristocratici e altoborghesi, e conobbe il mercante e promotore d’arte Vittore Grubicy de Dragon. Questi incontri lo avvicinarono alle istanze del divisionismo, influenzando profondamente la sua tecnica e il suo approccio alla luce e all’atmosfera. Dal tardo XIX secolo in poi Tominetti divenne un interprete originale di scene di campagna, pascoli alpini, lavori agricoli e ambienti montani. Molti dei suoi dipinti trasmettono un sentimento di pathos e contemplazione, rendendo omaggio alla vita rurale e ai ritmi naturali. Tra i suoi temi ricorrenti figurano l’aratura, il pascolo, la raccolta, la fatica e la quiete della natura. Con l’uso del colore, della luce e dell’attenzione al dettaglio atmosferico, seppe evocare paesaggi lirici e realistici al tempo stesso. Grazie al sostegno della galleria dei Grubicy ottenne stabilità economica e visibilità internazionale: partecipò a esposizioni in Italia e all’estero, e le sue tele furono apprezzate da critici e collezionisti. Alcune sue opere furono tra le più significative del panorama paesaggistico lombardo e alpino della fine dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento. Nella parte finale della sua vita visse stabilmente a Miazzina, continuando a dipingere paesaggi montani e agresti e talvolta utilizzando strumenti fotografici per fissare il reale e restituirne le atmosfere in tela. Morì nel 1917 nella sua casa di Miazzina.
La sua formazione artistica iniziò a Roma, dove studiò disegno con l'incisore Augusto Marchetti. Tornato a Napoli, proseguì gli studi con Giuseppe Mancinelli e Nicola Palizzi, avvicinandosi alla Scuola di Posillipo e alla Scuola di Resina. Dalbono esordì con dipinti di soggetto storico, ma ben presto si dedicò con passione alla pittura di paesaggio e alle scene di genere. Le sue opere si distinguono per l'uso sapiente della luce e per la capacità di evocare atmosfere poetiche e suggestive. Tra i suoi soggetti prediletti vi erano le vedute del Golfo di Napoli, le marine e le scene di vita quotidiana. Nel 1866 partecipò a un concorso con la tela "Scomunica di re Manfredi", che fu esposta alla Società Promotrice di Belle Arti di Napoli nel 1868 e successivamente all'Esposizione Nazionale di Parma nel 1870. Nel 1871 presentò "La leggenda delle sirene" alla Società Promotrice. Tra il 1878 e il 1888, Dalbono soggiornò a Parigi, dove, grazie all'amico Giuseppe De Nittis, entrò in contatto con il mercante d'arte Adolphe Goupil. Durante questo periodo, la sua pittura si arricchì di elementi simbolici e sensuali, influenzata anche dall'incontro con Mariano Fortuny y Marsal. Al suo ritorno in Italia, si dedicò alla rappresentazione di Venezia e della laguna veneta, temi che divennero ricorrenti nella sua produzione. Nel 1897 fu nominato professore di pittura presso il Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, dove ebbe tra i suoi allievi Roberto Carignani. Nel 1905 divenne curatore della Pinacoteca del Museo Nazionale di Napoli, oggi Museo di Capodimonte. Oltre alla pittura, Dalbono si dedicò all'illustrazione di libri e riviste, collaborando con "L'Illustrazione Italiana" e la parigina "Le Grand Monde". Realizzò anche decorazioni murali per chiese e palazzi, tra cui le tempere per il teatro municipale di Salerno e pale d'altare per la chiesa di Santa Maria di Piedigrotta a Napoli e per una chiesa di Gragnano. Edoardo Dalbono morì a Napoli il 23 agosto 1915.
Fu proprio in quella occasione che il suo lavoro attirò l'attenzione di importanti critici e intellettuali, tra cui Gabriele D'Annunzio e Ugo Ojetti, che ne lodarono la maestria. Nel 1914, grazie a una borsa di studio Franchetti, si trasferì a Milano per frequentare l'Accademia di Brera, dove fu allievo di Cesare Tallone. Fu in quegli anni che il suo stile pittorico si affinò e divenne sempre più riconoscibile. La sua carriera decollò nel 1920, quando partecipò alla XII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, conquistando un posto di rilievo nel panorama artistico italiano e internazionale. Nel 1926 sposò Teresa e, nel 1932, ottenne uno studio presso il Teatro alla Scala di Milano, grazie al sostegno del sovrintendente Jenner Mataloni. Tuttavia, la sua carriera subì un colpo devastante nel 1943, quando durante un bombardamento aereo, il suo studio fu distrutto, insieme a tutte le sue opere. Nonostante questa tragedia, Celada continuò a lavorare e a partecipare a importanti mostre, sebbene la sua adesione al manifesto antinovecentista lo isolò ulteriormente dal panorama artistico ufficiale. Gli anni successivi videro una diminuzione della sua visibilità, ma nel 1959 partecipò alla Prima Mostra di Pittori Oggettivi a Milano. Nel 1985, il Comune di Cerese di Virgilio gli rese omaggio con l'inaugurazione della Galleria Ugo Celada, dedicata alle sue opere, in cui vennero esposte cinquanta delle sue creazioni donate dall'artista. Questo atto contribuì alla riscoperta del suo talento, che, seppur dimenticato per un lungo periodo, rimane un'importante testimonianza della pittura italiana del XX secolo. Celada morì il 9 agosto 1995 a Varese, all'età di 100 anni. La sua produzione spaziò dal ritratto alla natura morta, passando per il nudo. I suoi ritratti si caratterizzano per un'attenzione minuziosa ai dettagli e per la capacità di rappresentare i soggetti con un'idealizzazione che li rendeva quasi fuori dal tempo. Le sue nature morte, così come i paesaggi dipinti en plein air, testimoniano un equilibrato incontro tra classicismo e modernità, avvicinandosi per certi versi alla sensibilità di artisti come Giorgio Morandi.
La sua formazione proseguì poi attraverso lezioni private con alcuni dei più importanti artisti del tempo, tra cui Enrico Ghisolfi, Lorenzo Delleani e Antonio Fontanesi. Il viaggio a Parigi del 1878 fu per lui decisivo: l’incontro con le opere di Camille Corot e degli impressionisti francesi segnò profondamente la sua visione artistica, orientandolo verso una pittura più sensibile alla luce e alla resa atmosferica. A partire dal 1873, Reycend partecipò regolarmente alle esposizioni della Società Promotrice di Belle Arti di Torino e dal 1874 al 1920 fu presenza costante al Circolo degli Artisti della città. Le sue opere furono esposte anche in altre importanti rassegne italiane, come quelle di Brera, Genova, Milano, Firenze, Venezia e Bologna. Tra il 1885 e il 1886 si stabilì temporaneamente a Genova, dove realizzò una serie di vedute marine e portuali, ispirate alle mutevoli condizioni atmosferiche della costa ligure, tra cui spiccano lavori come Tempo grigio nel porto di Genova e Pioggia nel porto di Genova. Nel 1894 ottenne un importante riconoscimento: fu nominato socio onorario dell’Accademia di Brera, grazie al successo del dipinto Cantuccio quieto. La sua fama varcò anche i confini nazionali e le sue opere vennero esposte a Dresda, Monaco di Baviera, Londra, Barcellona, San Francisco, Saint Louis, Santiago del Cile e Buenos Aires. Tuttavia, con l’avvento del Novecento e il mutamento del gusto artistico, la sua pittura, ancora legata alla tradizione tardo ottocentesca, iniziò a essere marginalizzata. A ciò si aggiunsero gravi lutti familiari e difficoltà economiche, che segnarono gli ultimi anni della sua vita. Enrico Reycend morì a Torino il 21 febbraio 1928.
Dotato di un talento precoce, Ferrero ottenne, a soli ventitré anni, la cattedra di insegnamento del nudo nella stessa accademia, incarico che testimonia il riconoscimento del suo valore da parte dell’ambiente accademico ginevrino. Durante il soggiorno in Svizzera, si distinse anche come autore di importanti opere murali: tra queste, gli affreschi realizzati per la Banca di Stato di Friburgo e per il teatro Kursaal di Ginevra. Tra i suoi lavori più rappresentativi di questo periodo si annovera anche la grande tela allegorica intitolata L’omaggio dei popoli al Lago Lemano, commissionata dal Circolo degli Stranieri di Montreux. Tornato in Italia, Ferrero proseguì con successo la propria attività artistica, partecipando alle principali esposizioni nazionali, incluse la Biennale e la Triennale di Milano. Nel 1916 presentò alla Biennale di Brera Il dramma, opera che fu poi esposta anche a Vercelli nel 1922. L’anno successivo vinse il concorso per celebrare il centenario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde con il dipinto La Beneficenza, oggi conservato presso la sede dell’istituto a Milano. L’opera di Ferrero si colloca in prossimità del linguaggio divisionista, sia per la tecnica che per l’impegno nei temi affrontati. I suoi dipinti trattano spesso soggetti sociali e morali, come nel caso de La guerra, Calvario della madre o Il vitello d’oro, rivelando una visione critica e partecipe della realtà contemporanea. Tale approccio lo portò ad assumere una posizione di isolamento durante il regime fascista, a causa delle sue convinzioni etiche e politiche. Alberto Ferrero morì a Roma nel 1963. La sua produzione pittorica, articolata tra grandi composizioni allegoriche, affreschi pubblici e opere a forte contenuto sociale, resta un’importante testimonianza della pittura italiana tra Otto e Novecento.
Negli anni 1875-1880, Adolfo cominciò a firmarsi con il cognome Feragutti, ma la similitudine con il pittore ferrarese Arnaldo Ferraguti lo portò a modificare la firma. Prima aggiunse il toponimo geografico di Milano e poi il cognome materno, diventando Adolfo Feragutti Visconti. È probabile che Feragutti abbia appreso i primi rudimenti artistici seguendo il padre e lo zio Clemente, un esperto stuccatore. Frequenta la scuola maggiore e di disegno di Curio, fondata nel 1850 per formare artigiani nel settore delle arti. Dopo la morte del padre nel 1864, Adolfo si assume il peso della situazione economica della famiglia e inizia a lavorare nel mestiere paterno sotto la guida dello zio Clemente. Nel 1868, si iscrive all'Accademia di Brera a Milano, seguendo corsi di disegno, figura, prospettiva e paesaggio. La sua arte, contrassegnata da una certa inquietudine, è giudicata dagli insegnanti come espressione dell'incostanza della sua vena artistica. Feragutti esplora varie città d'Italia, tra cui Firenze, seguendo il movimento macchiaiolo, ma ritorna a Milano nel 1874. Si unisce ai pittori G. Bertini e A. Barzaghi Cattaneo dell'Accademia di Brera e aderisce alla Famiglia artistica nel 1873, cercando di creare un crogiolo delle forze artistiche innovative a Milano. Dagli anni 1873 al 1879, partecipa alle esposizioni di Brera. I suoi dipinti, come "Studio dal vero," "Contadina lombarda," e "Testa di paggio," sono salutati positivamente dalla critica. Negli anni 1881-1884, dipinge tele a sfondo storico come "Ius primae noctis," "Alberigo denunzia le turpitudini di Ugo re di Lombardia," e "Acca Larentia," consolidando la sua posizione nel mondo artistico. Questi dipinti esprimono indirettamente gli ideali patriottici e religiosi della stagione risorgimentale. Nel 1880, il dipinto "Costume del XVI secolo" riceve elogi dal critico Ferdinando Fontana. Nel 1881, Feragutti sposa Giuseppina Riva, la sua modella, e nel 1891 vinse il prestigioso premio Principe Umberto con il "Ritratto di signora. "Dal 1888, a causa di difficoltà finanziarie, Feragutti abbandona la nazionalità svizzera per quella italiana. Negli anni successivi, partecipa a numerose esposizioni ottenendo riconoscimenti. Nel 1890, realizza l'affresco "12 ottobre 1492," rappresentante la scoperta dell'America, distrutto durante la seconda guerra mondiale. Nel 1907, a 57 anni, Feragutti lascia Milano per l'Argentina a causa di problemi familiari ed economici. Durante il suo soggiorno, tiene una personale a Buenos Aires e si dedica al ritratto e ai paesaggi della pampa. Nel 1908, visita la Terra del Fuoco e dipinge paesaggi e figure luminose e colorate. Torna in Italia nel 1909, esponendo le opere realizzate in Argentina nel 1909 alla Permanente di Milano. Dalla metà del secolo, la sua pittura subisce una svolta simbolista. Nel 1911 partecipa alla Mostra degli indipendenti di Roma con opere come "Jagana" e "Confidenze. " Nei suoi ultimi anni, si ritira a Vanzago, partecipa a varie mostre milanesi e continua a dipingere, sperimentando uno stile basato sull'assoluta libertà cromatica. Feragutti muore improvvisamente a Milano il 10 marzo 1924, poco prima di una mostra prevista alla galleria Pesaro. La mostra postuma segna le tappe della sua prolificità artistica, esponendo circa ottanta opere.
Tra le opere più celebri si ricordano “Campagna napoletana”, “La siesta”, “Sui monti”, “Guado”, “Canal grande a Venezia”, “Frasche dorate”, “Silenzio verde” e “La dent du Geant”.
Inizialmente impegnato negli studi matematici a Torino, ben presto decise di seguire la sua vera vocazione, iscrivendosi all’Accademia Albertina. Qui ebbe l’opportunità di apprendere i fondamenti dell’arte sotto la guida di Antonio Fontanesi, rinomato pittore paesaggista, che influenzò profondamente il suo percorso creativo. Durante la sua carriera, Follini si fece notare esponendo numerosi studi dal vero, tra cui rilevanti partecipazioni in rassegne artistiche sia in Italia che all’estero. Le sue opere, caratterizzate da una pennellata sciolta e da un tratto elegante, riescono a catturare la bellezza dei paesaggi, testimonianza dell’influenza della Scuola di Rivara e dei contemporanei artisti francesi. Tra le opere più celebri si ricordano “Campagna napoletana”, “La siesta”, “Sui monti”, “Guado”, “Canal grande a Venezia”, “Frasche dorate”, “Silenzio verde” e “La dent du Geant”. Negli ultimi anni della sua vita, Follini si stabilì a Pegli, un caratteristico quartiere di Genova, dove continuò a lavorare e a contribuire al panorama artistico nazionale fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1938. La sua eredità artistica rimane viva grazie alla presenza delle sue opere in importanti collezioni private e pubbliche, che testimoniano un percorso artistico segnato da passione, dedizione e talento.
Si formò sotto la guida dello scultore Giuseppe Bogliani e condivise lo studio con Angelo Beccaria. Iniziò la sua carriera artistica realizzando opere di carattere religioso, tra cui una pala d'altare raffigurante San Vincenzo de' Paoli per la chiesa di Rocciamelone e una Via Crucis per il Convento della Visitazione a Torino. Successivamente, si dedicò alla pittura di paesaggio, ispirato dai suoi viaggi di studio nella campagna romana e napoletana tra il 1845 e il 1846. Espose sei paesaggi alla Promotrice di Torino nel 1846, tra cui "Campagna romana vista dalla villa d’Este in Tivoli" e "Marina sulla costa di Savona". Tra il 1851 e il 1852, viaggiò a Parigi, Ginevra e Londra, ospite di Emanuele Tapparelli d’Azeglio, aggiornando il suo linguaggio pittorico sull'esempio del grande paesaggismo nordico. Negli anni successivi, si concentrò su paesaggi montani piemontesi e valdostani, nonché sulla campagna canavesana. Camino fu socio fondatore della "Società Promotrice delle Belle Arti" e del "Circolo degli Artisti" di Torino. Lavorò come scenografo per il Teatro Regio di Torino e divenne professore all'Accademia Albertina di Belle Arti. Nel 1864, si ritirò nella villa che si fece costruire a Caluso, dove continuò a dipingere fino alla sua morte, avvenuta il 26 febbraio 1890. Tra i suoi allievi si ricordano Giuseppe Falchetti, Carlo Pittara e Giacinto Bo.
La sua carriera espositiva ebbe inizio nel 1915, quando partecipò alla Mostra Artistica Mantovana, e continuò con diverse esposizioni nazionali, tra cui quelle a Brera e alla Permanente di Milano. Nel 1921 fu nominato socio onorario della Regia Accademia di Belle Arti di Milano, e nel 1924 prese parte alla Mostra del Ritratto Femminile Contemporaneo a Monza, dove espose opere di grande valore come il "Ritratto delle signore Li Greci" e il "Ritratto di Salvioni". Nel corso degli anni, Baccarini espose in numerose mostre personali e collettive in Italia e all'estero, come quella di Buenos Aires nel 1930, e ottenne diversi riconoscimenti, tra cui medaglie d'oro e premi prestigiosi. Alcune delle sue opere furono acquisite dalla Galleria Civica di Milano e dall'Ospedale Maggiore di Milano, dove realizzò il celebre "Ritratto di Benefattore Benedetto Fossati" nel 1926. La sua produzione artistica spaziò dal ritratto alla natura morta, sempre con uno stile che combinava tradizione e modernità. La sua tecnica raffinata e la capacità di cogliere la psicologia dei suoi soggetti lo resero uno dei più apprezzati ritrattisti del suo tempo. Nel 1955 vinse una medaglia d'oro al Premio Amaro Ramazzotti e, nel corso della sua carriera, partecipò a importanti Biennali, come quella di Brera e quella di Milano. Lino Baccarini morì il 20 gennaio 1973 a MilanoLino Baccarini nacque il 6 dicembre 1893 a Gonzaga, in provincia di Mantova, e si trasferì a Milano nel 1908 per intraprendere gli studi presso l'Accademia di Brera. Qui fu allievo di Cesare Tallone e Giuseppe Mentessi, distinguendosi fin da subito per il suo talento e ricevendo importanti riconoscimenti, tra cui il Premio Bozzi-Caimi nel 1916-1917 e la pensione Hayez nel 1917-1918. La sua carriera espositiva ebbe inizio nel 1915, quando partecipò alla Mostra Artistica Mantovana, e continuò con diverse esposizioni nazionali, tra cui quelle a Brera e alla Permanente di Milano. Nel 1921 fu nominato socio onorario della Regia Accademia di Belle Arti di Milano, e nel 1924 prese parte alla Mostra del Ritratto Femminile Contemporaneo a Monza, dove espose opere di grande valore come il "Ritratto delle signore Li Greci" e il "Ritratto di Salvioni". Nel corso degli anni, Baccarini espose in numerose mostre personali e collettive in Italia e all'estero, come quella di Buenos Aires nel 1930, e ottenne diversi riconoscimenti, tra cui medaglie d'oro e premi prestigiosi. Alcune delle sue opere furono acquisite dalla Galleria Civica di Milano e dall'Ospedale Maggiore di Milano, dove realizzò il celebre "Ritratto di Benefattore Benedetto Fossati" nel 1926. La sua produzione artistica spaziò dal ritratto alla natura morta, sempre con uno stile che combinava tradizione e modernità. La sua tecnica raffinata e la capacità di cogliere la psicologia dei suoi soggetti lo resero uno dei più apprezzati ritrattisti del suo tempo. Nel 1955 vinse una medaglia d'oro al Premio Amaro Ramazzotti e, nel corso della sua carriera, partecipò a importanti Biennali, come quella di Brera e quella di Milano. Lino Baccarini morì il 20 gennaio 1973 a Milano.
Qui ebbe l’opportunità di formarsi nello studio di Giuseppe Casciaro, maestro apprezzato per i suoi paesaggi, da cui apprese la padronanza del colore e la sensibilità per le atmosfere naturali. Dopo l’esperienza napoletana, nel 1907 Tonti si stabilì a Firenze, dove aprì un proprio studio e si immerse nell’ambiente culturale della città. La sua carriera fu interrotta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, alla quale partecipò come soldato. Terminato il conflitto, riprese a dipingere ed esporre, presentando le sue opere in mostre personali a Firenze, Roma, Bruxelles e Bari. La sua pittura, improntata a un verismo delicato, si distingue per l’uso di ampie pennellate e una tavolozza raffinata, capace di cogliere la poesia delle vedute urbane e dei paesaggi. Tra i suoi soggetti preferiti si annoverano scorci veneziani, canali silenziosi e atmosfere sospese, interpretati con grande sensibilità luministica. Nel 1922 Tonti emigrò negli Stati Uniti, continuando la sua attività di pittore. Da quel momento le notizie su di lui si fanno più rade, sebbene alcune fonti riportino una sua presenza a Roma negli anni Cinquanta.
Giovanissimo iniziò a viaggiare tra Italia ed Europa, soggiornando in Francia, Regno Unito, Germania e Paesi Bassi: queste esperienze, ricche di visite a musei e gallerie, ampliarono il suo linguaggio pittorico e lo avvicinarono alle correnti europee contemporanee. Gli anni Ottanta dell’Ottocento furono fondamentali per la sua affermazione. Partecipò a esposizioni a Roma con dipinti e acquerelli che suscitarono consensi e lo portarono a entrare nel gruppo In arte libertas, formato da artisti che cercavano una pittura più moderna e libera dalle convenzioni accademiche. In questo periodo alternò soggetti storici e letterari, scene di caccia, paesaggi e vedute naturalistiche, mostrando una notevole versatilità. Nel 1889 sposò Eugenia Vasio e formò una famiglia con tre figlie. La sua attività si ampliò con numerose commissioni di ritratti destinati ad ambienti aristocratici e borghesi. Parallelamente approfondì con grande competenza il campo delle arti applicate: studiò pigmenti e vernici, progettò vetrate artistiche, realizzò decorazioni per interni, disegni per mobili e ambientazioni dallo stile raffinato e ornamentale. Una parte importante della sua carriera si svolse anche a Londra, dove lavorò per committenze di prestigio decorando sale, soffitti e ambienti privati, oltre a ideare cartoni per vetrate. Pur impegnato nel campo decorativo, continuò a dipingere con costanza ritratti, scene di campagna, animali e marine, caratterizzati da un equilibrio tra realismo e gusto elegante. Nel corso del Novecento consolidò la propria reputazione sia come pittore sia come decoratore, partecipando a esposizioni e ricevendo nuove commissioni. Scelse infine di stabilirsi definitivamente a Londra, dove morì il 30 maggio 1937.
Nel 1910, spinto dalla necessità e dalla voglia di nuove esperienze, Albino si trasferì in Argentina. A Buenos Aires rimase affascinato dai colori intensi dei tramonti sudamericani, che influenzarono profondamente la sua tavolozza e il suo stile. Organizzò numerose esposizioni personali, riscuotendo successo e riuscendo a vendere gran parte delle opere realizzate durante il soggiorno. Rientrato a Maiori nel 1920, si dedicò con passione a immortalare la sua terra natale. Le sue tele, che lui stesso definiva "bombe di sole", raccontano scene di vita quotidiana, mercati, pescatori, angoli nascosti della costiera, sempre colti nella loro luce più viva e autentica. La sua pittura è caratterizzata da pennellate vibranti e colori brillanti, capaci di restituire l’atmosfera calda e avvolgente del Mediterraneo. Albino partecipò a diverse mostre collettive e personali, tra cui esposizioni a Salerno, Milano e Positano, e prese parte più volte alle Mostre del Sindacato Provinciale Fascista Belle Arti di Salerno. Tra i suoi lavori più celebri si ricordano “Barche”, “Il mio paese”, “La Chiesa dell’Annunziata di Ravello”, “Mercato”, “Cortile” e “Torre Normanna di Maiori”. Fu anche maestro della pittrice Pia Galise, alla quale trasmise la sua passione per la pittura e per i colori della sua terra. L’opera di Luca Albino resta ancora oggi una testimonianza luminosa della bellezza e della vitalità della Costiera Amalfitana.
Dalla fine della Prima Guerra Mondiale, si stabilì a Milano, dove iniziò la sua attività artistica, partecipando a diverse esposizioni. Nel 1919, Bogoni espose per la prima volta alla Quadriennale di Torino, e l'anno successivo partecipò alla XII Biennale di Venezia. Nel 1925, presentò una mostra personale a Sanremo, seguita da un'altra a Torino nel 1926. Nel 1927, espose a Gardone Riviera, e nel 1931 partecipò alla "Famegia Veneziana" a Milano, ottenendo un buon successo. La sua pittura iniziale era di natura analitica, con ritratti che evidenziavano una forte carica psicologica e introspettiva. Successivamente, negli anni '50, si dedicò a nature morte e paesaggi, in particolare del mare ligure, trasferendo nelle sue opere la passione per l'analisi delle emozioni e dei sentimenti. Nel Castello scaligero di Malcesine, sul Lago di Garda, Bogoni fondò l'Accademia Internazionale del Paesaggio, riconosciuta dallo Stato. Nel periodo 1937-1939, l'Accademia accolse circa novanta allievi provenienti da diversi Paesi, tra cui Italia, Germania, Stati Uniti, Olanda, Russia, Francia e Polonia. Nel corso della sua carriera, l'artista ricevette numerosi premi nazionali e internazionali. Le sue opere sono presenti in raccolte private e in gallerie d'arte moderna di città come Roma, Milano, Berlino, Monaco di Baviera, Barcellona e New York. Nel 1976, la moglie Maria Pia donò tredici sue opere alla Pinacoteca Comunale di Malcesine. Adriano Bogoni morì a Milano nel 1970.
Inizialmente orientato verso la pittura di figura, dovette abbandonarla a causa di problemi alla vista, dedicandosi così esclusivamente alla pittura di paesaggio. Fu influenzato da artisti come Massimo d'Azeglio e Alexandre Calame, sviluppando uno stile che, sebbene legato a un certo manierismo, mostrava una profonda sensibilità verso la natura. A partire dal 1843, Beccaria espose regolarmente le sue opere presso la Società Promotrice delle Belle Arti di Torino, partecipando alle esposizioni annuali fino al 1860 e, successivamente, con alcune interruzioni, fino al 1896. Le sue opere, come "La raccolta del fieno" (1864), "Paese d'invenzione" (1870) e "L'ora del pasto", riflettono una predilezione per le scene agresti e montane, spesso ambientate nelle vallate piemontesi e valdostane. Accanto ai dipinti ad olio, realizzò numerosi studi, disegni e incisioni, tra cui una serie di sei tavolette con vedute di campagna caratterizzate da colori tenui e una notevole freschezza espressiva. Oltre alla sua attività artistica, Beccaria si dedicò all'insegnamento del disegno presso importanti famiglie nobili e borghesi torinesi, tra cui la famiglia reale. Fu maestro dei principi Amedeo e Oddone, nonché delle principesse Clotilde e Maria Pia. Tra i suoi allievi si annovera Giuseppe Camino. Angelo Beccaria morì a Torino il 14 gennaio 1897
Dopo aver frequentato il Liceo Classico, si iscrisse alla Scuola di Applicazione per Ingegneri, laureandosi in Ingegneria Civile nel 1891. Per alcuni anni lavorò presso il Comune di Torino, ma nel 1923, all’età di cinquantasette anni, decise di dedicarsi esclusivamente alla pittura. La sua pittura, legata ai canoni paesaggistici piemontesi del XIX secolo, pur indebolita da una certa convenzionalità, toccò momenti di buon valore nella produzione di tavolette di minori dimensioni. Colmo fu assiduo espositore al Circolo degli artisti di Torino e partecipò ad alcune edizioni della Quadriennale di Torino. Oltre che nel suo amato Piemonte, dipinse a Venezia, Chioggia, Roma e in Umbria, soffermandosi sui laghi lombardi e sulla riviera ligure. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, visse ed operò tra Garessio e Finale Ligure. È sepolto nel Cimitero monumentale di Torino. La Pinacoteca Civica di Garessio ha dedicato a Giovanni Colmo ed al fratello Eugenio due sale permanenti, conservando alcune delle sue opere più significative.
Nel 1887 si trasferì a Roma, città che divenne il fulcro della sua attività artistica. Schianchi si specializzò nella pittura di vedute, realizzate principalmente ad acquerello e olio, raffiguranti scorci di Roma e della campagna italiana. Le sue opere si distinguono per la precisione prospettica e la delicatezza cromatica, elementi che conferiscono alle sue scene un'atmosfera serena e contemplativa. Tra i soggetti più ricorrenti vi sono il Tevere con Castel Sant'Angelo, il Foro Romano, Piazza San Pietro, Villa Borghese, l'Isola Tiberina e il Tempio della Sibilla a Tivoli. Ponti ArtNel 1883 partecipò all'Esposizione Nazionale di Belle Arti al Palazzo delle Esposizioni di Roma, presentando il dipinto Aristide che abbandona la Patria. Intorno al 1910, collaborò alla pubblicazione della Raccolta di vedute romane con le Edizioni Daneu & C. , contribuendo con una serie di vedute della città eterna. Le sue opere sono state esposte in numerose aste internazionali, tra cui Christie's, dove dipinti come Roma al Foro di Nerva e Capri dalla Costiera Sorrentina hanno ottenuto significativi riconoscimenti. La sua produzione artistica continua a essere apprezzata per la capacità di catturare l'essenza dei luoghi rappresentati, offrendo uno sguardo intimo e poetico sull'Italia del suo tempo. Federico Schianchi morì a Roma il 28 dicembre 1918.
Nel 1876, ancora studente, vinse il concorso per il “Premio Poletti” con un dipinto storico-figurativo che gli valse una borsa di studio; grazie a questa opportunità si trasferì a Roma per perfezionarsi, seguendo corsi presso l’Accademia di San Luca e frequentando anche accademie in Francia e in Spagna. In seguito visse un periodo di soggiorno a Firenze, dove entrò in contatto con collezionisti e committenti, in prevalenza inglesi, che commissionavano opere di genere e ritratti. Durante questi anni Bellei sviluppò un gusto per la “pittura di genere”: raffigurava scene di vita quotidiana, spesso con protagonisti bambini, anziani, famiglie modeste, contesti domestici o rurali. Le sue rappresentazioni di affetto, intimità, piccoli gesti familiari e momenti di gioco gli valsero ampia popolarità. I soggetti venivano talvolta riutilizzati in più varianti, per rispondere alla domanda di collezionisti sensibili a quelle atmosfere. Accanto a questi temi di genere Bellei si cimentò anche nella ritrattistica e nella pittura sacra, realizzando pale d’altare, dipinti religiosi e ritratti ufficiali e privati, dimostrando versatilità tecnica e sensibilità compositiva. Dopo il rientro a Modena assunse incarichi di insegnamento: dal 1893 fu docente presso l’Accademia di Belle Arti della sua città, continuando però a partecipare a esposizioni importanti nelle principali città italiane e anche a livello internazionale. La sua tavolozza si distingueva per luminosità e delicatezza cromatica; la sua capacità di rappresentare con delicatezza e realismo le emozioni umane, la quotidianità semplice e gli affetti familiari lo resero un interprete apprezzato di una pittura “popolare-colta”, accessibile e insieme di qualità. Gaetano Bellei morì a Modena nel marzo del 1922.
Fin dai primi anni della sua carriera, si dedicò alla rappresentazione della vita quotidiana delle classi popolari, immortalando scene di contadini, artigiani e popolani in ambientazioni rurali o urbane, spesso vestiti con costumi tradizionali. Indoni predilesse la tecnica dell'acquerello, ma lavorò anche con l'olio su tela, adottando uno stile realistico e meticoloso, capace di cogliere con sensibilità i dettagli della vita semplice e dei paesaggi italiani. Le sue opere, come "Il corteggiamento", "Pastorelli al pozzo" e "Le gitane", sono esempi emblematici della sua produzione, caratterizzata da una narrazione visiva che esalta la dignità e la serenità delle persone comuni. La sua arte fu particolarmente apprezzata dal mercato straniero, soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove le sue opere venivano spesso acquistate da collezionisti attratti dalla rappresentazione idealizzata e romantica dell'Italia rurale. Partecipò a numerose esposizioni, ottenendo consensi sia dalla critica che dal pubblico. Tra i suoi lavori più noti figura anche il ritratto di Alessandro Torlonia, realizzato per il Collegio Nazareno di Roma. Oltre alla sua attività artistica, Indoni ebbe un ruolo significativo nella formazione del giovane Umberto Coromaldi, figlio della sua seconda moglie, che divenne anch'egli un noto pittore. Filippo Indoni morì a Roma nel 1908.
Esordì nel 1866 alla XXV Esposizione della Società Promotrice di Belle Arti di Torino con l'opera "Geltrude confusa scorge la lettera in mano al principe suo padre", ispirata ai Promessi Sposi. Successivamente, si dedicò a soggetti di genere, presentando nel 1872 all'Esposizione di Belle Arti di Brera il dipinto "Ispezione alla persona della fidanzata. Costume russo", che gli valse l'apprezzamento della critica e del pubblico. Partecipò a numerose esposizioni nazionali e internazionali, ottenendo riconoscimenti a Filadelfia nel 1876 e a Parigi nel 1889. La sua produzione comprende ritratti, paesaggi e scene di genere, caratterizzati da una notevole attenzione ai dettagli e una raffinata tecnica pittorica. Morì a Milano il 25 novembre 1907.
Nel 1924, sotto la guida del pittore Vettore Zanetti Zilla, affinò ulteriormente le sue capacità artistiche. La sua carriera espositiva ebbe inizio nel 1924 al Lyceum di Milano, dove le sue opere catturarono l'attenzione di critici e artisti, tra cui Carlo Carrà. Nel 1925, partecipò alla Biennale di Roma, ottenendo riconoscimenti significativi. Continuò a esporre in importanti sedi come la Quadriennale di Torino e in altre città italiane, tra cui Milano, Firenze e Bologna. Nel 1926, in occasione del Centenario Francescano, Zago realizzò ottanta opere dedicate ai luoghi legati a San Francesco d'Assisi. Questi dipinti furono pubblicati nei tre volumi dei "Santuari Francescani" di Padre Vittorino Facchinetti. L'anno successivo, dipinse una serie di cinquanta opere ispirate ai luoghi e alle atmosfere dei "Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni, raffigurando scene come quelle di Don Abbondio e Pescarenico. Nel 1928, Zago allestì una mostra personale alla Galleria Micheli di Milano, presentando opere che ritraevano i luoghi della Prima Guerra Mondiale. Nello stesso anno, partecipò alla Biennale di Venezia con i dipinti "La Fonte" e "Finestra". Per il ventennale della Vittoria, intraprese un viaggio a piedi attraverso i luoghi dove aveva combattuto, creando una serie di opere esposte nella "Mostra dei campi di battaglia – dal Timavo all'Adamello" a Milano. Queste opere gli valsero il titolo di "pittore delle visioni di pace sui luoghi di guerra". Nel 1929, Zago vinse il primo premio alla Mostra del Paesaggio di Baveno e, nel 1942, ottenne lo stesso riconoscimento alla Mostra Sindacale di Milano con il dipinto "Alto Lago di Como", successivamente acquisito dalla Provincia di Milano. Tuttavia, nel 1943, un bombardamento distrusse gran parte del suo studio a Milano, perdendo numerose opere. Nonostante ciò, organizzò una mostra con i lavori rimasti e continuò a esporre in città come Biella, Bergamo e Como. Nel 1946, Zago ricevette il primo premio alla "Mostra del Mare" di San Remo. L'anno seguente, la moglie Magda Martinelli portò alcune sue opere in Sud America, presentandole in musei e gallerie. Nel 1949, Zago si trasferì a Buenos Aires, in Argentina, dove lavorò per il Ministero delle Belle Arti. In Sud America, ottenne numerosi successi, esponendo in città come Rosario, Mendoza, Cordoba, Punta del Este e Montevideo. Il governo della provincia di Cordoba gli commissionò cinquanta tele raffiguranti la città e i suoi paesaggi, pubblicate nel catalogo "Cordoba y sus Sierras en su poesía de colores". Noto anche come "il pittore di Evita Perón", Zago morì improvvisamente a Buenos Aires l'8 luglio 1952, prima di poter completare un ulteriore incarico a Posadas, nella provincia di Misiones. Nel 1953, Villafranca di Verona gli rese omaggio con una grande mostra postuma, seguita nel 1954 dalla posa di una lapide commemorativa sulla sua casa natale in via Pace. Le sue opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private, sia in Italia che all'estero, tra cui musei a Buenos Aires, Montevideo, Rosario e Santiago.
Nel 1884, durante il suo periodo accademico, vinse il Premio Mylius per la pittura di paesaggio storico, con una veduta di Sesto Calende sul Lago Maggiore, che ricordava lo sbarco di Garibaldi e dei Cacciatori delle Alpi nel maggio del 1859. Questo tema divenne ricorrente nella sua produzione artistica, caratterizzata da un forte naturalismo. Nel corso della sua carriera, Gignous partecipò alle principali esposizioni nazionali, distinguendosi soprattutto per le sue rappresentazioni del Lago Maggiore, che dipinse frequentemente en plein air, spesso durante i soggiorni a Stresa con lo zio Eugenio, che si era trasferito in quella località nel 1887. La sua arte rifletteva una visione intima e dettagliata dei paesaggi naturali, contribuendo a consolidare la sua reputazione come paesaggista. Fino al 1922, oltre alla sua carriera pittorica, Gignous lavorò anche presso le Ferrovie dello Stato, un impiego che gli permise di entrare in contatto con importanti ambienti pubblici, ottenendo anche commissioni ufficiali. Lorenzo Gignous morì nel 1958 a Porto Ceresio, lasciando un'eredità significativa nel panorama della pittura italiana.
Nato in una famiglia che supporta con entusiasmo la sua inclinazione artistica, Erma Zago inizia il percorso formativo frequentando la scuola di disegno nel suo paese natale. Fin da giovane dimostra una straordinaria predisposizione artistica e, a tredici anni, decide di dedicarsi interamente alla pittura, superando con successo l'esame di ammissione all'Accademia Cignaroli di Verona, dove completa gli studi nel 1887. Il 1901 segna una svolta nella sua vita, quando Erma Zago decide di trasferirsi a Milano, epicentro culturale e artistico dell'epoca. Qui, la sua osservazione attenta e appassionata si manifesta quotidianamente nel disegno di volti ed espressioni umane sempre mutevoli. La sua tavolozza vivace e festosa trova espressione in dipinti che ritraggono con maestria balie e bambini, documentando con precisione l'evoluzione della moda sia femminile che maschile. Le opere di Erma Zago conquistano le sedi espositive più prestigiose di Milano, tra cui La Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, le Esposizioni Annuali dell'Accademia di Brera e la Famiglia Artistica Milanese. Nel 1923, il Re Vittorio Emanuele III acquisisce uno dei suoi dipinti, "La vasca dei Giardini Pubblici di Milano", destinandolo alle collezioni d'arte del Quirinale. Per ampliare il proprio repertorio, l'artista intraprende viaggi in numerose città d'arte italiane, tra cui Roma, Venezia, Napoli e Verona, catturando scorci e vedute in fotografie che poi trasforma in dipinti. Le commissioni per ritratti, sia a olio che fotografici, diventano sempre più numerose, testimonianza della crescente notorietà di Erma Zago. Il punto culminante della sua carriera arriva nel 1924, quando il Consiglio Accademico dell'Accademia di Brera lo elegge Socio Onorario della Regia Accademia, riconoscendone il valore artistico eccezionale. Questo prestigioso riconoscimento sottolinea il contributo significativo di Erma Zago al panorama artistico del '900, confermando la sua posizione di rilievo nella storia dell'arte italiana.
L’insegnamento di Bresolin, attento alla resa diretta della natura e all’osservazione dal vero, segnò profondamente la sua formazione. Nel 1868 intraprese un viaggio fondamentale che lo portò prima a Firenze, poi a Roma e a Napoli. A Firenze venne a contatto con l’ambiente dei Macchiaioli e con artisti come Telemaco Signorini, che lo influenzarono nella ricerca di una pittura più libera e luminosa. A Napoli conobbe la Scuola di Posillipo e quella di Resina, che gli offrirono nuovi spunti per un naturalismo di impronta verista. Al suo ritorno a Venezia, Ciardi trovò nella laguna e nelle campagne del Veneto un inesauribile motivo d’ispirazione, ritraendo scorci di vita rurale, riflessi d’acqua, cieli ariosi e atmosfere vibranti di luce. Nel 1874 sposò Linda Locatelli, con la quale ebbe quattro figli, tra cui Beppe ed Emma, entrambi destinati a seguire la sua strada artistica. La sua carriera proseguì con grande successo: partecipò a numerose esposizioni in Italia e all’estero, ottenendo premi e riconoscimenti, tra cui la medaglia d’oro all’Esposizione di Nizza del 1883 e quella di Berlino nel 1886 con il dipinto Messidoro, oggi conservato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Nel 1894 fu nominato docente di vedute di paese e di mare all’Accademia di Belle Arti di Venezia, succedendo al suo maestro Bresolin, e divenne membro della commissione della Biennale di Venezia, ruolo che ne consacrò l’autorevolezza nel panorama artistico italiano. La sua pittura, pur radicata nella tradizione veneta del vedutismo, seppe rinnovarsi attraverso una sensibilità luministica moderna: i suoi paesaggi della laguna, delle colline trevigiane e delle montagne venete si distinguono per la freschezza cromatica e la capacità di restituire la verità dell’atmosfera. Negli ultimi anni, nonostante problemi di salute che lo colpirono duramente, continuò a dipingere con coerenza e passione. Nel 1915 ricevette la medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale di San Francisco, ulteriore riconoscimento alla sua lunga carriera. Morì a Venezia il 5 ottobre 1917, dopo una vita interamente dedicata all’arte e alla natura. Guglielmo Ciardi rimane una delle figure centrali della pittura veneta dell’Ottocento. La sua opera, sospesa tra tradizione e modernità, traduce con autenticità e poesia l’incontro fra la luce e l’acqua, tra l’osservazione quotidiana e la visione lirica del paesaggio. Le sue tele, oggi conservate nei principali musei e collezioni italiane, continuano a testimoniare la grandezza di un artista che seppe trasformare la laguna e la campagna veneta in un linguaggio universale di luce e silenzio.
Nel 1928, frequentò l'Istituto d'Arte di Parma, dove si diplomò nel 1930. Successivamente, si iscrisse all'Istituto di Magistero d'Arte di Firenze, concludendo gli studi con l'abilitazione all'insegnamento del "disegno e storia dell'arte" a Roma. La carriera di Wolf come insegnante iniziò a Bolzano e Merano. Nel 1935, tenne la sua prima mostra personale a Merano. Nel 1939, fu richiamato alle armi, prestando servizio prima sul fronte francese e successivamente in Africa Settentrionale. Dopo la sconfitta di El Alamein nel 1942, fu fatto prigioniero e trascorse diversi anni nei campi di prigionia in Egitto. Decorato al valor militare, tornò in patria nel 1946.
In questi anni si avvicinò al Divisionismo, movimento che lo affascinò per la sua resa luministica ottenuta attraverso pennellate spezzate e colori puri. Il debutto ufficiale avvenne nel 1906 all’Esposizione Nazionale di Milano con il dipinto Ultime nevi, che gli valse l’attenzione del mercante d’arte Alberto Grubicy, figura di riferimento per la promozione del Divisionismo in Italia. Grazie a questa collaborazione, Prada riuscì a esporre le proprie opere anche a livello internazionale, partecipando a importanti rassegne a Parigi nel 1907, 1912 e 1921. Col passare degli anni, l’artista sentì l’esigenza di evolvere il proprio linguaggio espressivo, allontanandosi progressivamente dal Divisionismo. Abbracciò così i principi del movimento “Novecento”, che proponeva un ritorno all’ordine classico e alla solidità della forma. Negli anni Trenta, la sua adesione al Chiarismo segnò un ulteriore passaggio stilistico: le sue tele si riempirono di tonalità leggere e luminose, rifiutando i contrasti forti e privilegiando atmosfere diafane e serene. La produzione pittorica di questo periodo si concentrò soprattutto sui paesaggi liguri, in particolare le vedute di Portofino e dell’entroterra, dipinte con delicatezza e sensibilità. Al paesaggio si affiancò anche una produzione ritrattistica raffinata, in cui l’artista dimostrò una notevole capacità introspettiva nel cogliere la psicologia dei soggetti. Le opere di Carlo Prada furono esposte in numerose mostre, tra cui si ricordano la Società degli Amici delle Belle Arti a Cracovia nel 1935 e la Mostra d'Arte Italiana a Varsavia e Praga nello stesso anno. Morì nella sua città natale, Milano, nel 1960.
Studiò alla milanese Accademia di Brera, allievo diGiuseppe Bertini, di Francesco Valaperta e di Luigi Riccardi, e rapidamente si conquistò fama con "La questua infruttuosa", primo dipinto esposto (1874); "Una via di Milano"; "In assenza dei padroni"; "La scodella rotta"; "La distrazione" e "Il fratellino ammalato"; cosicchè i suoi quadri furono cercati e apprezzati. Il pittore Luigi Rossi trattò, con pennellata sicura, colore equilibrato, tecnica robusta, soggetti di genere secondo la moda del tempo; ma eseguì anche molti paesaggi di montagna, nei quali rievocò con nostalgia d'artista le Alpi native. Recatosi a Parigi nel 1885, si segnalò come brioso illustratore di romanzi francesi, come «Tartarin sur les Alpes» di Alfonso Daudet. Nel 1890 era a Berna. Sue opere figurarono, sino agli ultimi anni di vita dell'artista, alle principali mostre: a Parigi, nel 1889 "La polenta", riesposto a Londra nel 1916; nel 1892, "Alba"; nel 1898, "Il mosto", che attualmente è conservato con "La preghiera del mattino" nella Galleria d'Arte Moderna di Milano. Poi alla Esposizione Internazionale di Milano (1906) apparvero i suoi quadri "Casa abbandonata"; "La vita"; "L'alzaia"; "Ritratto di signora" e "Primi raggi", alla Mostra del Cinquantenario in Roma (1911), i due dipinti "Il mercato (Lago di Lugano)" e "Arcobaleno"; alla Biennale Veneziana del 1912, "Cerere" e "Plein air"; a quella del 1914, "Le ranette" e "La valle", alla Quadriennale di Torino del 1919, "Miraggio"; alla Biennale Veneziana del 1920, "La pianura"; alla successiva "Le castagne"; alla Quadriennale torinese del 1923, "La famiglia del contadino". Il Museo Civico di Torino conserva il suo lavoro "Passeggiata domenicale sulle coste dell'Atlantico". Altre opere sono nei Musei di Berna, di Ginevra e dl Berlino. Citansi anche del Rossi: "Ritratto del generale Sirtori"; "Dopo la luna di miele"; "La vigna del maestro"; "La carovana del pittore"; "Il giullare"; "L'abate galante"; "Sogni di giovinezza"; "Il ritorno al paese natio". Note biografiche tratte dal Dizionario Illustrato dei Pittori, Disegnatori ed Incisori Italiani A. M. Comanducci.
Parallelamente, coltivò la sua passione per l'arte frequentando la Civica Scuola di Pittura di Pavia, dove fu allievo di Cesare Ferreri e Luigi Trecourt. Durante questo periodo, entrò in contatto con artisti come Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, con i quali condivise un interesse per una pittura più libera e meno accademica. La sua produzione iniziale si concentrò su soggetti storici e religiosi, influenzata dalla pittura antiaccademica di Giovanni Carnovali, detto il Piccio. Nel 1856 si trasferì a Roma, dove risiedette fino al 1858, per poi soggiornare brevemente a Venezia tra il 1859 e il 1860, studiando i maestri della pittura rinascimentale veneziana. Nel 1861 si stabilì a Milano, partecipando attivamente alla vita artistica della città. Faruffini espose le sue opere in diverse occasioni, tra cui l'Esposizione Universale di Parigi del 1867, dove presentò dipinti come "Cesare Borgia che ascolta Machiavelli" e "Morte di Ernesto Cairoli". Nel 1864 partecipò all'esposizione di Brera con opere quali "Coro della Certosa di Pavia", "Scolari di Alciato", "Annunciazione", "Sordello e Cunizza" e "Machiavelli e Borgia", ricevendo una medaglia nel 1866 per quest'ultima. Il suo stile combinava elementi del realismo con contorni sfumati e colori vivaci, anticipando le tematiche e le tecniche della Scapigliatura lombarda. Tra le sue opere più note si annoverano "La gondola di Tiziano" (1861), "Lettrice" (1865) e "Il sacrificio della Vergine al Nilo" (1865), conservate in importanti gallerie d'arte italiane. Nonostante il talento riconosciuto, Faruffini visse una vita travagliata, segnata da difficoltà economiche e personali. Nel 1869 si trasferì a Perugia, dove, sopraffatto dalle avversità, si tolse la vita il 15 dicembre dello stesso anno.
Questo incontro segnò profondamente il suo stile e il suo modo di osservare la natura. Nei primi anni della sua attività Camona si dedicò soprattutto al paesaggio, privilegiando atmosfere pacate, sospese, ricche di sfumature cromatiche delicate. Le sue opere trasmettono un senso di quiete e di armonia, con una particolare attenzione alla luminosità e all’equilibrio tonale. Nel 1914 presentò due paesaggi all’Accademia di Brera e partecipò alla Biennale di Venezia, confermando il suo crescente riconoscimento tra i giovani artisti lombardi. Lo scoppio della Prima guerra mondiale interruppe il suo percorso artistico. Chiamato alle armi, Camona visse direttamente le difficoltà e il dramma del fronte. In quell’esperienza, tuttavia, continuò a disegnare: nacquero così le opere riunite sotto il titolo “Impressioni di guerra”. Si tratta di fogli rapidi ma intensi, privi di enfasi celebrativa, capaci di restituire la vita quotidiana dei soldati, le attese, le fatiche, i momenti di silenzio e di inquietudine. Pur immersi nella tragedia, questi lavori conservano una finezza osservativa che testimonia la sua sensibilità artistica. La sua vita si concluse prematuramente il 15 agosto 1917 a Thiene, in provincia di Vicenza, a causa di una malattia contratta durante il servizio militare.
A tredici anni, si iscrisse all'Accademia di Belle Arti di Firenze, dove studiò disegno, acquaforte e litografia, avvicinandosi allo stile dei macchiaioli. Nel 1913, a soli sedici anni, Domenici realizzò il suo primo dipinto, "Figura di Bambina", e lo espose alla Mostra della Secessione presso la Società Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma. Nel 1917, il celebre compositore Pietro Mascagni acquistò una sua opera intitolata "Venezia Livornese", riconoscendo il talento del giovane pittore. Nello stesso anno, Domenici si sposò con Bianca. Nel 1920, fu tra i fondatori del Gruppo Labronico, un'associazione di artisti livornesi che si riunivano al Caffè Bardi, condividendo l'amore per la pittura en plein air e per i paesaggi toscani. Domenici partecipò attivamente alle esposizioni del gruppo e, nel 1979, alla morte di Renato Natali, ne divenne presidente, mantenendo la carica fino alla sua scomparsa. La sua produzione artistica si concentrò principalmente su paesaggi e scene di vita rurale, con particolare attenzione alla Maremma, all'Isola d'Elba e alle marine toscane. Le sue opere, spesso realizzate su piccole tavolette, si distinguono per l'uso di colori caldi e per la capacità di cogliere la luce e l'atmosfera dei luoghi rappresentati. Tra i soggetti preferiti vi erano contadini al lavoro, buoi al pascolo e vedute di borghi e porti. Domenici espose le sue opere in numerose mostre, sia in Italia che all'estero, tra cui la Quadriennale d'Arte di Roma nel 1924, l'Esposizione dell'America del Sud nel 1926, la Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, l'Internazionale di Tokyo e una personale a Manila. Nel 1950, partecipò alla Mostra di Cinquant'anni di Pittura Toscana a Firenze e, nel 1957, all'Esposizione Nazionale al Maschio Angioino. Nel 1946, fondò il Gruppo Artisti Elbani e istituì il Premio Llewelyn Lloyd a Portoferraio, in memoria del pittore che visse e lavorò sull'Isola d'Elba. Domenici si interessò anche alla politica locale, ricoprendo la carica di consigliere comunale a Portoferraio. Dopo la morte della prima moglie, si unì a Plava Cioni, con la quale ebbe un figlio, Claudio, che seguì le orme paterne diventando pittore con il nome d'arte Claudio da Firenze. Carlo Domenici morì a Portoferraio nel 1981.
Intorno al 1890 si trasferì a Lugano, in Svizzera, dove sposò Elisa, figlia dello scultore Raimondo Pereda, figura ben nota nel panorama artistico ticinese. Questo legame familiare, unito alla fervente attività culturale della zona, contribuì a radicare profondamente Galbusera nel contesto artistico locale. Nel 1896 fondò infatti una scuola di pittura proprio a Lugano, offrendo un contributo significativo allo sviluppo dell’ambiente artistico della regione. La sua attività espositiva fu intensa: partecipò a numerose mostre sia in Svizzera sia all’estero, esponendo a Milano, Roma, Bruxelles e persino a San Pietroburgo. Le sue opere vennero particolarmente apprezzate per le nature morte, in particolare le composizioni floreali, al punto da essergli attribuito l’epiteto di “Raffaello dei fiori”. Accanto ai fiori, però, non mancavano vedute paesaggistiche, soprattutto scorci del Luganese e delle valli del San Bernardino, rese con un’attenta osservazione della luce e della resa atmosferica. Galbusera unì sensibilità pittorica e rigore formale, lasciando un segno tangibile nella pittura tra Otto e Novecento, in un equilibrio tra naturalismo e decorativismo. Morì a Lugano il 27 ottobre 1944, lasciando un’eredità artistica che ancora oggi è riconosciuta e valorizzata tanto in Italia quanto in Svizzera.
Grazie a una borsa di studio, ebbe l’opportunità di trasferirsi a Firenze, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti. Qui studiò con Giovanni Fattori e si avvicinò al movimento dei Macchiaioli, da cui assimilò l’interesse per la vita quotidiana e per il paesaggio, elementi che diventeranno centrali nella sua poetica pittorica. Il suo debutto ufficiale risale al 1884, quando presentò l’opera In soffitta all’Esposizione Nazionale di Torino. Il dipinto, una scena di genere ispirata a temi sociali, fu molto apprezzato per la sua sincerità e profondità emotiva, tanto da entrare nelle collezioni del Museo Civico di Reggio Emilia. Due anni dopo, Pasini si stabilì a Milano, città che gli offrì nuovi stimoli e lo mise in contatto con gli ambienti del naturalismo lombardo, influenzando ulteriormente il suo stile in direzione di un realismo più attento alla resa luministica e alla verità della scena. Nel corso della sua lunga carriera, Pasini partecipò a numerose esposizioni nazionali e internazionali, ottenendo premi e riconoscimenti. Nel 1912, il pastello Accordi fu acquistato dalla regina madre, testimonianza della stima che godeva anche presso l’ambiente aristocratico. Nel 1918, fu insignito della medaglia d’oro dal Ministero della Pubblica Istruzione per il valore della sua opera artistica. Negli anni maturi, la sua pittura si concentrò principalmente sul paesaggio, trattato con delicata sensibilità cromatica e con una pennellata morbida, quasi musicale. Le sue vedute, spesso ispirate alla Liguria e alla campagna lombarda, riflettono una profonda osservazione della natura e delle sue atmosfere mutevoli. Lazzaro Pasini morì a Milano il 29 aprile 1949.
La sua formazione proseguì a Roma, dove studiò presso l'Accademia di San Luca, e a Firenze, dove perfezionò la sua tecnica. Durante gli anni di formazione, Jodi mostrò un'inclinazione per il ritratto, la natura morta e la pittura paesaggistica, con uno stile che combinava precisione tecnica e grande sensibilità per i dettagli. Nel 1910, partecipò alla IX Esposizione Internazionale di Venezia, presentando alcune delle sue prime opere, tra cui "Vecchio calciaiuolo" e "Impressione". Queste opere, così come quelle successive, riflettevano una poetica che fondeva il simbolismo e il realismo, con una particolare attenzione alla resa dei volumi e alla luce. La sua carriera espositiva fu costellata di successi, con mostre a Milano, Verona e Napoli, dove il suo lavoro suscitò l'apprezzamento di critica e pubblico. Nel 1913, Jodi tornò a Modena, dove intraprese la carriera di insegnante di disegno, prima come professore alla Scuola Normale Maschile, poi come docente presso il Liceo Artistico della città. Nonostante i suoi impegni didattici, continuò a dedicarsi alla pittura, realizzando opere significative come il "Ritratto di donna con cappello nero", che ritraeva la sorella Camilla, scrittrice e giornalista. La sua arte spaziò tra temi diversi, ma la natura morta, il ritratto e il paesaggio rimasero i soggetti privilegiati. Il suo stile, sobrio e pacato, lo rese un artista apprezzato per la sua capacità di catturare l'anima delle cose e delle persone. Nelle mostre internazionali, come quelle della Biennale di Venezia, Jodi presentò lavori che si distinsero per la forza evocativa e la cura nei dettagli. Nel 1939, allestì una personale a Rovigo, dove espose opere come "I crisantemi sul tavolo" e "Ritratto di giovane convalescente". Queste opere rappresentano il culmine della sua ricerca stilistica, caratterizzata da una pittura che, pur nella sua meticolosità, riusciva ad esprimere una grande spontaneità. Casimiro Jodi morì il 26 agosto 1948 a RovigoCasimiro Jodi nacque a Modena il 30 ottobre 1886. Fin da giovane, si distinse per il suo talento artistico, iniziando a frequentare l'Istituto di Belle Arti della sua città. La sua formazione proseguì a Roma, dove studiò presso l'Accademia di San Luca, e a Firenze, dove perfezionò la sua tecnica. Durante gli anni di formazione, Jodi mostrò un'inclinazione per il ritratto, la natura morta e la pittura paesaggistica, con uno stile che combinava precisione tecnica e grande sensibilità per i dettagli. Nel 1910, partecipò alla IX Esposizione Internazionale di Venezia, presentando alcune delle sue prime opere, tra cui "Vecchio calciaiuolo" e "Impressione". Queste opere, così come quelle successive, riflettevano una poetica che fondeva il simbolismo e il realismo, con una particolare attenzione alla resa dei volumi e alla luce. La sua carriera espositiva fu costellata di successi, con mostre a Milano, Verona e Napoli, dove il suo lavoro suscitò l'apprezzamento di critica e pubblico. Nel 1913, Jodi tornò a Modena, dove intraprese la carriera di insegnante di disegno, prima come professore alla Scuola Normale Maschile, poi come docente presso il Liceo Artistico della città. Nonostante i suoi impegni didattici, continuò a dedicarsi alla pittura, realizzando opere significative come il "Ritratto di donna con cappello nero", che ritraeva la sorella Camilla, scrittrice e giornalista. La sua arte spaziò tra temi diversi, ma la natura morta, il ritratto e il paesaggio rimasero i soggetti privilegiati. Il suo stile, sobrio e pacato, lo rese un artista apprezzato per la sua capacità di catturare l'anima delle cose e delle persone. Nelle mostre internazionali, come quelle della Biennale di Venezia, Jodi presentò lavori che si distinsero per la forza evocativa e la cura nei dettagli. Nel 1939, allestì una personale a Rovigo, dove espose opere come "I crisantemi sul tavolo" e "Ritratto di giovane convalescente". Queste opere rappresentano il culmine della sua ricerca stilistica, caratterizzata da una pittura che, pur nella sua meticolosità, riusciva ad esprimere una grande spontaneità. Casimiro Jodi morì il 26 agosto 1948 a Rovigo.
Fin da giovane, Pacifico dimostrò un talento distintivo, tanto che i giornali locali lo segnalavano anche per la sua attività di restauratore. Per perfezionare la sua formazione artistica, si iscrisse all'Istituto Gazzola di Piacenza, dove fu allievo di Bernardino Pollinari. Giovanissimo, si trasferì a Parigi, dove espose ai Salon accanto a noti artisti come Giovanni Segantini e Gaetano Previati. La sua partecipazione a importanti esposizioni internazionali, tra cui quelle di Londra e Strasburgo, contribuì a consolidare la sua reputazione come ritrattista e paesaggista. Uno dei suoi lavori più rilevanti è l'affresco "Il Cielo", realizzato nel 1913 per il Palazzo delle Poste di Piacenza. Questo grande affresco, che occupa l'intero soffitto a padiglione dell'edificio, presenta un fregio con motivi decorativi in stile liberty, tra cui cicogne stilizzate e motivi floreali che circondano medaglioni figurati e stemmi della città. Pacifico Sidoli morì nel 1963 a Piacenza, lasciando un'eredità artistica significativa che riflette il suo impegno nella rappresentazione pittorica e nella valorizzazione del patrimonio culturale.
Durante la sua carriera, Bazzaro si distinse per la capacità di catturare la luce e l'atmosfera, elementi che rendono le sue opere particolarmente evocative e ricche di dettagli naturalistici . Il percorso espositivo del pittore lo vide protagonista in numerose mostre sia in Italia che all’estero, contribuendo così a diffondere il suo stile personale e a consolidare la sua reputazione nell’ambito della pittura di genere e del paesaggio. Pur rimanendo ancorato ai canoni del realismo, Bazzaro sperimentò progressivamente nuove tecniche e linguaggi pittorici, integrando elementi modernisti che evidenziarono la sua capacità di interpretare in chiave personale la realtà circostante . Oggi, le opere di Leonardo Bazzaro sono apprezzate non solo per la loro bellezza formale, ma anche per il valore storico e culturale che rappresentano, testimonianza di un’epoca di importanti trasformazioni artistiche e sociali in Italia. Molte delle sue creazioni sono custodite in collezioni museali e private, continuando a suscitare interesse e ammirazione tra collezionisti e studiosi d’arte. Questa breve biografia intende offrire una panoramica della vita e dell’opera di un artista che, pur essendo stato apprezzato nel suo tempo, oggi rappresenta un importante capitolo della storia della pittura italiana.
Tuttavia, Galli seppe coniugare questa formazione classica con un'interpretazione personale della realtà, rendendo la sua pittura distintiva per la luminosità e il realismo poetico. La sua produzione artistica spaziò tra ritratti, scene di genere e paesaggi, con una particolare attenzione ai dettagli e alla vita quotidiana. Nei ritratti, Galli riuscì a cogliere non solo l’aspetto esteriore dei suoi soggetti, ma anche le loro sfumature psicologiche, dando una dimensione emotiva profonda alle sue opere. Le scene di genere, invece, erano vivaci e piene di narrazione, sempre intrise di una sottile sensibilità verso la vita popolare. Una delle sue opere più note, "Trionfo del Tasso", si ispira alla letteratura rinascimentale, mentre “Scorcio di Napoli” è un omaggio alla sua città, catturata con maestria nella sua luce e atmosfera uniche. Galli partecipò attivamente alla vita artistica del suo tempo, esponendo in numerose mostre e ricevendo diversi riconoscimenti per la qualità delle sue opere. Nonostante le sue radici nella tradizione, la sua pittura mostrava anche una sensibilità moderna, capace di trasmettere le emozioni più intime dei soggetti che ritraeva. Morì nel 1920Edoardo Galli nacque a Napoli nel 1854 e divenne uno dei pittori italiani più apprezzati del suo tempo. Si formò sotto la guida di Antonio Licata e Domenico Morelli, due maestri che gli trasmisero la solidità accademica e un profondo legame con la tradizione artistica. Tuttavia, Galli seppe coniugare questa formazione classica con un'interpretazione personale della realtà, rendendo la sua pittura distintiva per la luminosità e il realismo poetico. La sua produzione artistica spaziò tra ritratti, scene di genere e paesaggi, con una particolare attenzione ai dettagli e alla vita quotidiana. Nei ritratti, Galli riuscì a cogliere non solo l’aspetto esteriore dei suoi soggetti, ma anche le loro sfumature psicologiche, dando una dimensione emotiva profonda alle sue opere. Le scene di genere, invece, erano vivaci e piene di narrazione, sempre intrise di una sottile sensibilità verso la vita popolare. Una delle sue opere più note, "Trionfo del Tasso", si ispira alla letteratura rinascimentale, mentre “Scorcio di Napoli” è un omaggio alla sua città, catturata con maestria nella sua luce e atmosfera uniche. Galli partecipò attivamente alla vita artistica del suo tempo, esponendo in numerose mostre e ricevendo diversi riconoscimenti per la qualità delle sue opere. Nonostante le sue radici nella tradizione, la sua pittura mostrava anche una sensibilità moderna, capace di trasmettere le emozioni più intime dei soggetti che ritraeva. Morì nel 1920.
I suoi viaggi in Inghilterra, Francia e, soprattutto, in Spagna, arricchirono la sua arte, ispirandolo a rappresentare scene rustiche e paesaggi di grande intensità emotiva, spesso intrisi di un’atmosfera mediterranea. Oltre alla pittura, Pellegrini si distinse anche come illustratore, collaborando con importanti riviste del suo tempo e realizzando illustrazioni per opere letterarie come Don Chisciotte di Cervantes e Gil Blas di Alain-René Lesage. Le sue creazioni per cartoline d’epoca sono oggi molto ricercate dai collezionisti. Tra le sue opere più celebri si ricordano Scene di pesca (1887), Domenica all'aperto (1890), Donne eleganti in riva al lago (1897), oltre a dipinti come A Siviglia, Bolero Andaluso e Mercato Arabo (circa 1890). Le sue tele sono conservate in prestigiose collezioni, tra cui il Museo Poldi Pezzoli di Milano e il Museo Camuno di Breno. Pellegrini partecipò a numerose mostre, tra cui una a Pisa, dove espose ben diciannove opere. Il suo stile è caratterizzato da un uso vibrante dei colori e dalla capacità di catturare con grande dettaglio scene di vita quotidiana, che ne fanno un pittore amato per la sua abilità nel rappresentare la realtà in maniera vivida e coinvolgente.
Questo approccio lo inserì nel gruppo dei paesaggisti lombardi, noti per l'attenzione alla luce e ai colori. A partire dal 1847, Jotti partecipò assiduamente alle mostre di Milano, Torino, Genova e Venezia, esponendo opere che ritraevano scorci del Lago Maggiore, del Lago di Como, della Riviera Ligure di Ponente e di altre località italiane come il Lazio e la Campania. Tra i suoi lavori più noti si annoverano "Monte Rosa", "Madonna del Monte", "Pescarenico (Lecco)" e "Acquedotto". La sua pittura si distingue per una rappresentazione vigorosa e appassionata del vero, con una particolare sensibilità verso le atmosfere e i dettagli del paesaggio italiano. Carlo Jotti morì a Milano il 21 giugno 1905. Le sue opere sono conservate in diverse collezioni, tra cui la Galleria d'Arte Moderna di Milano, testimoniando il suo contributo significativo alla pittura paesaggistica dell'Ottocento italiano.
Tuttavia, difficoltà economiche lo costrinsero a interrompere gli studi, affrontando un periodo di precarietà durante il quale lavorò come fotografo e illustratore per riviste. Successivamente, riuscì a riprendere la formazione artistica sotto la guida di Enrico Pollastrini, sebbene per un solo anno. Contrariamente alla tendenza accademica dell'epoca, che privilegiava soggetti storici o naturalistici, Vinea sviluppò uno stile personale, caratterizzato da scene di genere ambientate in epoche passate, con personaggi in costumi settecenteschi o rococò, ritratti in interni sontuosamente arredati. Le sue opere, spesso intrise di eleganza e ironia, raffigurano momenti di vita quotidiana con un tocco teatrale e decorativo. Il successo delle sue opere fu notevole, soprattutto in Francia e Inghilterra, dove vennero apprezzate per la raffinatezza e la vivacità cromatica. Questo gli permise di condurre una vita agiata, stabilendosi in una villa a Pracchia, località appenninica, e mantenendo uno studio a Firenze, descritto come un ambiente ricco di oggetti d'arte e arredi eclettici, che spesso comparivano nei suoi dipinti. Tra le sue opere più note si annoverano "Baccanale di soldati", "Alla più bella", "La visita alla nonna", "Un rapimento", "Una bagnante", "Il Vescovo" e "Un appuntamento". Vinea si dedicò anche alla tecnica dell'acquerello, dimostrando versatilità e padronanza in diverse modalità espressive. Francesco Vinea morì a Firenze il 22 ottobre 1902.
Nonostante le difficoltà economiche, Uva mostrò un talento precoce: un premio ottenuto nel 1848 gli permise di proseguire gli studi a Napoli, dove si iscrisse al Real Istituto di Belle Arti. In quell’ambiente entrò in contatto con il paesaggismo romantico e affinò la capacità di osservare la natura con attenzione luministica e sensibilità poetica. Terminata la formazione, tornò per un periodo ad Avellino, dove aprì una piccola bottega e impartì lezioni di pittura. Ben presto però si stabilì definitivamente a Napoli, città nella quale trovò un pubblico sensibile alle sue vedute e un ambiente artistico più stimolante. Con un collega aprì uno studio in via Riviera di Chiaia, luogo in cui produsse molte delle opere oggi considerate rappresentative della sua attività. La sua pittura si concentrò soprattutto sul paesaggio: marine, vedute campane, scorci di Napoli, di Pompei e dell’Irpinia costituiscono il nucleo centrale della sua produzione. Uva prediligeva la tempera e il guazzo su carta o cartoncino, tecniche che gli consentivano di ottenere effetti di luce rapidi, freschi e vibranti. Le sue scene sono spesso immerse in una atmosfera quieta e armoniosa, con cieli morbidi, colori delicati e un senso di pacata poesia. Accanto alla pittura svolse anche attività di restauro e scenografia, contribuendo alla valorizzazione di alcuni edifici pubblici della sua città natale. Fu apprezzato da committenti aristocratici e da un pubblico che riconosceva nelle sue opere una rappresentazione immediata e sincera della bellezza del paesaggio meridionale. Cesare Uva morì a Napoli il 16 febbraio 1886.
Successivamente, si iscrisse all'Accademia di Brera, dove affinò la sua arte con i maestri Cesare Tallone e Vespasiano Bignami. Nel 1908, con il dipinto L'Eroe, ottenne il Premio Mylius, che lo introdusse nel panorama artistico milanese, mentre nel 1912 il suo ritratto dell'attrice Lyda Borelli gli valse il Premio Fumagalli, consolidando la sua fama come ritrattista di talento. Nel 1920, partecipò alla Biennale di Venezia, dove espose il suo autoritratto, che venne successivamente acquisito dalla Galleria degli Uffizi di Firenze. La sua arte spaziava dal ritratto femminile a paesaggi, in particolare vedute delle Alpi italiane, di Rodi e della Tunisia. Nel 1924, Amisani fu invitato in Egitto per decorare il palazzo reale di Ras al-Tin e per ritrarre il giovane re Farouk, ulteriore testimonianza del suo prestigio internazionale. Le sue opere sono oggi conservate in musei di diverse città, tra cui Bari, Piacenza e Lima, in Perù. Giuseppe Amisani morì l'8 settembre 1941 a PortofinoGiuseppe Amisani nacque il 7 dicembre 1881 a Mede Lomellina, un piccolo comune in provincia di Pavia. Dopo aver iniziato studi tecnici a Pavia, si trasferì a Milano nel 1895 per dedicarsi completamente alla pittura, sotto la guida dello scultore Ferdinando Bialetti. Successivamente, si iscrisse all'Accademia di Brera, dove affinò la sua arte con i maestri Cesare Tallone e Vespasiano Bignami. Nel 1908, con il dipinto L'Eroe, ottenne il Premio Mylius, che lo introdusse nel panorama artistico milanese, mentre nel 1912 il suo ritratto dell'attrice Lyda Borelli gli valse il Premio Fumagalli, consolidando la sua fama come ritrattista di talento. Nel 1920, partecipò alla Biennale di Venezia, dove espose il suo autoritratto, che venne successivamente acquisito dalla Galleria degli Uffizi di Firenze. La sua arte spaziava dal ritratto femminile a paesaggi, in particolare vedute delle Alpi italiane, di Rodi e della Tunisia. Nel 1924, Amisani fu invitato in Egitto per decorare il palazzo reale di Ras al-Tin e per ritrarre il giovane re Farouk, ulteriore testimonianza del suo prestigio internazionale. Le sue opere sono oggi conservate in musei di diverse città, tra cui Bari, Piacenza e Lima, in Perù. Giuseppe Amisani morì l'8 settembre 1941 a Portofino.
Nel 1880 intraprese un viaggio in Egitto insieme agli artisti Uberto Dell'Orto e Sallustio Fornara, esperienza che influenzò profondamente la sua produzione artistica. Al ritorno, la sua carriera prese slancio: nel 1881 partecipò alle esposizioni di Brera e, l'anno successivo, vinse il Premio Fumagalli con l'opera Saluto al sol morente. Nel 1884 ottenne la medaglia d'argento all'Esposizione Internazionale di Londra, consolidando la sua reputazione anche a livello internazionale. Mariani fu un artista prolifico e versatile, noto per le sue marine, paesaggi e scene di vita mondana. Frequentò assiduamente la Riviera Ligure, in particolare Genova e il suo porto, che divennero soggetti ricorrenti nelle sue opere. Nel 1889 visitò per la prima volta Bordighera, rimanendo affascinato dalla località; nel 1909 vi acquistò una villa, facendovi costruire nel 1911 "La Specola", una residenza con un ampio studio. A Bordighera, Mariani trovò nuove fonti d'ispirazione, dipingendo scene agresti, paesaggi marini e rappresentazioni della vita elegante del casinò e dei caffè di Montecarlo. La sua pittura, vicina all'Impressionismo, si caratterizza per una tecnica coloristica vivace e armoniosa. Rappresentò con maestria la società del suo tempo, cogliendone l'eleganza e le sfumature più vitali. Tra i suoi soggetti figurano teatri, caffè, corse di cavalli e altri luoghi della vita sociale, riflettendo il dinamismo e la fiducia nel progresso tipici della Belle Époque. Nel corso della sua carriera, Mariani partecipò a numerose esposizioni in Italia e all'estero, ottenendo prestigiosi riconoscimenti. Morì a Bordighera il 25 gennaio 1927. Oggi, le sue opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private, testimoniando il suo significativo contributo alla pittura italiana tra Otto e Novecento.
Il suo ritorno a Milano segnò l'inizio di un percorso artistico notevole. A Milano, Poma si immerse negli studi di due importanti pittori-soldati dell'epoca, Giovan Battista Lelli e Gerolamo Induno, con i quali era entrato in contatto durante la campagna militare del 1859. Nel 1869, esordì all'Esposizione di Belle Arti di Brera, ma i riconoscimenti ufficiali arrivarono solo nella metà del decennio successivo. Il punto di svolta nella sua carriera avvenne nel 1876, quando vinse il prestigioso premio Mylius dell'Accademia di Belle Arti di Brera con la sua opera "Macbeth incontra nel bosco di Dunscinane le straghe che gli predicono il trono", un dipinto di soggetto storico ambientato in un contesto naturale di gusto romantico. Il successo continuò nel 1877, quando un suo paesaggio fu acquistato all'Esposizione Nazionale di Napoli da Vittorio Emanuele II, il che gli conferì grande visibilità. La fama internazionale di Poma crebbe ulteriormente quando Re Vittorio Emanuele II acquistò opere per la sua collezione privata. La sua presenza nelle esposizioni nazionali negli anni successivi consolidò ulteriormente la sua reputazione. Alla Esposizione Nazionale di Milano del 1881, presentò opere come "Veduta del lago di Lecco e la punta di Bellagio" e "Abbadia sul Lago di Lecco". Inoltre, partecipò alle esposizioni di Roma del 1883, Torino del 1884, Venezia del 1887 e Bologna del 1888, presentando una varietà di vedute paesaggistiche che includevano panorami lacustri e boschi. Silvio Poma è ricordato soprattutto come pittore di paesaggi, con un repertorio ricco di vedute lacustri. Il suo stile, di carattere intimista, mostrò influenze del realismo, con un approccio che rifletteva l'atmosfera e la bellezza naturale dei luoghi che dipingeva. Il periodo dal 1883 in poi vide un aumento significativo della sua attività artistica, con la presentazione sistematica di opere in mostre nazionali e un successo continuo sul mercato dell'arte. Silvio Poma fu sepolto al Cimitero Maggiore di Milano, dove i suoi resti riposano in una celletta.
Durante la Prima Guerra Mondiale, espose alla Mostra dei Veneti a Bologna, iniziando a farsi conoscere nel panorama artistico. Nel 1900, Sogaro aderì al movimento dei "Ribelli di Cà Pesaro", un gruppo di pittori che includeva nomi come Umberto Moggioli, Felice Castegnaro, Mario Disertori e Pio Semeghini. Questo gruppo si distinse per la sua ricerca artistica innovativa e per l'approccio critico verso le tradizioni pittoriche consolidate. La sua partecipazione alla Biennale d'Arte di Venezia fu significativa: espose in questa sede dal 1922 al 1935, ottenendo riconoscimenti e consolidando la sua reputazione. Oltre a Venezia, le sue opere furono presentate in mostre a Milano, Roma, Padova, Bruxelles e Trieste, dimostrando la sua presenza attiva nel circuito artistico internazionale. Sogaro trattò vari generi pittorici, tra cui il ritratto psicologico, la natura morta e, in particolare, il paesaggio. Le sue rappresentazioni della laguna veneziana e del fiume Brenta sono note per la delicatezza e la profondità emotiva, catturando le sfumature di luce e atmosfera dei luoghi. Sue opere sono conservate presso il Municipio e la Cassa di Risparmio di Venezia, nelle collezioni D'Angelo di Venezia e Costantini di Padova, oltre che in numerose collezioni private. Oscar Sogaro morì il 13 dicembre 1967 a Venezia.
La sua formazione artistica ebbe inizio durante gli anni del liceo classico, ma ben presto abbandonò gli studi scolastici per dedicarsi completamente alla pittura. Nel 1892, Cambon si trasferì a Monaco di Baviera, dove si iscrisse all'Accademia di Belle Arti. Qui, il suo talento emerse rapidamente: dopo pochi mesi, ottenne una menzione d'onore al concorso di composizione con il dipinto "La Musica". Al termine del suo periodo di studi, nel 1895, tornò a Trieste, dove iniziò la sua carriera artistica partecipando alla seconda Esposizione Internazionale di Venezia. Fu l'inizio di una lunga serie di esposizioni che lo avrebbero visto protagonista della Biennale di Venezia fino al 1924. Oltre alla pittura, Cambon si dedicò anche alla cartellonistica pubblicitaria, rivelando una grande versatilità che lo portò a lavorare anche nel campo della grafica. Nonostante gli inviti da parte di Tommaso Marinetti ad aderire al movimento futurista, Cambon preferì restare fedele alla tradizione, ispirandosi a un linguaggio più classico e passato rispetto alle avanguardie del suo tempo. Nel 1914 si trasferì a Milano, dove sposò la pittrice Gilda Pansiotti. La sua carriera, segnata da un continuo impegno artistico e da un raffinato approccio pittorico, si concluse tragicamente il 7 marzo 1930, quando morì improvvisamente a Biella, dove si era recato per eseguire un ritratto. Le opere di Cambon, che spaziano dal ritratto alla pittura di genere, rimangono testimonianze di un talento che seppe fondere la tradizione pittorica con un linguaggio personale, ricco di eleganza e raffinatezza.
Tuttavia Protti rifiutò i rigidi schemi accademici e preferì percorrere una propria strada creativa, profondamente influenzata dalle nuove sensibilità europee e da un gusto per la pennellata libera, la luce e l’atmosfera piuttosto che per la definizione precisa dei contorni. Già nei primi anni del Novecento iniziò a partecipare alle principali rassegne bolognesi. Tra il 1906 e il 1911 vinse per sei volte consecutive il premio dell’Associazione artistica cittadina, a conferma del talento precoce e della riconoscibilità del suo linguaggio pittorico. Nel 1909 fece il suo esordio alla Biennale di Venezia e negli anni successivi portò le sue opere in importanti esposizioni nazionali e internazionali, tra cui salette a Milano, Roma e manifestazioni all’estero. La sua pittura si distinse per un interesse marcato verso interni eleganti, figure femminili colte in momenti di intimità e quotidianità, nudi delicati o scene cariche di sensualità sottile. Attrasse l’attenzione di una borghesia raffinata e desiderosa di opere che unissero grazia, eleganza e una modernità discreta. In queste sue composizioni la luce, i riflessi e l’ambiente giocano un ruolo centrale: la tavolozza morbida e le pennellate ampie creano ambienti soffusi, carichi di un fascino elegiaco e di intimità domestica. È un realismo di sentimento, una reinterpretazione tardo-impressionista della vita borghese, lontana da accademismi rigidi e da eccessi decorativi. Nel corso degli anni Venti la sua produzione continuò, ma con toni più meditativi. Sempre affascinato dall’intimità domestica, ritratte giovani donne, scene di vita quotidiana, pose di grazia, a volte accompagnate dalla presenza discreta di oggetti, tessuti, riflessi. Sul finire di quel decennio la sua visibilità fu un po’ offuscata da nuove tendenze artistiche che emergevano, ma egli, pur lavorando con meno clamore, continuò a dipingere in modo coerente con la propria poetica. Tra gli anni Trenta e la sua scomparsa si dedicò anche a soggetti meno frequenti nella sua carriera fino a quel momento, come nature morte e paesaggi, spesso caratterizzati da una sensibilità più raccolta e intimista. In questi lavori traspare un artista che non cerca il colpo di scena, ma la delicatezza del quotidiano, la quiete, la luce soft del ricordo. Protti concluse la sua vita il 29 aprile 1949.
La sua produzione si concentrò principalmente su paesaggi, con particolare attenzione a vedute costiere e scorci cittadini. Opere come "Scorcio portuale", che ritrae il porto di Genova con la Lanterna, il faro più alto del Mediterraneo, testimoniano la sua abilità nel catturare l'atmosfera e la luce dei luoghi rappresentati. Altre sue opere includono "Piccola valle", "Alla marina", "Pioggia", "Viottolo al sole", "Marina", "Viale in pieno sole" e "Fra gli ulivi". Sebbene meno conosciuto in Italia, Cavalli ottenne riconoscimenti all'estero, partecipando a diverse esposizioni internazionali. Le sue opere sono state vendute in aste internazionali, con prezzi che variano in base alla dimensione e al mezzo utilizzato. Nel 2022, il suo dipinto "Il Porto di Genova" è stato venduto per 2. 111 USD presso Casa d’Aste Santa Giulia. Giovanni Cavalli morì a Milano nel 1932Giovanni Cavalli nacque a Torino nel 1865 e si spense a Milano il 6 settembre 1932. Allievo di Filippo Carcano, pittore noto per la sua attenzione al paesaggio e alla luce, Cavalli sviluppò uno stile che rifletteva l'influenza del maestro, pur mantenendo una sua personalità artistica distintiva. La sua produzione si concentrò principalmente su paesaggi, con particolare attenzione a vedute costiere e scorci cittadini. Opere come "Scorcio portuale", che ritrae il porto di Genova con la Lanterna, il faro più alto del Mediterraneo, testimoniano la sua abilità nel catturare l'atmosfera e la luce dei luoghi rappresentati. Altre sue opere includono "Piccola valle", "Alla marina", "Pioggia", "Viottolo al sole", "Marina", "Viale in pieno sole" e "Fra gli ulivi". Sebbene meno conosciuto in Italia, Cavalli ottenne riconoscimenti all'estero, partecipando a diverse esposizioni internazionali. Le sue opere sono state vendute in aste internazionali, con prezzi che variano in base alla dimensione e al mezzo utilizzato. Nel 2022, il suo dipinto "Il Porto di Genova" è stato venduto per 2. 111 USD presso Casa d’Aste Santa Giulia. Giovanni Cavalli morì a Milano nel 1932.
La sua arte fu fortemente influenzata dall'ambiente romantico, ma anche dalla sua esperienza diretta durante la campagna garibaldina nel Meridione d'Italia, che lasciò un'impronta indelebile nei temi delle sue opere, spesso legate al Risorgimento. Nel corso della sua carriera, Dovera intraprese numerosi viaggi, in Europa e nel Nord Africa, che arricchirono il suo linguaggio pittorico, e lo portarono a esporre le sue opere in importanti sedi italiane e internazionali. Le sue tele spaziano dai soggetti storici e risorgimentali a paesaggi e marine, nei quali si distingue per una grande attenzione al dettaglio naturalistico e per un uso sapiente della luce, che rendeva le sue scene particolarmente suggestive. Tra le sue opere più celebri figurano Bagnanti sulla spiaggia e Dopo la tempesta, che sono esempi della sua capacità di catturare la vita quotidiana e gli effetti atmosferici con un realismo vivido. Le sue opere sono state presentate in numerose mostre, tra cui quelle di Milano, Torino e Venezia, e sono oggi ricercate dai collezionisti. Le sue tele, conservate in collezioni pubbliche e private, continuano a testimoniare la sua importanza nell'arte italiana del XIX secolo.
Tuttavia, negli anni '60 dell'Ottocento, abbandonò il canto per dedicarsi completamente alla pittura, trasferendosi a Milano, dove frequentò l'Accademia di Belle Arti di Brera, assumendo lo pseudonimo di Formis. Il suo viaggio in Egitto e Turchia nel 1868 ebbe una notevole influenza sulla sua arte, portandolo a dipingere soggetti orientali che arricchirono il suo repertorio. Rientrato in Lombardia, si specializzò in paesaggi lacustri e fluviali, in particolare del Lago Maggiore, ottenendo riconoscimenti importanti, tra cui la medaglia di bronzo alla Mostra Nazionale di Parma nel 1870. Marcatamente attivo nell’ambito delle esposizioni, partecipò a eventi prestigiosi, tra cui l'Esposizione Universale di Vienna nel 1873. Accanto ai paesaggi, realizzò anche scene di genere, raffiguranti la vita rurale lombarda, come nel caso di "Lavori agricoli nel mantovano". Nel corso della sua carriera, collaborò con il compositore Giuseppe Verdi, creando dipinti e litografie ispirati alle sue opere, tra cui celebri scene tratte dall'opera "Aida". Nel 1899, partecipò ancora all'Esposizione Internazionale d'Arte con la sua celebre opera "Lavori agricoli nel mantovano". Achille Formis morì il 28 ottobre 1906 a Milano, lasciando un'importante eredità artistica che continua a essere apprezzata nel panorama artistico italiano del XIX secolo.
Nel 1913, grazie a una borsa di studio, si iscrisse ai corsi di pittura dell'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Durante questo periodo, entrò in contatto con Angelo Morbelli, di cui frequentò lo studio, condividendo temporaneamente l'interesse per il divisionismo. La sua esperienza nella Prima Guerra Mondiale fu determinante per la sua produzione artistica. Durante il conflitto, realizzò numerosi disegni, spesso con mezzi di fortuna, che documentavano la vita al fronte e la tragedia della guerra. Questi lavori furono successivamente raccolti nel volume "I Giganti", con una presentazione dello scultore Leonardo Bistolfi. Dopo la guerra, Morando si stabilì definitivamente ad Alessandria, pur effettuando lunghi viaggi in Francia e oltreoceano. Frequentò per decenni lo studio milanese di Carlo Carrà, con il quale condivise un'amicizia e un profondo scambio culturale. La sua pittura si caratterizzò per uno stile semplice e incisivo, con colori intensi e tratti decisi, che conferivano forza e poesia ai soggetti rappresentati, spesso ispirati alla vita quotidiana della povera gente, come facchini e contadini, oltre agli scorci della sua città e della campagna monferrina. Morando espose le sue opere in numerose mostre, tra cui la Promotrice di Torino dal 1920, la Quadriennale di Roma e la Triennale di Milano. Partecipò alla Biennale di Venezia in diverse edizioni: 1924, 1926, 1928, 1932, 1934, 1948, 1950 e 1956. Negli anni Cinquanta, le sue mostre alla Promotrice furono realizzate assieme al più giovane artista alessandrino Franco Sassi, suo estimatore. Le sue opere sono conservate presso il Museo storico italiano della guerra di Rovereto e la Pinacoteca civica di Alessandria. Pietro Morando morì ad Alessandria il 24 settembre 1980.
Dopo questo periodo di formazione accademica si trasferì a Milano, città più dinamica e stimolante, dove iniziò a costruire una carriera autonoma. La sua produzione si orientò fin dagli esordi verso due ambiti principali: la figura e il paesaggio. Nei ritratti e nei nudi femminili emergono un’attenzione marcata ai volumi, alle variazioni della luce sulla pelle e ai giochi di chiaroscuro che modellano le forme. Le pennellate, con il tempo sempre più libere e materiche, rivelano un progressivo distacco dai rigori accademici e una vicinanza alle ricerche più moderne del suo tempo. Parallelamente si dedicò con costanza al paesaggio, prediligendo ambienti lacustri e vedute serene. Il Lago di Como, le sue sponde e piccoli borghi come Lierna furono tra i soggetti più amati. In queste opere Mazzolani interpretò la natura con sensibilità luminosa, cercando il riflesso dell’acqua, la quiete dei cieli, le tonalità delicate che cambiano con le stagioni. Sono dipinti che uniscono realismo e poesia, costruiti su una tavolozza morbida, fatta di passaggi cromatici sfumati. Espose in diverse città italiane e trovò un pubblico attento soprattutto nella borghesia milanese, che apprezzava sia i suoi interni intimi sia le vedute paesaggistiche ricche di atmosfera. Mantenne per tutta la vita una produzione costante e coerente, capace di evolvere senza perdere il legame con le sue radici figurative. Bruto Mazzolani morì a Milano nel 1949.
Successivamente, proseguì gli studi all'Accademia Albertina di Torino, approfondendo le tecniche pittoriche e sviluppando uno stile personale che lo avrebbe contraddistinto nel panorama artistico del Novecento italiano. La sua produzione artistica spaziò principalmente tra paesaggi e scene di genere, con una particolare attenzione alla resa luministica e atmosferica. Le sue opere sono caratterizzate da una tecnica raffinata e da una sensibilità che cattura l'essenza dei luoghi e dei momenti rappresentati. Partecipò attivamente alle principali esposizioni artistiche dell'epoca, ottenendo riconoscimenti e apprezzamenti sia in Italia che all'estero. Nel corso della sua carriera, Depetris collaborò con diverse gallerie e istituzioni culturali, contribuendo alla diffusione dell'arte italiana del Novecento. La sua opera riflette l'evoluzione del gusto e delle tendenze artistiche del periodo, mantenendo sempre una forte identità personale. Giovanni Giulio Maria Depetris morì a Torino nel 1940Giovanni Giulio Maria Depetris nacque a Torino il 28 luglio 1890 da Bartolomeo e Mossetti Maggiorina. Iniziò la sua formazione artistica presso la Scuola di Belle Arti di Torino, dove si distinse per il suo talento e la sua dedizione. Successivamente, proseguì gli studi all'Accademia Albertina di Torino, approfondendo le tecniche pittoriche e sviluppando uno stile personale che lo avrebbe contraddistinto nel panorama artistico del Novecento italiano. La sua produzione artistica spaziò principalmente tra paesaggi e scene di genere, con una particolare attenzione alla resa luministica e atmosferica. Le sue opere sono caratterizzate da una tecnica raffinata e da una sensibilità che cattura l'essenza dei luoghi e dei momenti rappresentati. Partecipò attivamente alle principali esposizioni artistiche dell'epoca, ottenendo riconoscimenti e apprezzamenti sia in Italia che all'estero. Nel corso della sua carriera, Depetris collaborò con diverse gallerie e istituzioni culturali, contribuendo alla diffusione dell'arte italiana del Novecento. La sua opera riflette l'evoluzione del gusto e delle tendenze artistiche del periodo, mantenendo sempre una forte identità personale. Giovanni Giulio Maria Depetris morì a Torino nel 1940.
Nel 1861, ancora giovane, esordì alla Esposizione Nazionale con un dipinto ispirato a Cristoforo Colombo, segno di un precoce interesse per i soggetti storici e letterari. Nella prima fase della sua carriera si dedicò infatti a temi tratti dalla storia, dalla letteratura e dalla tradizione classica. Con il tempo però la sua attenzione si spostò verso la pittura di genere, che gli offriva maggiore libertà narrativa. In questo ambito produsse opere ambientate in interni raffinati, popolate da figure eleganti, dame e gentiluomini, servitori, musici e personaggi in costume. I suoi quadri, spesso ricchi di dettagli minuti, riflettono un gusto per l’eleganza, per gli arredi preziosi, per i tessuti, per la definizione accurata dei volti e per la ricostruzione di atmosfere intime e brillanti. Conti sviluppò una tecnica precisa e raffinata, caratterizzata da una tavolozza morbida e da una cura minuziosa per ogni elemento dell’immagine. Le sue composizioni, costruite con equilibrio, raccontano piccole storie e momenti di vita quotidiana filtrati attraverso una sensibilità elegante e misurata. Proprio questa combinazione di realismo, grazia e gusto decorativo gli garantì un notevole successo presso la borghesia e l’aristocrazia italiana ed europea. Accanto all’attività di pittore svolse anche il ruolo di docente all’Accademia di Belle Arti di Firenze, contribuendo alla formazione di giovani artisti e alla diffusione di un linguaggio pittorico attento al dettaglio e alla qualità formale. Tito Conti morì a Firenze nel 1924.
Il pittore ha fatto il suo esordio nel 1919 presso una delle esposizioni più significative di Torino, la Quadriennale. Da questo momento in poi, Boetto ha presentato una serie di opere, principalmente incentrate sul paesaggio e la natura. La sua particolare attenzione è rivolta alle campagne piemontesi, con una predilezione per le zone di Saluzzo, che hanno ispirato molti dei suoi dipinti più noti. Tra i temi prediletti di Boetto figurano le scene di paese e di piazza, evidenziando la sua abilità nel rappresentare soggetti semplici ma incisivi, che sottolineano la sua tradizione paesaggistica. Le opere di Boetto sono state esposte in numerose mostre, tra cui quelle di Milano, Genova, Firenze e Venezia, ma ha ottenuto riconoscimenti anche all'estero, soprattutto a Londra e Barcellona. Gli appassionati delle sue opere possono ammirare alcuni dei suoi dipinti nei musei piemontesi, con una presenza significativa a Torino presso la Galleria d’Arte Moderna e a Saluzzo, nel Museo Civico. Boetto ha ricevuto anche l'apprezzamento del pubblico con varie mostre dedicate a Saluzzo, anche negli anni più recenti. Giulio Boetto si spense a Torino il 6 aprile 1967, lasciando un'eredità artistica che continua a essere apprezzata e esibita in diverse istituzioni culturali.
Dopo queste esperienze, si dedicò interamente alla pittura, frequentando l'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove si formò sotto la guida del celebre maestro Francesco Hayez. Questa solida preparazione gli permise di sviluppare una tecnica pittorica raffinata, che lo portò a distinguersi come ritrattista e pittore di scene di genere e di costume. Nel 1861, il suo dipinto "Alla vigilia della liberazione" ottenne un importante riconoscimento, venendo premiato e acquistato dal Principe di Carignano. L'anno successivo, nel 1877, l'opera "Un Carnevale a Roma" fu venduta a Parigi, mentre "La benedizione dei fanciulli" divenne un affresco per la chiesa parrocchiale di Carate Brianza, un ulteriore segno della sua affermazione nel panorama artistico dell'epoca. Le opere di Luigi Bianchi sono apprezzate per la loro sapienza cromatica e disegnativa, che cattura con maestria scene di vita quotidiana, tanto in interni quanto in esterni. La sua capacità di rappresentare la contemporaneità, unita alla profondità psicologica dei suoi soggetti, ha reso i suoi lavori particolarmente ammirati. Bianchi morì a Milano il 14 novembre 1914, lasciando un'importante eredità nel panorama della pittura italiana.
La sua carriera artistica lo vide partecipare a numerose esposizioni. Nel 1907 prese parte alla VII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia con il dipinto "Penombre". Nel 1918, durante la Biennale di Brera, presentò l'opera "1914", che gli valse la medaglia d'oro del Ministero della Pubblica Istruzione. Quest'opera, una rappresentazione simbolica dei lutti causati dall'invasione tedesca, fu acquistata dal governo belga e rimase esposta al Museo Reale di Bruxelles dal 1922 al 1930. Nel 1922, Brignoli intraprese un viaggio in Nord Africa, visitando l'Algeria e la Tunisia. Al suo ritorno, espose le opere realizzate durante il soggiorno africano al Circolo Artistico Bergamasco, ottenendo elogi sia dal pubblico che dalla critica. Nel 1926, succedette al suo maestro Ponziano Loverini nella direzione dell'Accademia Carrara di Bergamo, ruolo che mantenne fino al 1945, quando fu sostituito da Mario Sironi. Nello stesso anno, Brignoli sposò Anita Taramelli, compagna di viaggio in numerose sue esplorazioni artistiche, tra cui Belgio, Olanda, Sardegna e Africa. Oltre ai paesaggi, Brignoli si distinse come ritrattista, realizzando numerosi ritratti di notabili arabi. La sua pittura "africana" lo posiziona come pioniere di un tema che influenzò molti altri artisti bergamaschi, tra cui Giorgio Oprandi, Ernesto Quarti Marchiò e Romualdo Locatelli. Questi artisti, affascinati dal suo lavoro, intrapresero viaggi simili in Nord Africa, contribuendo all'espansione del movimento orientalista. Nel 1934, Brignoli organizzò una mostra personale intitolata "Tripolitania" al Circolo Artistico Bergamasco, presentando opere ispirate ai suoi viaggi in Africa. Nel 1942, partecipò a una mostra alla Permanente di Milano insieme ad altri artisti, tra cui Cugusiini e Della Foglia. Le opere di Luigi Brignoli sono state esposte in diverse sedi prestigiose, tra cui la Galleria Pesaro di Milano nel 1926, e hanno ricevuto riconoscimenti in mostre internazionali come quelle di Bruxelles e Buenos Aires nel 1911. La sua arte continua a essere apprezzata per la profondità emotiva e la precisione tecnica, offrendo uno sguardo intimo sulle culture e i paesaggi che ha rappresentato.
In questo contesto Turolo costruì un percorso personale, discreto ma costante, che lo portò a esporre in alcune importanti rassegne nazionali, in particolare mostre milanesi del primo Novecento. La sua produzione comprende paesaggi, nudi e scene intime. Nei paesaggi emerge una sensibilità attenta alla luce e alle atmosfere serene: campi, colline, specchi d’acqua e scorci rurali sono rappresentati con equilibrio cromatico e un senso di quiete che restituisce la semplicità del mondo naturale. Nei nudi e nelle figure femminili la sua pittura si fa più morbida e raccolta, con una resa delicata dei volumi e una ricerca di armonia nelle pose. Anche le scene di vita quotidiana, a volte ambientate in interni, riflettono un gusto per la compostezza, per il silenzio e per un realismo misurato.
Nel 1921 si trasferì a Milano, dove intraprese una carriera artistica che lo portò a partecipare attivamente alle mostre organizzate dalla Famiglia Artistica e dalla Permanente. Le sue opere ebbero un buon riscontro, tanto che Scocchera allestì diverse esposizioni personali in gallerie prestigiose, tra cui la Galleria Micheli nel 1928 e nel 1932, la Galleria Bolzani nel 1945 e la Galleria Ranzini nel 1952. Tra le sue opere più note, spicca "La filatrice" del 1934, un dipinto che raffigura una donna anziana intenta a filare in un interno popolare, oggi conservato presso la Pinacoteca di Varese. Un altro lavoro significativo è "Il Naviglio di Via Senato" (1927), che si trova nella collezione della Fondazione Cariplo. Il suo stile, pur mantenendo un forte legame con la tradizione pittorica, riuscì a esprimere una visione personale e moderna della realtà milanese. Alfredo Scocchera morì a Milano il 25 gennaio 1955.
Fin da giovane, ricevette i suoi primi insegnamenti artistici dal padre e dallo zio, per poi frequentare l'Accademia di Brera a Milano, dove si formò sotto la guida del celebre pittore Francesco Hayez. La sua produzione artistica si concentrò principalmente su paesaggi, scene di genere e ritratti, caratterizzati da una pennellata ampia e da una tavolozza di colori smorzati. La sua abilità nel rappresentare la natura con grande sensibilità gli permise di ottenere numerosi riconoscimenti, tra cui una medaglia all'Esposizione Universale di Parigi nel 1889 e il Premio Principe Umberto nel 1901 con il dipinto Foglie morte. Le sue opere furono esposte in diverse città italiane e internazionali, tra cui Milano, Roma, Torino, Firenze, Venezia, Parigi, Londra, Monaco, e Buenos Aires, ottenendo l'apprezzamento di critici e collezionisti. Tra le sue opere più importanti si trovano Bosco d'estate, conservato alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, e Bosco, esposto alla Galleria d'Arte Moderna di Milano. Molte sue tele sono tuttavia conservate in collezioni private, rendendole meno accessibili al pubblico. Oggi, Emilio Borsa è ricordato come uno dei pittori italiani di rilievo del XIX secolo, capace di catturare l'anima della natura e della vita quotidiana con grande maestria.
Nel 1913, durante un soggiorno a Catania, ebbe l'opportunità di ritrarre lo scrittore Giovanni Verga. Partecipò a diverse edizioni della Biennale di Venezia, contribuendo al panorama artistico dell'epoca.
Nel corso della sua carriera, Sobrile si distinse per la rappresentazione di paesaggi alpini, scorci rustici e nature morte, con particolare attenzione ai fiori di campo. La sua pittura si caratterizzò per l'uso di tonalità delicate e una resa luminosa dei soggetti. Partecipò a numerose esposizioni, tra cui l'Esposizione Italiana di Londra nel 1904, dove presentò l'opera "Mother". Nel 1992, una retrospettiva a lui dedicata fu allestita presso la Mole Antonelliana di Torino.
Il suo debutto espositivo risale al 1921, quando presentò a Firenze il dipinto «Giorno di festa», con il quale ottenne un’importante premialità. Negli anni Venti partì per l’America del Sud, dove visse e lavorò a lungo: soggiornò in paesi come Brasile, Argentina, Uruguay, Cile e Perù. In quelle terre tenne diverse mostre personali e guadagnò riconoscimenti, imponendosi come artista apprezzato anche oltre i confini europei. Al ritorno in Italia, verso la fine del decennio, riprese ad esporre con regolarità: le sue opere vennero presentate in mostre a Roma, Firenze, Milano, Torino e altre città, riscuotendo consenso fra critica e collezionisti. La sua produzione spazia su temi molteplici. Dipinse paesaggi, marine, scene rurali, scorci toscani e liguri, ma anche interni, figure, scene di genere e ritratti. Vi si riconosce una particolare sensibilità per la luce e per l’atmosfera: i paesaggi emanano quiete, i luoghi evocano memorie e la tecnica traduce con delicatezza le variazioni tonali. Fra le sue opere di rilievo c’è «Il paesetto di Manarola» del 1932, conservato nella Galleria d’Arte Moderna di Genova. Cecconi attraversò anche decenni turbolenti, tra guerre e mutamenti sociali, ma seppe mantenere coerenza stilistica e qualità espressiva. Continuò a dipingere per tutta la vita, evolvendo con sensibilità e senza aderire a mode passeggere: il suo tratto rimase figurativo, osservatore del reale e attento all’animo dei luoghi. Morì a Firenze nel 1971Alberto Cecconi nacque a Firenze il 21 febbraio 1897. Studiò pittura presso l’Accademia d’Arte della sua città natale e frequentò anche la scuola libera del nudo a Roma, affinando una formazione seria e classica. Il suo debutto espositivo risale al 1921, quando presentò a Firenze il dipinto «Giorno di festa», con il quale ottenne un’importante premialità. Negli anni Venti partì per l’America del Sud, dove visse e lavorò a lungo: soggiornò in paesi come Brasile, Argentina, Uruguay, Cile e Perù. In quelle terre tenne diverse mostre personali e guadagnò riconoscimenti, imponendosi come artista apprezzato anche oltre i confini europei. Al ritorno in Italia, verso la fine del decennio, riprese ad esporre con regolarità: le sue opere vennero presentate in mostre a Roma, Firenze, Milano, Torino e altre città, riscuotendo consenso fra critica e collezionisti. La sua produzione spazia su temi molteplici. Dipinse paesaggi, marine, scene rurali, scorci toscani e liguri, ma anche interni, figure, scene di genere e ritratti. Vi si riconosce una particolare sensibilità per la luce e per l’atmosfera: i paesaggi emanano quiete, i luoghi evocano memorie e la tecnica traduce con delicatezza le variazioni tonali. Fra le sue opere di rilievo c’è «Il paesetto di Manarola» del 1932, conservato nella Galleria d’Arte Moderna di Genova. Cecconi attraversò anche decenni turbolenti, tra guerre e mutamenti sociali, ma seppe mantenere coerenza stilistica e qualità espressiva. Continuò a dipingere per tutta la vita, evolvendo con sensibilità e senza aderire a mode passeggere: il suo tratto rimase figurativo, osservatore del reale e attento all’animo dei luoghi. Morì a Firenze nel 1971.
Successivamente, si trasferì a Firenze, dove soggiornò per cinque anni e venne in contatto con il gruppo dei Macchiaioli, un movimento artistico che influenzò profondamente la sua produzione. Nel 1861 partecipò all'Esposizione Nazionale di Firenze con un'opera a carattere monastico, tema che avrebbe caratterizzato gran parte della sua carriera. Molti dei suoi lavori furono acquistati dalla Casa Reale, e negli anni '70 realizzò una serie di opere ambientate nell'atmosfera veneziana, città che visitò più volte. Oltre a dipingere paesaggi e vedute, si dedicò anche alla rappresentazione di scene storiche e letterarie. Le sue opere sono oggi conservate in collezioni pubbliche e private, e continuano a essere apprezzate per la loro raffinatezza e sensibilità artistica.
La sua arte si concentrò principalmente su paesaggi e nature morte, con una particolare predilezione per scene che ritraevano la laguna veneziana e le Dolomiti. Le sue opere sono state esposte in numerose mostre, tra cui la Biennale di Venezia, e sono conservate in collezioni pubbliche e private.
Su suggerimento del maestro, si recò a Roma tra il 1857 e il 1862 per approfondire lo studio delle antichità. Durante il soggiorno romano, abitò in via dei Greci e strinse amicizia con il pittore conterraneo Enrico Coghetti. Nel 1861, Bettinelli partecipò all'Esposizione Italiana di Firenze, entrando in contatto con la scena artistica nazionale. Questo incontro influenzò la sua evoluzione stilistica, spingendolo a dedicarsi alla pittura en plein air e a rappresentare la natura con maggiore immediatezza. Nel 1867, grazie all'invito del conte Ercole di Malvasia, visitò l'Esposizione Universale di Parigi, dove rimase colpito dalle opere di artisti come Gustave Courbet, Jean-Baptiste Camille Corot e Théodore Rousseau. Questa esperienza rafforzò il suo interesse per la pittura naturalista e per la rappresentazione diretta della realtà. Tra il 1870 e il 1912, le opere di Bettinelli furono esposte in diverse mostre collettive in città come Parma, Firenze, Milano, Roma, Torino, Venezia e Bologna, ottenendo riconoscimenti come la medaglia d'argento alla Mostra Italiana di Arti Belle di Parma nel 1870 e la medaglia d'oro all'Esposizione d'Arte Sacra di Roma nel 1883. Nonostante le difficoltà economiche e la mancanza di una formazione accademica ufficiale, Bettinelli riuscì a ritagliarsi un posto significativo nel panorama artistico dell'epoca, influenzando le generazioni future di pittori bolognesi. La sua arte si caratterizza per un realismo profondo e una rappresentazione autentica della natura, lontana dalle convenzioni accademiche. La sua solitudine esistenziale e la ricerca di una connessione genuina con il mondo naturale emergono chiaramente nelle sue opere, rendendolo una figura distintiva nel panorama artistico dell'Ottocento italiano. Luigi Bettinelli è sepolto nella tomba di famiglia nella sala della Madonna delle Assi della Certosa di Bologna.
Dopo queste esperienze, si dedico' soltanto al paesaggio ed alle marine. Esordi' alla Permanente milanese, nel 1905; poi partecipo' frequentemente alle Biennali di Brera e ad altre esposizioni nazionali. Predilige il paesaggio di montagna, che rende con tendenza segantiniana, e due lavori di questo genere sono stati acquistati dalla Banca Commerciale Italiana; alcune marine, fra le quali "La mareggiata" furono acquistate dal Re. Altri dipinti sono conservati in Italia ed all'estero, presso enti e privati. Citansi di lui anche "Sotto le nubi", e parecchi affreschi di carattere religioso. Alla Galleria d'Arte Moderna di Milano esistono: "Notturno" e "Plenilunio a Venezia". Note biografiche tratte dal Dizionario Illustrato dei Pittori, Disegnatori ed Incisori Italiani A. M. Comanducci.
Nonostante le aspettative familiari lo indirizzassero verso gli studi universitari, Angelo si trasferì a Milano per iscriversi all'Accademia di Belle Arti di Brera, dove poté esprimere appieno il suo talento artistico. Nel corso della sua carriera, Landi realizzò numerosi ritratti, tra cui "Il violinista", "Affanno" e "La giovinetta". In particolare, "Il violinista" venne esposto al Museo d'Arte Moderna di Madrid. Durante la Prima Guerra Mondiale, prestò servizio come caporale di artiglieria e lavorò presso l'Ufficio Stampa e Propaganda del Comando Supremo. In questo periodo, creò una serie di opere che documentavano la vita in trincea, tra cui "Taglio dei reticolati", "Cavalleggero ferito" e "Trincea nella neve". Una delle sue opere più celebri è l'affresco della cupola della Basilica di Pompei, un'impresa che gli valse la vittoria in un concorso per decorare la chiesa, dove dipinse 360 figure su una superficie di 509 m². Landi morì il 15 dicembre 1944 nella sua casa del Carmine a Salò, lasciando un'eredità artistica significativa che ha influenzato le generazioni future nel campo delle arti visive.
Per evitare l’arruolamento nelle truppe austriache, nel 1881 si trasferì a Milano, dove si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove studiò sotto la guida del celebre Giuseppe Bertini. Nel 1894, Campestrini divenne docente di figura presso la stessa Accademia, contribuendo alla formazione di molte generazioni di artisti. La sua attività pittorica lo portò a esporre in importanti mostre internazionali, tra cui quella al Glaspalast di Monaco di Baviera nel 1898, guadagnandosi un riconoscimento sia in Italia che all’estero. La sua arte rifletteva un forte spirito patriottico, celebrando l’irredentismo e la storia militare italiana. Tra i suoi lavori più noti vi sono i ritratti del "Signor Ambrosi", conservato nella Biblioteca Comunale di Trento, e degli "Avvocati Luteri" e "Gilli", nonché delle "Baronessine Salvatori" e dei "Conti Londron di Vienna". La sua carriera si distinse anche per la realizzazione di decorazioni murali e opere di pittura sacra. Campestrini morì a Milano il 9 gennaio 1940.
La sua formazione continuò presso la Scuola Civica di Pittura di Pavia, dove affinò le sue competenze artistiche. Nel 1910 si trasferì a Milano per proseguire i suoi studi. Si iscrisse alla Scuola di Decorazione dell'Umanitaria e frequentò l'Accademia di Brera. Durante questi anni, Albertini si avvicinò all'ambiente artistico milanese, partecipando alle esposizioni della Permanente e iniziando a fare esperienza nel campo della pittura decorativa e del lavoro come operaio meccanico. Nel 1921, Albertini si stabilì a Besano, dove trascorse il resto della sua vita. Nonostante la sua residenza in provincia, continuò a frequentare Milano, dove allestì un atelier e partecipò attivamente alle esposizioni. La sua pittura, inizialmente influenzata dal divisionismo, si concentrò principalmente su paesaggi, specialmente sulle Dolomiti e sulle campagne del Varesotto, tra cui Besano e Viconago. Le opere di Albertini sono note per la loro tecnica raffinata e la capacità di catturare l'essenza dei luoghi rappresentati. La sua sensibilità artistica gli permise di trasmettere la bellezza naturale dei paesaggi, con un'attenzione particolare alla luce e ai dettagli. Alcuni dei suoi lavori sono conservati in importanti collezioni pubbliche, tra cui i musei civici di Pavia e la Galleria d'Arte Moderna di Milano. Oreste Albertini morì il 7 luglio 1953 a BesanoOreste Albertini nacque il 28 marzo 1887 a Torre del Mangano, un piccolo comune in provincia di Pavia. Fin da giovane, dimostrò un forte interesse per l'arte e, all'età di tredici anni, divenne apprendista dell'affreschista Cesare Maroni, collaborando alla realizzazione di affreschi nella chiesa di Besano, in provincia di Varese. La sua formazione continuò presso la Scuola Civica di Pittura di Pavia, dove affinò le sue competenze artistiche. Nel 1910 si trasferì a Milano per proseguire i suoi studi. Si iscrisse alla Scuola di Decorazione dell'Umanitaria e frequentò l'Accademia di Brera. Durante questi anni, Albertini si avvicinò all'ambiente artistico milanese, partecipando alle esposizioni della Permanente e iniziando a fare esperienza nel campo della pittura decorativa e del lavoro come operaio meccanico. Nel 1921, Albertini si stabilì a Besano, dove trascorse il resto della sua vita. Nonostante la sua residenza in provincia, continuò a frequentare Milano, dove allestì un atelier e partecipò attivamente alle esposizioni. La sua pittura, inizialmente influenzata dal divisionismo, si concentrò principalmente su paesaggi, specialmente sulle Dolomiti e sulle campagne del Varesotto, tra cui Besano e Viconago. Le opere di Albertini sono note per la loro tecnica raffinata e la capacità di catturare l'essenza dei luoghi rappresentati. La sua sensibilità artistica gli permise di trasmettere la bellezza naturale dei paesaggi, con un'attenzione particolare alla luce e ai dettagli. Alcuni dei suoi lavori sono conservati in importanti collezioni pubbliche, tra cui i musei civici di Pavia e la Galleria d'Arte Moderna di Milano. Oreste Albertini morì il 7 luglio 1953 a Besano.
Cargnel trasse ispirazione anche dalle opere di artisti come Ciardi, Favretto e Nono, dai quali trasse numerosi suggerimenti per il suo sviluppo artistico. Le sue capacità artistiche si manifestarono in opere sia di carattere simbolista, come "La sera di Ca’ Pesaro" del 1899, che in ritratti, tra cui il noto "Ritratto di Giuseppe Favaro" del 1905. Tuttavia, la sua vera natura artistica si rivelò come paesaggista, radicato nella tradizione del tardo Ottocento veneto. Questo filone tematico rimase costante in tutta la sua carriera, con la campagna veneta e friulana come principale soggetto delle sue opere. Cargnel partecipò alla I Biennale nel 1895 con l'opera "Averte faciem tuam, domine, a peccatis meis," fortemente influenzata da Nono e Laurenti. La sua partecipazione continuò anche nelle edizioni successive della Biennale e in mostre internazionali come il Salon di Parigi, San Pietroburgo e Lipsia. La sua pittura si evolse verso una maggiore attenzione alla vibrazione atmosferica, evidente nelle opere esposte all'VIII Mostra internazionale di Monaco di Baviera. Nel 1900, si trasferì vicino a Treviso, dove avviò una fonderia di campane, e nel 1910 si trasferì a Sacile, dove rimase fino alla disfatta di Caporetto nel 1917. Durante questo periodo, realizzò alcuni dei suoi migliori paesaggi della pedemontana pordenonese, come "Poffabro" del 1912. Dopo la guerra, tornò spesso al paesaggio pedemontano e friulano anche dopo il trasferimento a Milano nel 1918, dove trovò un ambiente favorevole alla diffusione della sua pittura. Nel 1924 divenne socio onorario della regia Accademia di belle arti di Brera. La sua attività espositiva continuò con successo, partecipando a mostre importanti in Italia e all'estero. Cargnel morì a Milano nel 1931, e l'anno successivo si tenne una vasta retrospettiva alla Galleria Milano. Il suo contributo artistico fu successivamente riconosciuto con la presenza di due sue opere alla mostra dei quarant'anni della Biennale nel 1935. La sua opera ricevette una nuova attenzione nel corso degli anni, con retrospettive significative nel 1968 a Pordenone, nel 1988 a Sacile e nel 1999 al Museo civico di Pordenone. Opere di Cargnel si trovano oggi presso il Museo civico d'arte e la provincia di Pordenone.
Nonostante le resistenze familiari, il giovane Umberto riuscì a seguire la sua vocazione, frequentando l'Accademia di Belle Arti di Venezia dal 1895 al 1900, sotto la guida del maestro Ettore Tito. Qui si distinse nello studio della figura, sviluppando un talento che avrebbe segnato il suo percorso artistico. Nel 1904, desideroso di ampliare la sua formazione, Martina si trasferì a Monaco di Baviera per studiare all'Accademia locale, dove poté perfezionarsi con il pittore Carl von Marr. Al suo ritorno a Venezia nel 1906, partecipò alla Mostra nazionale di belle arti di Milano, con opere che includevano "Cappello rosso", "Ritratto di bambina" e "Ritratto di signorina", segnando il suo ingresso nel panorama artistico. La sua carriera si consolidò a Venezia, dove divenne noto come ritrattista di grande talento, partecipando a numerose edizioni della Biennale di Venezia e prendendo parte alle mostre di Ca' Pesaro organizzate da Nino Barbantini. Oltre ai ritratti, Martina fu anche richiesto per lavori di arte sacra, e le sue opere trovarono spazio in molte chiese del Friuli, del Veneto e del Trentino. La sua pittura, caratterizzata da un approccio vivace e profondo alla psicologia dei soggetti, lo rese un artista di rilievo nel panorama artistico del suo tempo. Tuttavia, durante la Seconda Guerra Mondiale, si rifugiò a Tauriano di Spilimbergo, dove morì il 14 gennaio 1945. Nel cinquantenario della sua morte, nel 1995-1996, gli fu dedicata una mostra a Tauriano, esponendo numerosi lavori inediti, tra cui diversi ritratti che ne confermarono la maestria.
Grazie al sostegno di una borsa di studio istituita da Domenico Pisani, si trasferì a Milano per proseguire la sua formazione all'Accademia di Brera, dove approfondì le sue conoscenze artistiche sotto la direzione di maestri come Giuseppe Bertini, Raffaele Casnedi e Giuseppe Mentessi. Nel 1898, al suo ritorno a Vigevano, Bocca presentò il dipinto Per tua dote all'Accademia nazionale di Torino, che venne acquistato per 2. 500 lire, un risultato che evidenziò la sua crescente fama. Successivamente, intraprese un viaggio a Roma e in Sicilia con l'amico pittore Emilio Galli, durante il quale si dedicò ad attività decorative. Partecipò anche alla IV Triennale di Milano nel 1900, consolidando ulteriormente la sua carriera. Negli anni successivi, Bocca si trasferì a Chiavari, dove per circa dieci anni si dedicò alla decorazione di chiese e ville, realizzando opere che riflettevano la sua sensibilità verso i paesaggi liguri, come Scorcio di paese. Tornato a Vigevano, si sposò con Caterina Pensa e si unì a un gruppo di artisti locali, tra cui Vincenzo Boniforti, Casimiro Ottone e Ambrogio Raffele. Nel 2016, la Pinacoteca Civica "Casimiro Ottone" di Vigevano gli ha dedicato una retrospettiva, intitolata Ritratti di famiglia, che ha messo in luce il legame dell'artista con la sua cerchia familiare. Luigi Bocca morì nel 1930Luigi Bocca nacque nell'aprile del 1872 a Vigevano, in provincia di Pavia, in una famiglia di modeste condizioni economiche. Fin da giovane coltivò una passione per le arti visive, studiando alla Scuola di Disegno e Decorazione della Fondazione Roncalli sotto la guida di Gian Battista Garberini. Grazie al sostegno di una borsa di studio istituita da Domenico Pisani, si trasferì a Milano per proseguire la sua formazione all'Accademia di Brera, dove approfondì le sue conoscenze artistiche sotto la direzione di maestri come Giuseppe Bertini, Raffaele Casnedi e Giuseppe Mentessi. Nel 1898, al suo ritorno a Vigevano, Bocca presentò il dipinto Per tua dote all'Accademia nazionale di Torino, che venne acquistato per 2. 500 lire, un risultato che evidenziò la sua crescente fama. Successivamente, intraprese un viaggio a Roma e in Sicilia con l'amico pittore Emilio Galli, durante il quale si dedicò ad attività decorative. Partecipò anche alla IV Triennale di Milano nel 1900, consolidando ulteriormente la sua carriera. Negli anni successivi, Bocca si trasferì a Chiavari, dove per circa dieci anni si dedicò alla decorazione di chiese e ville, realizzando opere che riflettevano la sua sensibilità verso i paesaggi liguri, come Scorcio di paese. Tornato a Vigevano, si sposò con Caterina Pensa e si unì a un gruppo di artisti locali, tra cui Vincenzo Boniforti, Casimiro Ottone e Ambrogio Raffele. Nel 2016, la Pinacoteca Civica "Casimiro Ottone" di Vigevano gli ha dedicato una retrospettiva, intitolata Ritratti di famiglia, che ha messo in luce il legame dell'artista con la sua cerchia familiare. Luigi Bocca morì nel 1930.
La sua carriera artistica iniziò nel 1918, quando partecipò a una mostra collettiva al Museo Civico di Verona. L'anno seguente, prese parte alla Quadriennale di Torino con l'opera "Mattino", segnando uno dei primi successi espositivi. Nel 1922, fu presente alla XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia con il dipinto "Mattino d'inverno". La sua pittura si caratterizza per l'uso di colori vivaci e una rappresentazione sensibile della luce, elementi che conferiscono alle sue opere una particolare vivacità. Pigato trasse ispirazione da vari artisti, tra cui i veronesi Sartorari e Semeghini, ma anche da pittori francesi come Marquet, Sisley, Pissarro, e Corot, per i quali nutriva una profonda ammirazione. Nel 1935, oltre alla sua attività pittorica, Pigato iniziò a insegnare alla Regia Scuola d'Arte di Verona, oggi Liceo Artistico Boccioni-Nani, contribuendo così al panorama culturale veronese. Le sue opere, apprezzate per l'originalità e il contributo significativo all'arte italiana del XX secolo, sono state oggetto di numerosi successi nelle aste pubbliche, continuando a suscitare interesse nel mercato dell'arte.
Successivamente, si trasferì a Milano con il cugino, lo scultore Ugo Zannoni, e si iscrisse all'Accademia di Brera, dove fu allievo di Giuseppe Bertini. Zannoni partecipò a numerose esposizioni, tra cui quelle di Napoli nel 1877, Milano nel 1881, Roma nel 1884 e Venezia nel 1887, presentando opere come "Marco Antonio rivela al popolo romano il mantello insanguinato di Cesare" e "Cacciatore e volpe". Oltre alla pittura di genere, si dedicò anche a lavori di pittura sacra, realizzando affreschi e pale d'altare in diverse chiese, principalmente a Verona. Tra le sue opere religiose si ricordano "Il buon Samaritano" e gli affreschi nella chiesa dei Filippini a Verona. La sua carriera fu tragicamente interrotta da un incidente durante i lavori di decorazione della chiesa parrocchiale di Monteforte d'Alpone.
Frequentò l'Accademia di Brera dal 1853 al 1858. Dal 1866 si stabilì a Davesco, spostandosi raramente, il che limitò forse la sua carriera artistica. Tuttavia, partecipò a diverse mostre in Italia, ricevendo riconoscimenti come una medaglia all'Esposizione artistico industriale di Asti nel 1869 e il premio Mylius nel 1875. Preda era principalmente un pittore di paesaggi, definito "pittore monogamo quasi senza infedeltà" da Adriano Soldini. Nonostante i problemi economici, vendeva le sue opere ai turisti tedeschi. Dipinse raramente ritratti o scene di genere. I suoi paesaggi, spesso vedute precise del lago di Lugano e dintorni, erano popolati da figure umane come contadine, lavandaie e signore con ombrellini, e talvolta animali come mucche, capre e asini. Pur dipingendo dal vero, Preda evitava un verismo banale e mantenne l'interesse nei suoi lavori nonostante la ripetizione dei soggetti. Occasionalmente, si spingeva a Campione, sul lago Maggiore, in Engadina e in Liguria, ma mai sul lago di Como. Sebbene alcuni suoi dipinti raffigurino paesaggi olandesi, probabilmente non visitò mai l'Olanda e potrebbe averli eseguiti da fotografie. Era profondamente amico del ticinese Luigi Monteverde, con il quale trascorse un'estate del 1888 sul Monte Boglia. Monteverde, in un'intervista del 1894, ricordò la loro armoniosa convivenza, affermando che la pittura non li aveva mai divisi.
Si iscrisse alla scuola di disegno di Paolo Emilio Stasi a Spongano, che riconobbe il suo talento e lo indirizzò a frequentare il Real Istituto di Belle Arti di Napoli. A Napoli, studiò sotto la guida di Gioacchino Toma e dello scultore Stanislao Lista, ma fu l'incontro con Francesco Paolo Michetti a segnare un punto di svolta nella sua carriera, insegnandogli a usare il pastello. Il suo debutto artistico avvenne nel 1887 alla Promotrice "Salvator Rosa" di Napoli, dove espose undici paesaggi che gli valsero lodi e riconoscimenti. Da quel momento, partecipò a numerose esposizioni in Italia e all'estero, tra cui quelle di Palermo, Roma, Torino, Milano, Parigi, Bruxelles, Berlino e Vienna. Nel 1893, al Salon de Paris, vinse una medaglia d'oro, consolidando la sua fama. Tra il 1895 e il 1932, Casciaro partecipò quasi senza interruzione alla Biennale di Venezia, dove il suo talento fu ampiamente apprezzato. Nel 1906, presentò un ciclo di opere intitolato "Castro e dintorni" all'Esposizione internazionale di Milano, suscitando l'interesse della famiglia reale. La regina Elena, appassionata di pittura, lo nominò suo maestro, un riconoscimento che accrebbe ulteriormente la sua notorietà. Oltre alla pittura, Casciaro si dedicò all'insegnamento, ricoprendo ruoli accademici e contribuendo alla formazione di numerosi giovani artisti. Nel 1929 fu candidato alla Reale Accademia d'Italia, un altro traguardo significativo nella sua carriera. Nel 1934, partecipò alla mostra d'arte coloniale di Napoli, avendo l'opportunità di recarsi in Libia per realizzare un ciclo di opere ispirato a quelle terre. Giuseppe Casciaro nacque il 9 marzo 1863 a Ortelle, un piccolo comune della Puglia. Rimasto orfano da giovane, fu accolto dallo zio sacerdote, che gli permise di frequentare il liceo classico, ma la sua passione per l'arte lo portò presto verso gli studi pittorici. Si iscrisse alla scuola di disegno di Paolo Emilio Stasi a Spongano, che riconobbe il suo talento e lo indirizzò a frequentare il Real Istituto di Belle Arti di Napoli. A Napoli, studiò sotto la guida di Gioacchino Toma e dello scultore Stanislao Lista, ma fu l'incontro con Francesco Paolo Michetti a segnare un punto di svolta nella sua carriera, insegnandogli a usare il pastello. Il suo debutto artistico avvenne nel 1887 alla Promotrice "Salvator Rosa" di Napoli, dove espose undici paesaggi che gli valsero lodi e riconoscimenti. Da quel momento, partecipò a numerose esposizioni in Italia e all'estero, tra cui quelle di Palermo, Roma, Torino, Milano, Parigi, Bruxelles, Berlino e Vienna. Nel 1893, al Salon de Paris, vinse una medaglia d'oro, consolidando la sua fama. Tra il 1895 e il 1932, Casciaro partecipò quasi senza interruzione alla Biennale di Venezia, dove il suo talento fu ampiamente apprezzato. Nel 1906, presentò un ciclo di opere intitolato "Castro e dintorni" all'Esposizione internazionale di Milano, suscitando l'interesse della famiglia reale. La regina Elena, appassionata di pittura, lo nominò suo maestro, un riconoscimento che accrebbe ulteriormente la sua notorietà. Oltre alla pittura, Casciaro si dedicò all'insegnamento, ricoprendo ruoli accademici e contribuendo alla formazione di numerosi giovani artisti. Nel 1929 fu candidato alla Reale Accademia d'Italia, un altro traguardo significativo nella sua carriera. Nel 1934, partecipò alla mostra d'arte coloniale di Napoli, avendo l'opportunità di recarsi in Libia per realizzare un ciclo di opere ispirato a quelle terre. Giuseppe Casciaro morì a Napoli nel 1945.
La sua arte si distingue per l'attenzione al mondo rurale veronese, come evidenziato nel dipinto "Il capitale di Rosa" del 1891, dove una figura femminile si fonde con la campagna, esprimendo un'intima quotidianità agreste. Le sue opere sono conservate in collezioni private e pubbliche, tra cui la Galleria d'Arte Moderna Achille Forti di Verona.
Durante gli anni di formazione, Gignous entrò in contatto con l'ambiente della Scapigliatura milanese, stringendo amicizia con artisti come Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni. Queste frequentazioni influenzarono il suo stile, portandolo a sperimentare una pittura en plein air caratterizzata da una vivace resa cromatica e da una ricerca sugli effetti della luce . Nel 1870 esordì alla XXIX Esposizione della Società per le Belle Arti di Torino con l'opera "Lavandaie della Magolfa". Negli anni successivi, si dedicò prevalentemente alla pittura di paesaggio, realizzando vedute delle campagne lombarde e piemontesi, spesso in compagnia di amici artisti come Luigi Rossi e Achille Tominetti . Verso la fine degli anni settanta, Gignous si orientò verso un naturalismo più marcato, influenzato dalle ricerche di Filippo Carcano. Insieme a quest'ultimo, nel 1879, iniziò a dipingere sul Lago Maggiore, inaugurando un repertorio tematico dedicato alle vedute del Verbano, del Mottarone e della Val d'Ossola . Nel 1887 si trasferì con la moglie Matilde Ferri e i cinque figli a Stresa, dove frequentò l'ambiente culturale del Lago Maggiore e continuò a ritrarre paesaggi montani e lacustri. In questo periodo, aprì uno studio frequentato da giovani allieve, tra cui Camilla Bellorini e Maria Zinelli . Gignous partecipò a numerose esposizioni nazionali e internazionali, tra cui l'Esposizione nazionale di Milano del 1881, l'Esposizione di Roma del 1883 e la I Esposizione internazionale di Venezia del 1895. Alcune sue opere furono acquistate dal re Umberto I e dal Ministero della Pubblica Istruzione . Colpito da un tumore alla gola, Eugenio Gignous morì a Stresa il 30 agosto 1906.
La sua formazione fu influenzata dalle correnti artistiche del suo tempo, in particolare dal Romanticismo, ma Cappa Legora sviluppò uno stile personale caratterizzato da una raffinata tecnica pittorica e da una spiccata attenzione ai dettagli. Le sue opere spaziano tra vari generi, tra cui il ritratto, la pittura storica e la scena di genere, sempre con un'attenzione particolare alla resa emotiva e psicologica dei soggetti rappresentati. Durante la sua carriera, Cappa Legora partecipò a numerose esposizioni, ottenendo riconoscimenti e apprezzamenti per la qualità delle sue opere. La sua produzione artistica contribuì significativamente al panorama culturale torinese dell'Ottocento, consolidando la sua reputazione come uno dei pittori più apprezzati della sua generazione.
Suo padre, uno dei principali esponenti del paesaggismo realista veneto, e sua madre, figlia del ritrattista Gianfranco Locatelli, gli trasmisero fin da giovane una passione per la pittura. Fin da bambino, Beppe mostrò un interesse profondo per l'arte, trascorrendo molto tempo nello studio del padre e tentando i suoi primi schizzi. Nel 1896, all'età di 21 anni, si iscrisse all'Accademia di Belle Arti di Venezia, dove fu allievo di Ettore Tito, un noto pittore verista. Durante gli anni accademici, Beppe affinò le sue tecniche pittoriche, sviluppando uno stile personale che univa l'influenza del padre a una sensibilità propria. Nel 1899, Beppe esordì alla Biennale di Venezia con l'opera "Monte Rosa" e il trittico "Terra in fiore", segnando un distacco dalla pittura paterna e avvicinandosi alle tematiche divisioniste espresse da Giovanni Segantini. L'anno successivo, nel 1900, ottenne il premio Fumagalli all'Esposizione della Permanente di Milano con "Traghetto delle Agnelle". Nel 1904 partecipò all'Esposizione internazionale di San Francisco, dove ricevette una medaglia d'argento, e nel 1906 espose undici quadri della serie "Silenzi notturni e crepuscolari" all'Esposizione internazionale del Sempione. Nel 1912, alla X Biennale di Venezia, Beppe tenne una mostra personale con 45 tele, tra cui la nota "I saltimbanchi". Dopo una breve interruzione dovuta alla partecipazione alla Prima Guerra Mondiale, riprese la sua attività artistica, partecipando a numerose Biennali di Venezia, segnate dalla diffusione di movimenti avanguardistici come il Futurismo e l'Espressionismo. Oltre alla pittura, Beppe Ciardi alternò la sua attività artistica con quella di agricoltore, trascorrendo la vita tra Venezia, Canove di Asiago e Quinto di Treviso, profondamente legato alla campagna trevigiana che riprodusse spesso nelle sue opere. La sua produzione artistica comprende numerosi paesaggi, marine e scene di vita quotidiana, caratterizzati da una luce vibrante e una tecnica pittorica raffinata. Beppe Ciardi morì improvvisamente il 14 giugno 1932 a Quinto di Treviso, dove fu sepolto. La moglie Emilia Rizzotti, modella di numerosi suoi lavori, raccolse una grande quantità di opere presso Villa Ciardi, istituendo una collezione che terminò con la cessione delle opere da parte degli eredi. Nel tempo, furono organizzate diverse mostre postume, tra cui nel 1932 presso la Galleria Pesaro di Milano, nel 1935 alla Biennale di Venezia e al Jeu de Paume di Parigi, nel 1936 presso l'Associazione Nazionale delle Famiglie dei Caduti di Guerra di Milano, nel 1939 al Caffè Pedrocchi di Padova, nel 1953 alla Galleria Giosio di Roma e nel 1983 alla Mostra d’Arte Trevigiana. Le opere di Beppe Ciardi sono oggi conservate in numerose collezioni pubbliche e private, testimoniando l'importanza del suo contributo all'arte paesaggistica italiana.
Il suo debutto avvenne nel 1837, quando partecipò a una mostra all'Accademia di Verona presentando una serie di vedute della città arricchite da scene di genere ispirate alla pittura fiamminga. Queste opere riscossero un notevole successo, consolidando la sua reputazione come abile vedutista. Nel corso degli anni successivi, Ferrari partecipò a numerose esposizioni, tra cui quelle di Venezia nel 1839, Brescia nel 1840 e Milano nel 1844, affermandosi come uno dei principali pittori veronesi del periodo. Grazie al suo talento, ottenne importanti commissioni da parte della nobiltà locale e degli ufficiali austriaci di stanza a Verona. Un incontro significativo fu quello con il feldmaresciallo Radetzky, che apprezzò le sue opere raffiguranti la laguna veneziana, contribuendo ad ampliare la sua clientela internazionale. La sua fama raggiunse l'apice intorno al 1851, quando l'imperatore Francesco Giuseppe visitò il suo studio, garantendogli riconoscimenti a livello europeo. Nella fase finale della sua carriera, Ferrari si dedicò alla pittura e all'incisione, specializzandosi nell'interpretazione delle opere rinascimentali. Collaborò strettamente con il collezionista veronese Cesare Bernasconi, approfondendo la sua conoscenza dell'arte antica. Morì a Verona nel 1871.
La sua passione per il paesaggio lo portò a sviluppare uno stile che coniugava una resa naturale e luminosa dei soggetti con un approccio molto attento alla realtà. Nel 1860, Fasanotti divenne professore di pittura di paesaggio all'Accademia di Brera, dove ebbe un'influenza decisiva sulla formazione di nuove generazioni di artisti. Fu uno dei pionieri della pratica della pittura en plein air in Italia, insegnando ai suoi allievi l'importanza di dipingere all'aperto, direttamente dalla natura. Questa innovazione portò alla rinascita della scuola lombarda di paesaggio, contribuendo a un rinnovato interesse per le bellezze naturali italiane. Le sue opere più celebri includono vedute della Lombardia e delle Alpi, in cui riusciva a catturare l'atmosfera unica dei luoghi con una vivace resa dei colori e delle luci naturali. Opere come "Veduta dal vero nell'Oberland", "Un'Alpe in Lombardia" e "Marina con pescatori" sono ancora oggi testimonianze del suo talento e della sua capacità di fondere tradizione e modernità. Fasanotti morì nel 1882 a Milano,Gaetano Fasanotti nacque a Milano nel 1831 e si distinse nel panorama artistico del XIX secolo per la sua dedizione alla pittura di paesaggio. Inizialmente influenzato dalla pittura storica, a partire dal 1856 cominciò a orientarsi verso la rappresentazione della natura, un cambiamento che segnò l'inizio di una carriera ricca di successi. La sua passione per il paesaggio lo portò a sviluppare uno stile che coniugava una resa naturale e luminosa dei soggetti con un approccio molto attento alla realtà. Nel 1860, Fasanotti divenne professore di pittura di paesaggio all'Accademia di Brera, dove ebbe un'influenza decisiva sulla formazione di nuove generazioni di artisti. Fu uno dei pionieri della pratica della pittura en plein air in Italia, insegnando ai suoi allievi l'importanza di dipingere all'aperto, direttamente dalla natura. Questa innovazione portò alla rinascita della scuola lombarda di paesaggio, contribuendo a un rinnovato interesse per le bellezze naturali italiane. Le sue opere più celebri includono vedute della Lombardia e delle Alpi, in cui riusciva a catturare l'atmosfera unica dei luoghi con una vivace resa dei colori e delle luci naturali. Opere come "Veduta dal vero nell'Oberland", "Un'Alpe in Lombardia" e "Marina con pescatori" sono ancora oggi testimonianze del suo talento e della sua capacità di fondere tradizione e modernità. Fasanotti morì nel 1882 a Milano.
In questo ambiente assimilò una solida tecnica figurativa e un’attenzione particolare per la resa naturale della luce, qualità che sarebbero diventate caratteristiche centrali del suo linguaggio pittorico. Il suo debutto espositivo avvenne nel 1924 alla Promotrice di Torino, evento che segnò l’inizio di una carriera costellata da partecipazioni a mostre in numerose città italiane, tra cui Milano, Bologna, Firenze e Genova. Spesso soggiornò e lavorò anche in Liguria, regione nella quale i suoi paesaggi trovarono nuovi spunti di luce e colore. La sua produzione si orientò soprattutto verso il paesaggio. Rolla amava rappresentare scenari montani, boschi, vallate e soprattutto vedute invernali, nelle quali la neve diventa elemento poetico, capace di riflettere la luce e creare atmosfere silenziose e contemplative. La sua pittura ricerca sempre una dimensione pacata: paesaggi tranquilli, cieli soffusi, riflessi delicati, un uso misurato dei toni che suggerisce quiete più che spettacolarità. Accanto ai paesaggi produsse anche nature morte, figure e scene di genere, opere nelle quali si ritrova la stessa attenzione per l’armonia compositiva e per una luminosità controllata. Lo stile di Rolla resta legato a una figurazione sensibile e ordinata, che unisce osservazione del vero e un’attitudine meditativa. Adolfo Rolla morì a Torino nel 1967.
Dal 1870 al 1872 frequentò la scuola d'ornato del Civico Ateneo ferrarese insieme a G. Previati, suo amico per tutta la vita. Nel 1872 ottenne una menzione onorevole in assonometria e collaborò con A. Barlaam nei corsi di disegno. Con il sostegno del Comune e dell'amministrazione provinciale di Ferrara, Mentessi continuò gli studi presso la Regia Accademia di Parma dal 1873 al 1876. Qui si dedicò anche al teatro Regio e nel 1876 vinse una medaglia d'oro per un saggio scenografico esposto a Parma. Nel 1878 si trasferì a Milano per studiare all'Accademia di Brera, vincendo una medaglia d'argento nel 1879. Durante il periodo milanese, Mentessi si unì al circolo artistico progressista, la Famiglia artistica, insieme a Previati, Longoni, Segantini e altri. Nel 1880 partecipò all'Esposizione nazionale di Torino e negli anni successivi espose regolarmente alle mostre dell'Accademia di Brera. Nel 1887 fu nominato professore di paesaggio presso la scuola di prospettiva di Brera. Negli anni successivi, Mentessi esplorò tematiche simboliste e si avvicinò al socialismo umanitario di F. Turati. Nel 1895 presentò "Panem nostrum quotidianum" alla Biennale di Venezia, un'opera che affrontava la pellagra nelle campagne del Ferrarese. Partecipò regolarmente alla Biennale fino al 1914, ad eccezione del 1910. Il periodo del maggio 1898 a Milano influenzò profondamente Mentessi, che realizzò opere come "L'arrestato" e "Lagrime". Intorno al 1900, si avvicinò al divisionismo con "Ora triste". Dal 1907, oltre alla pittura, si dedicò all'insegnamento, dirigendo la Scuola festiva di disegno professionale e successivamente insegnando prospettiva e scenografia a Brera. Negli anni successivi, Mentessi partecipò a varie esposizioni nazionali e internazionali, ricevendo riconoscimenti ufficiali per opere come "Madre operaia" e "Gloria!". Negli anni della prima guerra mondiale, dipinse opere ispirate al conflitto. Dopo il pensionamento nel 1924, ricevette la medaglia d'oro di benemerito dell'istruzione. Continuò a dipingere paesaggi e a dedicarsi all'istruzione fino alla sua morte il 14 giugno 1931 a Milano. Venne sepolto nel cimitero monumentale della certosa di Ferrara.
Durante il suo percorso accademico, dimostrò fin da subito un notevole talento, ottenendo numerose medaglie e distinguendosi per la sua versatilità artistica. La sua carriera si sviluppò in un contesto di grande fermento culturale, e nel corso della sua vita espose in molte città italiane e internazionali, tra cui Roma, Torino, Milano, Genova, Napoli, Amsterdam, Gand e l'Aja, guadagnandosi il riconoscimento per la qualità delle sue opere. Uno dei suoi traguardi più significativi fu la partecipazione alla XIV Biennale di Venezia nel 1924, un importante appuntamento che confermò la sua rilevanza nel panorama artistico dell'epoca. Zambeletti si distinse per la sua ecletticità, spaziando tra paesaggi, figure di genere e ritratti. La sua attività di ritrattista fu particolarmente apprezzata, con numerosi ritratti conservati in istituzioni prestigiose come la Ca' Granda di Milano, l'Istituto dei Ciechi e il Teatro dei Filodrammatici. Oltre alla sua attività artistica, fu anche socio della Società Artistica Permanente di Milano, dove partecipò attivamente alla vita culturale della città. Nel 1957, la sua partecipazione alla XX Biennale Nazionale di Milano confermò ancora una volta il suo ruolo di rilievo nell'arte del Novecento. Zambeletti morì celibe nel 1966 a MilanoLodovico Zambeletti nacque a Milano il 19 aprile 1881 in una famiglia di industriali. Dopo aver completato gli studi classici, si dedicò alla pittura, frequentando l'Accademia di Brera, dove si formò sotto la guida di maestri come Cesare Tallone, Giuseppe Mentessi, Vespasiano Bignami e Camillo Rapetti. Durante il suo percorso accademico, dimostrò fin da subito un notevole talento, ottenendo numerose medaglie e distinguendosi per la sua versatilità artistica. La sua carriera si sviluppò in un contesto di grande fermento culturale, e nel corso della sua vita espose in molte città italiane e internazionali, tra cui Roma, Torino, Milano, Genova, Napoli, Amsterdam, Gand e l'Aja, guadagnandosi il riconoscimento per la qualità delle sue opere. Uno dei suoi traguardi più significativi fu la partecipazione alla XIV Biennale di Venezia nel 1924, un importante appuntamento che confermò la sua rilevanza nel panorama artistico dell'epoca. Zambeletti si distinse per la sua ecletticità, spaziando tra paesaggi, figure di genere e ritratti. La sua attività di ritrattista fu particolarmente apprezzata, con numerosi ritratti conservati in istituzioni prestigiose come la Ca' Granda di Milano, l'Istituto dei Ciechi e il Teatro dei Filodrammatici. Oltre alla sua attività artistica, fu anche socio della Società Artistica Permanente di Milano, dove partecipò attivamente alla vita culturale della città. Nel 1957, la sua partecipazione alla XX Biennale Nazionale di Milano confermò ancora una volta il suo ruolo di rilievo nell'arte del Novecento. Zambeletti morì nel 1966 a Milano.
Nel 1884 partecipò all'esposizione di Torino presentando un'opera intitolata "La laguna di Venezia". Due anni dopo, a Milano, espose "Le Zattere a Venezia", e nel 1887 a Venezia presentò "Sulla spiaggia", un dipinto che ricevette elogi dalla critica per la sua sensibilità artistica. Le sue opere sono apprezzate per la fedeltà con cui rappresentano l'atmosfera e la luce tipiche dei paesaggi veneziani.
Durante la sua carriera, Pastega si avvicinò alla tradizione pittorica di Giacomo Favretto, distillando nella sua produzione un amore per la vita quotidiana e per l'atmosfera veneziana. L'esordio ufficiale di Pastega avvenne nel 1880 alla Mostra di Torino con il quadro "Il pasto della gallina". Il suo talento fu subito riconosciuto, tanto che continuò a partecipare alle principali esposizioni italiane, come quelle di Milano e Venezia, dove presentò opere come "Sulle fondamenta" e "Dame un baso". La sua arte si caratterizzava per la vivacità cromatica e la fine rappresentazione delle scene quotidiane, che spaziavano dalle semplici attività domestiche a momenti di intimità familiare. Nel corso degli anni, Pastega consolidò la sua posizione nel panorama artistico italiano, partecipando a numerose mostre, tra cui quelle di Firenze, Roma e Torino. Tra le sue opere più celebri si ricordano "Una lettera interessante" e "Amore materno", che furono esposte in contesti prestigiosi e gli garantirono una buona fama anche all'estero, in particolare in Inghilterra. Pastega fu apprezzato per la capacità di rendere con grazia e affetto i soggetti che ritraeva, trattando con sensibilità temi legati alla vita familiare e alla tradizione veneziana. La sua produzione artistica fu vasta e diversificata, ma sempre legata ad un'idea di bellezza semplice, che evocava la quotidianità in modo vibrante e poetico. Luigi Pastega morì a Venezia nel 1927.
Nel 1880, espose alla mostra nazionale di Torino e successivamente partecipò a varie esposizioni nazionali e internazionali. La sua pittura si concentrò sul paesaggio dell'entroterra lagunare veneziano, privilegiando vedute meno convenzionali e popolari rispetto ai suoi contemporanei. Nei suoi dipinti, la veduta diventava un mezzo per esprimere il suo stato d'animo, come evidenziato nei titoli come "Pace" e "Riposo". Nel 1893, ottenne riconoscimento con "La campana della sera", un dipinto che rappresenta un suggestivo scorcio veneziano al tramonto. Negli anni Novanta, Fragiacomo cambiò il suo stile, adottando una pittura più materica e sperimentando l'uso della tempera con sovrapposizioni di velature a olio. Nel 1895, entrò nel comitato organizzatore della Biennale di Venezia, esponendo regolarmente alla manifestazione. Nel corso del Novecento, esplorò influenze dell'Art Nouveau e partecipò a esposizioni nazionali e internazionali. La sua vasta produzione, stimata in circa 500 opere, è oggi dispersa tra collezioni private e pubbliche. Pietro Fragiacomo morì a Venezia nel 1922. Anche sua sorella, Antonietta, fu una pittrice di paesaggi, partecipando attivamente alla Biennale di Venezia e continuando la sua carriera fino a data di morte sconosciuta.
Per seguire la sua vocazione si trasferì a Torino, dove frequentò l’Accademia Albertina, accompagnando gli studi anche con esperienze pratiche in atelier privati e apprendistato in studi di pittura. Durante questi anni maturò un profondo legame con la natura e con il paesaggio alpino, che diventeranno il centro del suo immaginario artistico. Dopo un periodo di esperienze anche all’estero, Bossone si stabilì nella regione dell’Ossola, ai piedi del massiccio del Monte Rosa. Qui trovò il suo “luogo dell’anima”: la montagna, le valli, i boschi, i laghi e i paesini alpini divennero soggetti privilegiati delle sue opere. Negli anni maturi si dedicò soprattutto alla pittura “en plein air”, catturando atmosfere, luci, stagioni e silenzi di quelle terre con sensibilità e rispetto. Nella sua tavolozza prevalgono toni naturali, un uso attento della luce e una pennellata che privilegia l’intensità emotiva del paesaggio piuttosto che la pura resa descrittiva. Parallelamente al paesaggio, Bossone ritrasse con delicatezza figure umane, nature morte e scorci di vita quotidiana nelle valli. Per lui la natura non era solo sfondo ma protagonista, testimonianza di un legame profondo tra uomo e territorio. Il suo tratto sobriamente realistico, talvolta toccato da sfumature impressioniste, riusciva a evocare la solitudine delle montagne, il fresco delle acque alpine, la quiete dei boschi. Negli anni la sua pittura attirò l’attenzione non solo di collezionisti privati ma anche di appassionati e istituzioni. Fu riconosciuto come punto di riferimento per una “scuola” che raccoglieva allievi, seguaci e ammiratori del suo modo di interpretare la montagna come soggetto artistico privilegiato. Le sue opere vennero esposte in varie sedi, a volte accanto a quelle dei suoi allievi, confermando il valore del suo impegno artistico e la coerenza del suo percorso. Carlo Bossone visse a lungo, dedicandosi con passione e costanza alla pittura e all’insegnamento artistico. Morì nel 1991, a quasi 87 anni.
Nel 1852 si trasferì a Venezia per studiare all'Accademia di Belle Arti, dove fu influenzato dalla pittura veneta del Quattro e Cinquecento, in particolare dalla dissoluzione della linea di contorno tipica dell'ultimo Tiziano . Nel 1859 si trasferì a Milano per frequentare l'Accademia di Brera, dove fu orientato verso la pittura storica sotto la guida di Hayez. In questo periodo entrò in contatto con l'ambiente della Scapigliatura milanese, un movimento culturale che comprendeva artisti, poeti e musicisti con tendenze anticonformiste e antiaccademiche . Lo stile di Cremona si caratterizzò per l'uso di pennellate morbide e sfumate, influenzato dalla pittura veneta e dalla ricerca di effetti atmosferici. Le sue opere più note includono "Il bacio" (1870), "L'edera" (1878) e "Melodia" (1874), tutte caratterizzate da una resa sensibile delle emozioni e da una ricerca sulla luce e sull'atmosfera . Tranquillo Cremona morì a Milano il 10 giugno 1878 all'età di 41 anni, probabilmente a causa di avvelenamento da piombo, sostanza contenuta nei pigmenti che utilizzava.
Marco Grubacs si distinse per il suo stile caratterizzato da pennellate fluide e l'uso di colori tenui, che riuscivano a catturare l'atmosfera unica della città lagunare. Le sue opere, sebbene di piccole dimensioni, offrono vedute dettagliate di Venezia, immortalando scenari di vita quotidiana, monumenti e angoli caratteristici, sempre con una particolare attenzione alla luce e alle riflessioni sull'acqua. Nel corso della sua carriera, Grubacs partecipò a numerose mostre, tra cui quelle di Vienna e Monaco di Baviera, dove ottenne apprezzamenti per la qualità delle sue tele. La sua arte si inserisce nella tradizione delle vedute veneziane, influenzata dalle opere di maestri come Canaletto e Guardi, ma con una personalità che si distacca per la ricerca di un'espressività più intima e dettagliata. Le opere di Grubacs sono molto ricercate nel mercato dell'arte e sono state protagoniste di numerose aste internazionali, segno di un interesse che continua a crescere anche oggi.
La sua carriera artistica iniziò a prendere forma con una serie di esposizioni che la resero una figura centrale nel panorama pittorico dell'epoca. Nel 1903, Emma partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia con l'opera "Fra ombra e sole", che le permise di guadagnarsi un riconoscimento immediato. La sua passione per la luce e l'atmosfera veneziana si rifletteva in ogni sua opera, caratterizzata da un evidente influsso impressionista. Nel 1911, aprì uno studio proprio accanto a quello del padre nel sestiere di Santa Barnaba, a Venezia, continuando a dipingere scene di vita quotidiana e vedute della laguna. Il successo di Emma non si limitò all'Italia: nel 1910 organizzò una mostra personale a Londra presso le Leicester Galleries, seguita da un’altra nel 1913. Le sue opere furono successivamente esposte anche a New York, attraverso la Howard Young Gallery. Il suo stile, che univa la tradizione del vedutismo veneziano con una sensibilità moderna, le consentì di guadagnarsi un pubblico internazionale. Le sue opere, che catturavano l’essenza di Venezia, erano caratterizzate da una delicata attenzione alla luce e alle ombre, diventando così un simbolo della città. Emma Ciardi morì a Venezia nel 1933.
La sua carriera si distinse per una specializzazione nella pittura prospettica, un'arte che lo portò a dedicarsi principalmente alla rappresentazione di interni ed esterni di chiese, con una particolare predilezione per il Duomo di Milano. La precisione tecnica e l'uso sapiente della luce caratterizzarono le sue opere, che riscuosero apprezzamenti in tutta Europa. Nel 1851, Luigi Bisi succedette a Francesco Durelli nella cattedra di prospettiva all'Accademia di Brera, un incarico che mantenne fino alla morte. Oltre alla sua attività artistica, collaborò anche ai restauri del Duomo di Milano, lavorando insieme all'architetto Giovanni Brocca. La sua attività di insegnante e la qualità delle sue opere contribuirono a consolidare il suo nome nel panorama artistico dell'epoca. Morì a Milano l'11 settembre 1886Luigi Bisi nacque a Milano il 10 maggio 1814 in una famiglia di artisti: suo padre Michele e suo zio Giuseppe erano anch'essi pittori. Iniziò la sua formazione artistica sotto la guida del padre e dello zio, per poi perfezionarsi all'Accademia di Brera, dove fu allievo di Francesco Durelli. La sua carriera si distinse per una specializzazione nella pittura prospettica, un'arte che lo portò a dedicarsi principalmente alla rappresentazione di interni ed esterni di chiese, con una particolare predilezione per il Duomo di Milano. La precisione tecnica e l'uso sapiente della luce caratterizzarono le sue opere, che riscuosero apprezzamenti in tutta Europa. Nel 1851, Luigi Bisi succedette a Francesco Durelli nella cattedra di prospettiva all'Accademia di Brera, un incarico che mantenne fino alla morte. Oltre alla sua attività artistica, collaborò anche ai restauri del Duomo di Milano, lavorando insieme all'architetto Giovanni Brocca. La sua attività di insegnante e la qualità delle sue opere contribuirono a consolidare il suo nome nel panorama artistico dell'epoca. Morì a Milano l'11 settembre 1886.
La sua presenza artistica è stata notevole, partecipando a numerose mostre nazionali, tra cui spicca la sua partecipazione alla Promotrice di belle arti di Torino nel 1942. Campagnari ha tenuto sia mostre personali che ha partecipato a esposizioni collettive in Italia e all'estero. Le sue composizioni si caratterizzano per la loro piacevolezza e per la capacità espressiva dell'artista. Questa capacità espressiva è indubbiamente degna di interesse, paragonabile ai suoi paesaggi. È sostenuta da una solida e attenta preparazione artistica, che gli ha permesso in molti casi di catturare in modo straordinario la bellezza e l'autenticità di un paesaggio, spesso accompagnato da figure umane, e il mondo circostante. Questa impostazione artistica è rimasta costante nel tempo, mantenendo la sua struttura e la sua suggestiva adesione alle montagne che erano care ad altri grandi maestri dell'arte come Maggi, Musso, Rolla e Angelo Abrate. È evidente che Campagnari ha mantenuto intatto il suo dialogo con la natura, preservando la genuinità delle sue immagini, la fedeltà all'ambiente e la coerenza nella testimonianza di un dipingere che ha conquistato il pubblico per il suo costante amore per l'antica "veduta" e per il suo sincero intento rappresentativo. La sua raffigurazione è sempre piacevole, pronta a catturare il profondo significato di una tradizione paesaggistica che sembra resistere a ogni cambiamento estetico. Questa tradizione è indissolubilmente legata alla cultura figurativa piemontese dell'Ottocento e del Primo Novecento. Campagnari ha sviluppato una linea espressiva distintiva e inconfondibile, dimostrando una notevole abilità nel rendere con leggerezza e delicatezza il candido manto della neve e nel catturare gli ultimi dettagli di un paesaggio in continua trasformazione con il passare delle stagioni. La sua opera è un tributo duraturo alla bellezza della natura e alla ricca tradizione artistica dell'Ottocento e del primo Novecento, che continua a influenzare e a ispirare gli amanti di un genere pittorico che, pur in un mondo in continua evoluzione, resta un richiamo sentito e rassicurante nelle giornate agitate della nostra esistenza.
L’uso di tecniche come l'olio, la tempera e il pastello gli permise di esplorare vari effetti di luce e colore, dando vita a opere vibranti e ricche di dettagli. Frigerio partecipò a numerose esposizioni artistiche, ottenendo il riconoscimento del pubblico e della critica. Le sue opere furono esposte a Brera, a Venezia e in altre importanti manifestazioni artistiche, tra cui la Mostra dell'Angelicum. La sua arte non si limitò solo alla partecipazione a mostre collettive, ma ottenne anche l'opportunità di tenere una personale alla Galleria della Rotonda di Bergamo nel 1949, consolidando ulteriormente la sua reputazione. Frigerio morì a Milano nel 1936Luigi Frigerio nacque a Milano il 28 dicembre 1873 e si distinse come pittore autodidatta, sviluppando una particolare predilezione per il paesaggio. La sua arte si caratterizzò per la rappresentazione di scene di vita quotidiana, paesaggi marini e vedute urbane, spesso ispirate dalla luce e dall'atmosfera dei luoghi che dipingeva. L’uso di tecniche come l'olio, la tempera e il pastello gli permise di esplorare vari effetti di luce e colore, dando vita a opere vibranti e ricche di dettagli. Frigerio partecipò a numerose esposizioni artistiche, ottenendo il riconoscimento del pubblico e della critica. Le sue opere furono esposte a Brera, a Venezia e in altre importanti manifestazioni artistiche, tra cui la Mostra dell'Angelicum. La sua arte non si limitò solo alla partecipazione a mostre collettive, ma ottenne anche l'opportunità di tenere una personale alla Galleria della Rotonda di Bergamo nel 1949, consolidando ulteriormente la sua reputazione. Frigerio morì a Milano nel 1936.
Le sue opere più significative includono "Quiete lagunare" e "Venezia", che sono conservate nelle principali gallerie d'arte moderne. Partecipò a numerose esposizioni, tra cui la Biennale di Venezia, contribuendo alla diffusione della pittura paesaggistica veneta in Italia e all'estero.
Giovanissimo, assistette il padre nei lavori di decorazione di chiese e case nobili . Dal 1902 al 1908, De Grada studiò presso le Accademie di Dresda e di Karlsruhe, dove fu influenzato dalla pittura paesaggistica tedesca e dalla Secessione viennese. Nel 1913 esordì con una personale a Zurigo, città in cui si stabilì definitivamente nel 1915, sposando Magda Ceccarelli. Nel 1916 nacque a Zurigo il figlio Raffaele, che in seguito si dedicherà alla critica d'arte e alla politica . Nel 1919, De Grada decise di stabilirsi definitivamente in Italia. Nel 1920 si trasferì a San Gimignano, dove nacque la figlia Lidia, per poi stabilirsi a Settignano, vicino a Firenze. La sua prima personale italiana si tenne nel 1921 a Firenze, presso il Palazzo Antinori, ottenendo l'attenzione della critica e dell'ambiente artistico fiorentino. Nel 1922 partecipò alla Biennale di Venezia e divenne membro del movimento Novecento Italiano, esponendo alle sue mostre del 1926 e 1929 a Milano . Nel 1930 si trasferì a Milano e nel 1931 fu chiamato a insegnare all'Istituto Superiore per le Industrie Artistiche (ISIA) di Monza, incarico che mantenne fino all'inizio della Seconda Guerra Mondiale. Continuò a dedicarsi alla pittura di paesaggio, rappresentando le periferie milanesi, la Brianza e la Toscana, influenzato dalla pittura di Corot e Cézanne. Raffaele De Grada morì a Milano il 10 aprile 1957.
La sua formazione artistica lo vide impegnato in città come Londra e Parigi, dove approfondì il suo stile, immergendosi nelle influenze dell'arte europea moderna. Nel corso della sua carriera, Rossi intraprese numerosi viaggi che lo portarono in vari paesi, tra cui gli Stati Uniti, il Messico e il Brasile. Questi spostamenti arricchirono la sua pittura, che si arricchì di nuove prospettive e tematiche ispirate ai paesaggi e alle culture locali. Tra il 1947 e il 1950, il pittore visse in Svizzera, dove continuò la sua attività, partecipando a numerose esposizioni che lo resero conosciuto anche a livello internazionale. Le sue opere si caratterizzano per la luminosità e la resa atmosferica, con una particolare attenzione ai dettagli. Tra i suoi soggetti preferiti, Rossi prediligeva i paesaggi marini e le scene di vita quotidiana, ma non mancarono lavori dedicati a interni ricchi di oggetti e colori, come il celebre "La bottega dell'antiquario". L'uso della luce e il contrasto tra luci e ombre sono tratti distintivi del suo stile, che si ispira in parte all'impressionismo. Dino Rossi morì nel 1982Dino Rossi, nato a Bernareggio nel 1904, è stato uno dei pittori italiani più rappresentativi del Novecento. Fin da giovane mostrò una spiccata inclinazione per l'arte, dedicandosi sin dai primi anni alla pittura en plein air, una tecnica che lo portò a catturare la bellezza della natura attraverso la luce naturale. La sua formazione artistica lo vide impegnato in città come Londra e Parigi, dove approfondì il suo stile, immergendosi nelle influenze dell'arte europea moderna. Nel corso della sua carriera, Rossi intraprese numerosi viaggi che lo portarono in vari paesi, tra cui gli Stati Uniti, il Messico e il Brasile. Questi spostamenti arricchirono la sua pittura, che si arricchì di nuove prospettive e tematiche ispirate ai paesaggi e alle culture locali. Tra il 1947 e il 1950, il pittore visse in Svizzera, dove continuò la sua attività, partecipando a numerose esposizioni che lo resero conosciuto anche a livello internazionale. Le sue opere si caratterizzano per la luminosità e la resa atmosferica, con una particolare attenzione ai dettagli. Tra i suoi soggetti preferiti, Rossi prediligeva i paesaggi marini e le scene di vita quotidiana, ma non mancarono lavori dedicati a interni ricchi di oggetti e colori, come il celebre "La bottega dell'antiquario". L'uso della luce e il contrasto tra luci e ombre sono tratti distintivi del suo stile, che si ispira in parte all'impressionismo. Dino Rossi morì nel 1982.
Pur senza una formazione accademica formale, De Bernardi ricevette consigli e stimoli da artisti come Lodovico Cavaleri che, insieme ad altri, lo incoraggiarono a percorrere la strada dell’arte. Dopo questo passaggio decisivo, De Bernardi iniziò a dedicarsi con passione alla pittura, prediligendo il paesaggio e il “genere paese”: per lui le campagne, i borghi, i paesaggi lacustri e rurali del Varesotto e dintorni divennero soggetti ricorrenti. Nonostante la sua base rimanesse Besozzo, viaggiò spesso, anche lungo la riviera ligure, in cerca di stimoli e spunti nuovi. Tra le sue prime affermazioni importanti c’è la partecipazione, nel 1920, alla Biennale di Venezia, con il dipinto intitolato «Nebbie». Da allora la sua carriera prese una piega espositiva regolare: prese parte a numerose edizioni delle Biennali di Venezia, alla Quadriennale di Roma e a molte rassegne nazionali. Nel corso degli anni Trenta, con alcuni lavori, affinò la sua tavolozza, rendendola più luminosa e ricca di vibrazioni, segno evidente dell’influenza del viaggio che fece in Libia: quello fu un momento di svolta per il suo linguaggio cromatico. De Bernardi non si limitò al paesaggio: si confrontò anche con nature morte, scene di paese e scorci urbani. Tra le sue opere più conosciute c’è «Mattino», un paesaggio sereno che rappresenta un borgo immerso in una luce chiara e nitida, esempio della sua capacità di cogliere l’atmosfera del luogo con delicatezza. Dopo la Seconda guerra mondiale si ritirò a vita privata a Besozzo, continuando a dipingere ma limitando le sue partecipazioni pubbliche. Pur vivendo in tempi di profondi cambiamenti nell’arte, mantenne una coerenza stilistica e non si lasciò attrarre da mode di avanguardia, concentrandosi piuttosto sulla sincerità della propria visione. Morì a Besozzo il 13 luglio 1963.
Il suo talento lo portò a perfezionarsi sotto la guida dello scultore torinese Leonardo Bistolfi. Nel 1892, all'età di diciassette anni, si trasferì a Cuneo, dove frequentò la scuola di disegno dell'Istituto Tecnico, continuando a coltivare la sua passione per l'arte. Nel 1894, Piatti entrò all'Accademia di Brera, una delle istituzioni artistiche più prestigiose d'Italia, dove studiò sotto la direzione di Cesare Tallone. Durante gli anni accademici si concentrò soprattutto sul ritratto e sulla figura umana, sviluppando uno stile espressivo che avrebbe caratterizzato la sua carriera. Il suo talento venne riconosciuto nel 1903, quando vinse il Premio Fumagalli alla Triennale di Brera, e nel 1904 ricevette il Pensionato Oggioni, che gli permise di recarsi a Parigi per un soggiorno artistico. A Parigi, Piatti ebbe modo di entrare in contatto con artisti di fama come Giovanni Boldini e di trarre ispirazione dalla vivace atmosfera parigina. Una delle sue opere più celebri di questo periodo è "Sorriso sulla Senna", che esprime la sua affinità con la città e la sua vita sociale. Successivamente, Piatti si trasferì a Roma, dove guadagnò l'ammirazione della regina Margherita, che acquistò alcune delle sue opere. Il suo successo continuò a crescere, e dal 1907 al 1930 partecipò regolarmente alle Biennali di Venezia, esponendo lavori che riflettevano la sua capacità di mescolare una resa emotiva con una ricerca espressiva unica. Opere come "Mia!" (1909), "Fremiti" (1910) e "Carezza buona" (1912) furono esposte in numerosi eventi internazionali, tra cui rassegne a Basilea, Monaco, Buenos Aires, Barcellona e Amsterdam. L'arte di Piatti si distinse per l'intensità emotiva e per una visione della realtà che fondeva la dimensione soggettiva con la potenza delle immagini. Tra le sue opere più significative si annoverano "La Senna al Pont Neuf" (1905), "Goethe e l'origine delle sue Elegie romane" (1906) e "Ascoltando la radio" (1934), che mostrano il suo continuo evolversi, passando dal ritratto alla riflessione sulla modernità e la cultura contemporanea. La sua eredità artistica rimane viva nelle collezioni pubbliche, come quelle della Galleria d'Arte Moderna di Milano, della Pinacoteca di Brera, della Galleria d'Arte Moderna di Udine e del Museo Civico di Cuneo. Antonio Piatti morì il 29 agosto 1962 a ViggiùAntonio Piatti nacque a Viggiù, in provincia di Varese, il 12 giugno 1875. Cresciuto in un ambiente profondamente legato all'arte grazie al padre, lo scultore Domenico Piatti, fin da giovane si avvicinò al mondo artistico, lavorando nella bottega paterna a partire dai dodici anni. Il suo talento lo portò a perfezionarsi sotto la guida dello scultore torinese Leonardo Bistolfi. Nel 1892, all'età di diciassette anni, si trasferì a Cuneo, dove frequentò la scuola di disegno dell'Istituto Tecnico, continuando a coltivare la sua passione per l'arte. Nel 1894, Piatti entrò all'Accademia di Brera, una delle istituzioni artistiche più prestigiose d'Italia, dove studiò sotto la direzione di Cesare Tallone. Durante gli anni accademici si concentrò soprattutto sul ritratto e sulla figura umana, sviluppando uno stile espressivo che avrebbe caratterizzato la sua carriera. Il suo talento venne riconosciuto nel 1903, quando vinse il Premio Fumagalli alla Triennale di Brera, e nel 1904 ricevette il Pensionato Oggioni, che gli permise di recarsi a Parigi per un soggiorno artistico. A Parigi, Piatti ebbe modo di entrare in contatto con artisti di fama come Giovanni Boldini e di trarre ispirazione dalla vivace atmosfera parigina. Una delle sue opere più celebri di questo periodo è "Sorriso sulla Senna", che esprime la sua affinità con la città e la sua vita sociale. Successivamente, Piatti si trasferì a Roma, dove guadagnò l'ammirazione della regina Margherita, che acquistò alcune delle sue opere. Il suo successo continuò a crescere, e dal 1907 al 1930 partecipò regolarmente alle Biennali di Venezia, esponendo lavori che riflettevano la sua capacità di mescolare una resa emotiva con una ricerca espressiva unica. Opere come "Mia!" (1909), "Fremiti" (1910) e "Carezza buona" (1912) furono esposte in numerosi eventi internazionali, tra cui rassegne a Basilea, Monaco, Buenos Aires, Barcellona e Amsterdam. L'arte di Piatti si distinse per l'intensità emotiva e per una visione della realtà che fondeva la dimensione soggettiva con la potenza delle immagini. Tra le sue opere più significative si annoverano "La Senna al Pont Neuf" (1905), "Goethe e l'origine delle sue Elegie romane" (1906) e "Ascoltando la radio" (1934), che mostrano il suo continuo evolversi, passando dal ritratto alla riflessione sulla modernità e la cultura contemporanea. La sua eredità artistica rimane viva nelle collezioni pubbliche, come quelle della Galleria d'Arte Moderna di Milano, della Pinacoteca di Brera, della Galleria d'Arte Moderna di Udine e del Museo Civico di Cuneo. Antonio Piatti morì il 29 agosto 1962 a Viggiù.
All'inizio della sua carriera, Novo si dedicò principalmente all'affresco, lavorando in diverse chiese delle province di Venezia e Padova. In queste opere, la sua pittura si caratterizzò per freschezza, brillantezza e una tecnica ben definita. Successivamente, Novo si dedicò alla pittura da cavalletto, specializzandosi nella rappresentazione di scene di vita quotidiana, spesso ambientate nelle strade e nelle calli di Venezia. Le sue opere sono caratterizzate da una pennellata fluida e luminosa, con una tavolozza ricca e variegata che catturava l'atmosfera della città lagunare. La sua capacità di rappresentare i dettagli architettonici e le scene di vita veneziana con grande precisione gli valse un notevole apprezzamento nel mondo dell'arte. Novo esordì nel 1884 all'Esposizione di Torino con l'opera "Cuore di popolana", ottenendo subito l'interesse del pubblico. Successivamente partecipò a numerose altre mostre, tra cui quelle di Firenze, Milano, Bologna, Palermo, Venezia e a livello internazionale, esponendo a Chicago, Londra e Glasgow. Le sue opere sono state esposte in importanti collezioni pubbliche e private, dimostrando l'ampio riconoscimento ricevuto dalla sua arte. La sua dedizione e il suo talento sono ancora oggi testimoniati dalla grande richiesta delle sue opere nel mercato dell'arte, che continuano a celebrare il suo contributo alla pittura di genere e alla tradizione veneziana. Stefano Novo morì nel 1927.
Nel 1802 si trasferì a Roma per completare la sua formazione, dove fu allievo del paesaggista Luigi Campovecchio e del pittore François Marius Granet. Durante il suo soggiorno romano, entrò in contatto con artisti come Angelica Kauffmann, Antonio Canova, Pelagio Palagi e Hendrik Voogd, arricchendo così la sua esperienza artistica. Nel 1809 tornò a Bergamo, dove lavorò come scenografo presso il teatro Riccardi e il teatro Sociale. In questo periodo, fu nominato professore di paesaggio all'Accademia Carrara, allora diretta da Giuseppe Diotti, con il quale collaborò strettamente. Nel 1815 si trasferì a Verona, dove si affermò come paesaggista di successo, realizzando opere per una committenza internazionale colta. Nel 1819, l'Accademia di Belle Arti di Verona lo nominò accademico d'onore. Nel 1824 tornò a Bergamo, dove sposò Giacinta Ceresoli e divenne socio onorario dell'Ateneo di scienze, lettere e arti della città. Partecipò alla prima delle esposizioni annuali dell'Accademia Carrara nel 1834. A partire dal 1840, la sua pittura si rinnovò, adottando una pennellata più morbida e atmosferica, influenzata dai modelli di Giuseppe Canella e dall'innovativa pittura dell'amico Piccio Carnovali. Ronzoni partecipò alla Prima Esposizione Italiana tenuta a Firenze nel 1861, ma evitò sistematicamente le esposizioni organizzate dall'Accademia di Brera. Morì a Bergamo il 26 aprile 1862 e fu sepolto nell'antico cimitero di Valtesse.
Il suo percorso artistico si sviluppò soprattutto nei campi del ritratto e del paesaggio. Ammirato per la capacità di cogliere la luce e le atmosfere con armonia, realizzò numerosi ritratti per la borghesia e l’alta società monzese e lombarda, molti dei quali confluirono nella raccolta nota come Quadreria dei Benefattori, presso l’ospedale San Gerardo di Monza. Parma non trascurò però il paesaggio: amava raffigurare scorci naturali, ville, angoli di tranquillità, fino a scene montane e vedute lacustri. In molte sue tele emerge una sensibilità attenta all’equilibrio visivo, alla resa dei riflessi, alla modulazione del colore e della luce, che conferiscono alle opere una qualità contemplativa e pacata. Accanto all’attività di artista fu anche educatore: per decenni diresse la scuola di disegno nella sua città natale e insegnò arte decorativa e disegno negli istituti locali. Questo impegno lo consacrò come figura di riferimento nella provincia, capace di trasmettere competenze e passione a generazioni di studenti. La sua carriera attraversò la prima metà del Novecento, un periodo di profondi cambiamenti sociali e culturali, ma lui rimase fedele a un linguaggio figurativo classico, misurato e rispettoso della tradizione. Morì a Monza il 14 novembre 1950Emilio Parma nacque a Monza il 30 giugno 1874 e fin da giovane mostrò una spiccata attitudine per la pittura. Si formò presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove studiò presso la scuola di illustri artisti dell’epoca perfezionando tecnica e sensibilità cromatica. Il suo percorso artistico si sviluppò soprattutto nei campi del ritratto e del paesaggio. Ammirato per la capacità di cogliere la luce e le atmosfere con armonia, realizzò numerosi ritratti per la borghesia e l’alta società monzese e lombarda, molti dei quali confluirono nella raccolta nota come Quadreria dei Benefattori, presso l’ospedale San Gerardo di Monza. Parma non trascurò però il paesaggio: amava raffigurare scorci naturali, ville, angoli di tranquillità, fino a scene montane e vedute lacustri. In molte sue tele emerge una sensibilità attenta all’equilibrio visivo, alla resa dei riflessi, alla modulazione del colore e della luce, che conferiscono alle opere una qualità contemplativa e pacata. Accanto all’attività di artista fu anche educatore: per decenni diresse la scuola di disegno nella sua città natale e insegnò arte decorativa e disegno negli istituti locali. Questo impegno lo consacrò come figura di riferimento nella provincia, capace di trasmettere competenze e passione a generazioni di studenti. La sua carriera attraversò la prima metà del Novecento, un periodo di profondi cambiamenti sociali e culturali, ma lui rimase fedele a un linguaggio figurativo classico, misurato e rispettoso della tradizione. Morì a Monza il 14 novembre 1950.
Successivamente si trasferì a Firenze, dove si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti, frequentando anche gli studi di artisti come Lega e i Tommasi. Durante la sua formazione, entrò in contatto con i principali esponenti del movimento macchiaiolo, tra cui Silvestro Lega, Giovanni Fattori e Telemaco Signorini. Nel 1895, Augusto Rey costruì una villa a Crespina, chiamata "La Favorita", situata di fronte alla villa della donna che amava. La villa divenne un punto di ritrovo per gli artisti dell'epoca, che spesso vi soggiornavano. Rey era noto per la sua abilità nel dipingere paesaggi dal vero, unendosi così alla corrente macchiaiola. La sua produzione artistica è relativamente scarsa, e alcune sue opere sono state erroneamente attribuite ad altri artisti più noti. Una delle sue opere più significative, "La raccolta delle olive", è conservata nel Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno. Questo dipinto, che rappresenta contadine al lavoro in un oliveto, è stato donato al museo nel 1899 per lascito testamentario dell'artista. Museo Civico Giovanni Fattori - LivornoAugusto Rey morì nel 1898.
A 18 anni si trasferì a Padova per studiare disegno sotto la guida dello scultore Luigi Ceccon, grazie anche al supporto del conte Leopoldo Ferri. Nel 1876 si spostò a Firenze per frequentare l'Accademia di Belle Arti, dove approfondì lo studio dei maestri rinascimentali. Due anni dopo, si trasferì a Napoli, dove lavorò con il pittore Domenico Morelli, uno dei principali innovatori della pittura italiana dell'Ottocento. Nel 1881 Laurenti ritornò a Padova, ma fu a Venezia che il suo stile si affinò sotto l'influenza di Giacomo Favretto, uno degli artisti più vivaci del periodo. Durante questo periodo, iniziò a concentrarsi su temi mitologici e letterari, ottenendo riconoscimenti significativi. Nel 1891, alla Prima Esposizione Triennale della Regia Accademia di Belle Arti di Brera, vinse il Premio Principe Umberto con l'opera "Le Parche". Il suo stile si evolse nel corso degli anni, avvicinandosi al simbolismo, come dimostra il suo lavoro "Fioritura Nova", conservato a Ca' Pesaro. Nel 1903, Laurenti realizzò il grande fregio "Le statue d'oro" per la ditta ceramica Gregorj di Treviso, che fu presentato alla Biennale di Venezia dello stesso anno. Nel 1907 gli fu dedicata una sala personale alla Biennale di Venezia e partecipò alla commissione per la ricostruzione del campanile di San Marco. Laurenti fu anche coinvolto nella realizzazione della Pescheria di Rialto, completata nel 1908, dove collaborò con l'architetto Domenico Rupolo. Cesare Laurenti morì a Venezia il 8 novembre 1936, lasciando un'impronta indelebile nel panorama artistico italiano, testimoniata dalle sue opere che continuano a essere apprezzate per la loro bellezza e profondità culturale.
Qui seguì i corsi di maestri come Vespasiano Bignami e Cesare Tallone, che ne influenzarono sensibilmente la formazione artistica e lo avviarono verso la ritrattistica. All’inizio della sua carriera, Alciati mostrò una predilezione per atmosfere romantiche e sfumate, con tinte delicate e una resa morbida delle figure. Con il tempo, il suo stile si evolse verso una pennellata più decisa e un cromatismo più vivo, pur mantenendo una grande sensibilità nella descrizione dei soggetti. La sua dote maggiore fu la capacità di cogliere non solo l’aspetto esteriore ma anche l’anima dei ritratti: donne e uomini borghesi, figure eleganti e ambienti raffinati divennero spesso protagonisti delle sue tele, richieste da una committenza milanese di alto livello. Alciati riuscì a imporsi come uno dei ritrattisti italiani più apprezzati dei primi decenni del Novecento. Partecipò regolarmente a importanti esposizioni, tra cui le Biennali di Venezia e le mostre milanesi, e nel 1920 ottenne la cattedra di disegno della figura all’Accademia di Brera, succedendo a Tallone. In questa veste, contribuì alla formazione di una nuova generazione di artisti, trasmettendo competenza tecnica e attenzione psicologica al ritratto. Oltre ai ritratti realizzò anche affreschi in ville e chiese lombarde e alcune scene di genere. I suoi lavori, oggi conservati in collezioni pubbliche e private, testimoniano una capacità di fondere la tradizione figurativa con una sensibilità moderna e vibrante. Morì a Milano il 7 marzo 1929.
Ponga si dedicò a vari ambiti artistici, tra cui la pittura murale, la miniatura e l'acquerello. Tra i suoi lavori più celebri si ricordano le decorazioni del Palazzo del Parlamento di Budapest e quelle del caffè "Quadri" a Venezia, che ornano i portici di Piazza San Marco. La sua capacità di fondere elementi classici con un tocco personale lo ha reso uno degli esponenti di spicco della pittura veneziana del suo tempo.
Le sue opere furono esposte anche all'Esposizione Universale del Centenario di Buenos Aires nel 1910 e all'Esposizione Nazionale di Belle Arti di Brera nel 1912. Dal Bò espose inoltre a Parigi, Düsseldorf e Londra, ottenendo riconoscimenti per la sua capacità di catturare l'essenza della sua città natale. Una delle sue opere è conservata presso la Galleria Marangoni di Udine. La sua produzione artistica comprende paesaggi lagunari, vedute urbane e nature morte, caratterizzate da una tavolozza cromatica delicata e da una pennellata fluida.
Dopo aver completato gli studi nel 1883, ottenne la patente d'insegnante di disegno, iniziando così la sua carriera artistica. Nel 1887 partecipò alla Mostra Nazionale di Venezia, esponendo alcune opere che riscossero successo, come "In attesa del marito", "Verso sera" e "Ti me ne conti de bele!". Nello stesso anno, sposò Maria Solveni, originaria di Mira, e continuò a perfezionare la sua arte, realizzando anche una tela raffigurante San Biagio per la chiesa parrocchiale di Barcon. Nel 1895 partecipò alla Prima Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, dove espose l'opera "Sola al mondo", acquistata dal conte Filippo Grimani. Due anni dopo, partecipò alla Seconda Esposizione Internazionale, presentando il dipinto "Angosce". Durante questo periodo, Tessari si dedicò anche al ritratto e all'acquerello, realizzando opere come il "Ritratto del pittore Placido Fabris" e il "Ritratto della Regina Margherita", che gli valsero l'elogio per la sua abilità tecnica e la sensibilità emotiva. Nel 1908 si trasferì a Mira, dove proseguì la sua attività artistica, realizzando numerosi ritratti per importanti famiglie locali. Nel 1911 collaborò con il decoratore Silvio Trentin per la realizzazione del soffitto della chiesa di Gambarare, decorato con la scena "La Gloria di San Giovanni Battista". Nel 1924 organizzò una mostra personale a Castelfranco Veneto, esponendo ben 44 opere che furono molto apprezzate. Vittorio Tessari morì il 17 marzo 1947 a Mira.
La sua carriera si distinse per la produzione di paesaggi in stile romantico, caratterizzati da una rappresentazione intima e quotidiana della natura. Nel 1829, Bisi intraprese un viaggio di studio a Roma, che gli fornì l'ispirazione per una serie di dipinti ambientati nel Lazio. Al suo ritorno a Milano, consolidò la sua reputazione e nel 1838 fu nominato professore di pittura del paesaggio all'Accademia di Brera, incarico che ricoprì fino al 1856. Durante la sua carriera, Bisi ottenne numerosi riconoscimenti e i suoi lavori furono apprezzati da committenze aristocratiche e borghesi, sia italiane che straniere. Tra le sue opere più note si annoverano "Veduta di Genova dall'alto" (1825), "Veduta del porto di Genova" (1826), "Veduta di Castel Gandolfo" (1830) e "Veduta di Torno" (1860). La sua produzione artistica si distingue per l'accuratezza nella rappresentazione dei paesaggi e per l'atmosfera romantica che permea le sue opere. Giuseppe Bisi morì a Varese il 28 ottobre 1869.
Durante gli studi, risulta determinante l’incontro con il professor Gianluigi Rocca, che lo guida alla scoperta di una sensibilità e di una cura nel segno – e nel disegno – che da allora diventano centrali nella sua ricerca. !!!Il suo percorso artistico nasce da una prolungata osservazione del cielo, da una riflessione sulla noia, sulla lentezza delle cose e su quell’abitudine dimenticata di alzare lo sguardo e semplicemente fermarsi. I movimenti del cielo si trasformano così in sospiri tracciati su carta: una scrittura fatta di segni che si sfiorano, si allontanano, svaniscono, alla ricerca di un paesaggio interiore e silenzioso. Ispirata dalle incisioni di Piranesi, dall’opera di Dadamaino e da letture di Bernhard, Moravia, Dostoevskij e Pessoa, la sua ricerca prende la forma di una cartografia immaginaria: il cielo si capovolge lentamente diventando terra – isole viste dall’alto. Questo ribaltamento dello sguardo coincide con un’evoluzione tecnica, che trasforma le lastre in negativi. In esse, il segno non rappresenta più qualcosa di definito, ma diventa protagonista nel tracciare le incertezze del proprio muoversi, lasciando memoria del passaggio. Attraverso un agire disinteressato – privo di finalità – il segno si fa sismografo di un gesto in parte inconsapevole, guidato dall’osservazione di micromondi: cute, involucri, superfici. In questo processo emerge progressivamente la sensazione che qualcosa si muova al di sotto della superficie visibile, come in un tentativo di affiorare. È in questa sottile tensione tra volontà e incertezza che si riconosce il senso della sua ricerca: non un percorso lineare o finalizzato, ma un vagare, un errare. Una pratica che rinuncia all’illusione di sapere in anticipo cosa cercare, cosa voler trovare. Nel 2022 riceve una menzione d’onore al Premio Equita e nel 2023 viene selezionato tra gli artisti in evidenza al Premio Cramum. «Contro la mia volontà sono istruito e così in realtà neppure so quali pensieri sono i miei e provengono da me, e quali li ho letti». Bohumil Hrabal, Una solitudine troppo rumorosa
Tuttavia, a causa di gravi problemi di salute, fu costretto a interrompere la sua carriera musicale e tornò a Cornuda, dove si avvicinò alla pittura come autodidatta. Nel 1889 si trasferì a Venezia, dove strinse amicizia con l'artista Alessandro Milesi e partecipò per la prima volta a una mostra alla Promotrice di Torino. Da allora, la sua carriera artistica decollò, partecipando alle Esposizioni Internazionali d'Arte di Venezia a partire dal 1895. Nel 1900 ricevette un importante riconoscimento con il Premio Principe Umberto all'Esposizione di Brera e, l’anno successivo, una medaglia d'oro all'VIII Esposizione Internazionale d'Arte di Monaco. Nel 1903, il mercante d'arte Ferruccio Stefani organizzò una mostra personale itinerante che toccò città come Buenos Aires, Montevideo e Valparaíso. Le sue opere furono esposte nuovamente a Buenos Aires nel 1910, in occasione dell'Esposizione Internazionale d'Arte del Centenario, e lo stesso anno, la Biennale di Venezia gli dedicò una sala con ben quarantasei opere. Nel 1924 si trasferì a Milano, dove l'anno successivo allestì una personale alla Galleria Pesaro. Nel 1940, a pochi mesi dalla sua morte, la Biennale Internazionale d'Arte di Venezia gli dedicò una retrospettiva curata dal figlio Carlo, anch'egli pittore. Francesco Sartorelli morì l'8 aprile 1939 a Udine, lasciando un'importante eredità nel panorama artistico italiano, caratterizzato dalla sua pittura paesaggistica che ebbe una grande risonanza a livello internazionale.
Qui si formò sotto la guida di Michelangelo Grigoletti, Carlo De Blaas e Pompeo Marino Molmenti, terminando i suoi studi nel 1866 con ottimi risultati. Nel 1869, Bordignon aprì uno studio a Venezia, dove iniziò a concentrarsi sulla pittura di genere, rappresentando scene quotidiane della vita veneziana. Le sue opere, sebbene ancorate alla tradizione pittorica veneta, si caratterizzavano per una particolare freschezza e un realismo che seppe coniugare tradizione e innovazione. La sua arte lo portò anche a dedicarsi alla realizzazione di affreschi e pale d'altare, contribuendo al patrimonio artistico di numerose chiese venete. Nel corso della sua carriera, Bordignon ricevette vari riconoscimenti, tra cui una borsa di studio che gli permise di perfezionarsi a Roma. La sua produzione artistica, sensibile e accurata nel ritrarre la vita popolare, gli permise di guadagnarsi un posto di rilievo nel panorama pittorico dell'epoca. Morì il 7 dicembre 1920 a San Zenone degli EzzeliniNoè Raimondo Bordignon nacque il 3 settembre 1841 a Salvarosa di Castelfranco Veneto, da una famiglia modesta. Sin da giovane, dimostrò un grande interesse per l'arte, e grazie al sostegno di personalità locali, poté trasferirsi a Venezia nel 1859 per studiare all'Accademia di Belle Arti. Qui si formò sotto la guida di Michelangelo Grigoletti, Carlo De Blaas e Pompeo Marino Molmenti, terminando i suoi studi nel 1866 con ottimi risultati. Nel 1869, Bordignon aprì uno studio a Venezia, dove iniziò a concentrarsi sulla pittura di genere, rappresentando scene quotidiane della vita veneziana. Le sue opere, sebbene ancorate alla tradizione pittorica veneta, si caratterizzavano per una particolare freschezza e un realismo che seppe coniugare tradizione e innovazione. La sua arte lo portò anche a dedicarsi alla realizzazione di affreschi e pale d'altare, contribuendo al patrimonio artistico di numerose chiese venete. Nel corso della sua carriera, Bordignon ricevette vari riconoscimenti, tra cui una borsa di studio che gli permise di perfezionarsi a Roma. La sua produzione artistica, sensibile e accurata nel ritrarre la vita popolare, gli permise di guadagnarsi un posto di rilievo nel panorama pittorico dell'epoca. Morì il 7 dicembre 1920 a San Zenone degli Ezzelini.
Trovaso, contribuendo così alla ricca tradizione artistica di questa città lagunare. La sua giovinezza fu segnata da sfide economiche a causa della malattia del padre, che lo spinsero a iniziare a lavorare come tabaccaio nei pressi di S. Simeone. Tuttavia, la sua passione per l'arte lo spinse a perseguire una carriera artistica. A soli tredici anni, il 15 novembre 1869, Alessandro si iscrisse all'Accademia di belle arti di Venezia, un importante passo nella sua formazione. Qui studiò con impegno e ottenne risultati lodevoli, come attestato dai documenti conservati negli Archivi dell'Accademia. Il suo percorso artistico lo portò successivamente a Verona, dove seguì il suo insegnante Napoleone Nani. Grazie all'aiuto di Nani, ottenne commissioni importanti, tra cui il dipinto del soffitto di una chiesa a Isola della Scala e altri lavori significativi. Tornato a Venezia, Alessandro Milesi creò opere notevoli, tra cui i ritratti del padre e della madre, esposti in importanti gallerie d'arte. Espose in diverse mostre nazionali ed internazionali, guadagnandosi una crescente reputazione. Le sue opere spesso rappresentavano scene di vita quotidiana veneziana, con gruppi di persone intente al lavoro o alla conversazione, influenzate dalla tendenza artistica di quegli anni. Le sue composizioni richiamavano l'attenzione di collezionisti e artisti stranieri. Nel 1886, Alessandro Milesi si sposò con Maria Ciardi, anch'essa proveniente da una famiglia di artisti. Continuò a dipingere con passione, realizzando ritratti e opere di grande impegno sociale. Partecipò regolarmente alla Biennale di Venezia, esponendo diverse opere che ottennero apprezzamento e premi. Il suo contributo all'arte veneziana fu significativo, con opere che riflettevano la vita e la cultura della città. Nel 1934, realizzò una pala d'altare per la chiesa di S. Teresa a Venezia, una delle rare opere a soggetto religioso della sua carriera. Alessandro Milesi trascorse gran parte della sua vita a Venezia, contribuendo in modo significativo alla scena artistica della città. Morì il 29 ottobre 1945 a Venezia, lasciando un eredità duratura nel mondo dell'arte veneziana. Le sue opere continuano a essere ammirate e studiate per la loro bellezza e autenticità.
Nel 1872, grazie al supporto del suo insegnante, ottenne un sussidio che gli permise di approfondire la sua formazione artistica, segnando l'inizio di una carriera brillante. Boschi si distinse presto nel panorama artistico. Nel 1872 partecipò alla Mostra Triennale d'Incoraggiamento con il dipinto "Savonarola al letto di morte di Lorenzo de' Medici", una prima opera che lo mise in evidenza. Nel 1875 si trasferì a Roma, dove proseguì i suoi studi all'Accademia di San Luca e si immerge nell'ambiente artistico romano, abbracciando la pittura storica e religiosa. Durante questo periodo, la sua pittura si arricchì di intensi riferimenti emotivi e un forte impatto tecnico. Il suo capolavoro assoluto è la grande pala d'altare commissionata per la Chiesa di San Cataldo a Modena, che testimonia la sua maestria nell'affresco e nella composizione. Altri lavori significativi includono la pala d'altare per la Chiesa di San Giovanni Valtidone e una serie di ritratti di figure illustri del tempo, che evidenziano la sua abilità nell'interpretare l'animo umano. Boschi fu anche un apprezzato insegnante e contribuì alla formazione di nuove generazioni di artisti, lasciando un'impronta duratura nel panorama dell'arte italiana del XIX secolo. Le sue opere, custodite in numerose collezioni pubbliche e private, continuano a essere oggetto di studio e ammirazione, rendendo Achille Boschi una figura centrale nell'arte modenese e nazionale. Morì a Modena il 30 giugno 1930.
Un suo dipinto, "Tramonto d'estate", fu acquistato dal Re, altri si trovano all'estero. Nella raccolta del comm. Agnelli di Torino trovasi "Tramonto", eseguito con tecnica divisionista tecnica abbandonata poi dall'artista per una più personale, dalla pennellata larga e grassa. Si citano ancora del pittore Angelo Pavan: "Pensiero lontano", presso l'autore; "Pescatore", proprietà del signor Ettore Piatti di Milano; "Autoritratto"; "Interno di osteria"; "Mercato"; "Paesaggio", alla Galleria d'Arte moderna di Milano. Note biografiche tratte dal Dizionario Illustrato dei Pittori, Disegnatori ed Incisori Italiani A. M. Comanducci.
Dopo aver vissuto per molti anni a Milano, si trasferì a Maniago e poi definitivamente a Cividale, dove la sua arte trovò nuove ispirazioni. Nussi si avvicinò al movimento divisionista, una corrente che poneva l'accento sull'uso di colori puri e sulla pennellata separata. Tuttavia, la sua arte non si limitò a riprodurre pedissequamente le influenze del movimento; egli sviluppò una sua personale interpretazione del paesaggio, in particolare di quello friulano, che si rivelava nelle sue opere come un paesaggio filtrato attraverso la sua sensibilità e intelligenza. Le sue tele raccontano una natura che Nussi sapeva osservare con una profondità straordinaria, riuscendo a restituirne l'intensità emotiva e visiva. Nel corso della sua carriera, partecipò a numerose mostre personali sia in Italia che all'estero, in città come Milano, Udine e in Svizzera, dove le sue opere furono molto apprezzate. Nussi si distinse per la capacità di unire tradizione e innovazione, fondendo la rappresentazione della natura con un linguaggio pittorico personale, che lo rese una figura importante nel panorama artistico del suo tempo. Arnaldo Nussi morì nel 1977 a Cividale del Friuli, lasciando un’eredità che continua a suscitare ammirazione per la sua unicità e il suo raffinato approccio alla pittura.
L’anno seguente partecipò alla sua prima mostra insieme a un gruppo di giovani pittori che cercavano nuove strade espressive, e da quel momento iniziò un percorso di crescita costante. Dopo un periodo di studi a Firenze, città che contribuì a raffinare il suo senso della forma e dell’armonia, Disertori si trasferì a Padova nel 1922 per insegnare pittura presso la scuola d’arte locale. Divise per molti anni la sua attività tra Padova e Venezia, alternando l’insegnamento alla ricerca personale. Questa doppia appartenenza gli permise di fondere due approcci: la misura e la struttura della tradizione toscana con la luminosità e le atmosfere diafane della pittura veneta. La parte più significativa della sua produzione è legata al paesaggio. Disertori amava dipingere all’aria aperta e rappresentare colline, campagne, borghi silenziosi, rive di laghi e tratti della Riviera ligure. La sua attenzione si concentrava sulle variazioni della luce, sui cambiamenti delle stagioni, sui passaggi tonali che suggeriscono quiete e profondità. Nel tempo la sua tavolozza si fece più chiara e limpida, con colori luminosi e ben modulati che caratterizzano le opere della maturità. Accanto ai paesaggi realizzò nature morte, scorci rurali e qualche figura, mantenendo sempre una predilezione per l’equilibrio compositivo e per un uso del colore che trasmette sobrietà e serenità. Partecipò a numerose esposizioni, incluse diverse edizioni della Biennale di Venezia e varie rassegne regionali, consolidando il suo nome nel panorama artistico del Triveneto. Mario Disertori morì a Padova nel 1980.
La sua carriera artistica fu fortemente influenzata dalla sua permanenza a Venezia, iniziata nel 1880 dopo aver trascorso alcune settimane nella città della laguna. A Venezia, Brugnoli entrò in contatto con artisti del calibro di Tito, Serena, Favretto e Milesi, e si dedicò principalmente alla rappresentazione di vedute e paesaggi lagunari. La sua abilità straordinaria nell'uso dell'acquerello divenne evidente, definendo gran parte della sua produzione artistica. Nel 1861, si recò a Londra per partecipare all'Esposizione degli acquerellisti italiani, e da allora partecipò a numerose mostre internazionali. Nel 1886, prese parte alla Promotrice fiorentina, seguita nel 1888 dalla partecipazione all'Esposizione Emiliana di Bologna. La sua presenza alla Biennale di Venezia fu notevole, partecipando alla seconda edizione nel 1899 e a quelle successive dal 1901 al 1907 e dal 1920 al 1934. Nel 1912, Brugnoli ottenne il titolo di professore di acquerello e incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, dirigendo la Scuola Libera di Incisione fino al 1932. Nonostante la sua fama fosse principalmente legata agli acquerelli, dimostrò grande passione anche per l'acquaforte, prendendo ispirazione soprattutto da James McNeill Whistler. La sua notorietà crebbe ulteriormente grazie all'acquisto da parte dell'Imperatore di Germania Guglielmo II di uno dei suoi acquerelli, "Un canale di Venezia". Brugnoli continuò a esporre regolarmente alle Internazionali veneziane, guadagnandosi l'attenzione critica per la sua maestria artistica. Emanuele Brugnoli si spense a Venezia il 22 marzo 1944, lasciando un lascito duraturo nel mondo dell'arte, soprattutto per la sua abilità distintiva nell'uso dell'acquerello e dell'acquaforte.
Natura morta con fiori
Cabina di Entreves Courmayeur
Asino e pecore
Pittore, nato a Malaga il 28 marzo 1860. Fece i pr
Lavandaie lungo il Tevere
Frazione di Novalesa, Val di Susa (TO)
Lungo il sentiero
La vendemmia
Signora in giardino
Canale a Venezia
Campagna Livornese
La pastorella
Porto all'imbrunire
Suora a riposo
Lettura
Fermata del tram
Il Gattamelata
Innocenza (1918)
Baite nella neve
Le tre sorelle
Oleandri
Marina ligure
Raccolta di fiori
Lo scherzoso ''trittico''
Cane Da Caccia
Pesche
Allo specchio
Piazza delle Erbe Verona
La singolarità del tordo
Marina di Pozzuoli
Giardino fiorito
La famiglia del pescatore 1889
Il gendarme
Preghiera nei pressi del lago di Garda
Bel visetto
Roseto sul lago di Como
I due Gattini
Esposto all'ottantunesima annuale promotrice di To
L'Amore
Baite montane
Giornata d'estate
I due levrieri
Les Arnauds
Mergellina
Manzoni
Les Champs Elysees 1876
Suonatore di cornamusa
Il vestito rosso
Marina meridionale 1942
Cap Martin
Marina
Lezione di Pianoforte
Villa Donna Anna Napoli
Pescatore di Amalfi
Ritorno dai campi per desinare
Castel Delfino, Val Varaita (CN)
Lungo il Tevere datato Roma 1881
Paesaggio
1903
Chiesa vecchia Macugnaga
Marina a Sanremo
Pascolo al tramonto
In Laguna
Strada d'inverno
Scena familiare
Mamma
Dipinto al retro.
Pascolo in Val d'Aosta
Baruffa
Marina, 1916
La partenza
Paesaggio montano
Oberland Bernese visto da Wengen Alp
1877
Pescatori nel Golfo di Napoli
L'amore di una madre
Nella stalla
Natura morta con rose
Infanzia 1926
La battaglia
Paesaggio rurale
Dante Alighieri
Festa di paese
Il piumino
Al crepuscolo
Paesaggio con figura
Datato 1891
Parere favorevole per l'autenticità dal Prof. Arch
La Sosta Nascosta Nel Parco
Fiori
Pescatore sarnese (Napoli 1879)
Scena di battaglia
Poltrona
Giardino sul mare
L'amico nello studio 1938
Sistemando le reti a Chioggia
Scena di vita Quotidiana 1875
Naufragio
Veduta di Castel Sant'Elmo
Anfora
Il Porto Di Trieste
Raccolta d'arte Chiaranda
Tramonto sul mare
Il pescatore
Galanteria
Ultima neve
Vesuvio visto da Pozzuoli
La presa di Gorizia 1916
Pascolo
Lavorando la terra
Melodie
Nel cortile della masseria
Fortezza Vecchia a Livorno
Sosta (vicino al campo)
Via Caracciolo Napoli
Porto veneziano
Pascolo al Breiul (Monte Cervino)
Esposto alla personale di Silvio Consadori a Meran
Artista Meglio conosciuto per le sue scene luminos
Barche tra gli scogli
Dipinto eseguito dal vero nel 1942 ( etichette di
alba in carnia (1944)
Per il sentiero
Meditazione
Alba mistica
In campagna
La pesca
L'eco visibile
Conigli
Vaso con fiori
Scogliera, 1921
Sulla spiaggia
Paese montano
Carnevale
Donne fuori dalla Chiesa
La pastorella 1894
Soldato che cuce
Vele a Venezia
Natura morta con rose bianche
Maternità 1939
Temporale imminente
Nobildonna in giardino
Scugnizzo
La damigella
Neve ad Arcesaz Val d'Ayas
Il ventaglio
Viale cittadino
Sole di Aprile
Giornata ventosa
Figura femminile
Rose
Arena di Verona
Identità nascoste 2
Alla fontana
Ritratto di fanciulla
La morte del pulcino 1881
Visita Al Colosseo
Piazza delle Erbe
Piegando le reti (1929)
Vaso di fiori
Carrozze a Firenze
Pastorello
Pascolo sul mare
Amalfi
L'ora del the
Meriggio d'inverno Val Vigezzo
Castel Sant'Angelo Roma
Profeta
Pescatori in laguna
Il barcaiolo
Il cacciatore
Campagna Bolognese
Santa Maria maggiore Verbania
Pensieri
Confidenze sulla spiaggia
Processione
La mungitura
Il ruscello
Laghetto alpino
Provenienza collezione privata pubblicato colori p
Le scale
Palazzo Ducale
valâ germanasca
Il Corteggiamento
Venezia
In preghiera
Vicolo del Giardino
Identità nascoste 1
Nudo femminile
Sestriere il monte Chaberton
Tre grazie
Vicolo di Napoli
Pescatore in Laguna
Tutto Si Sveglia e Canta
Balme - Val d'Ala
Giardino villa signorile
Stanchezza
Fiera a Villore ( Mugello ) 1942
Maternita'
Pascolo in alta valle
Via di paese1930
Filando la lana
Ventimiglia 1888
Portatrice d'acqua
Idillio nella campagna romana
Bardonecchia Vecchio Borgo
Il parco della Reggia di Venaria Reale
Porto di Savona 1954
Scorcio sul lago
Mercato a Torino
Firenze Duomo E Campanile Veduto Da Piazza Dell'Or
Natura morta
Sesto Calende (1910)
Mercato di piazza Venezia
Apokà Lypsis 2
Sicilia
Famiglia romana
Lago di Misurina ( Belluno ) 1893
Chiesa di San Bartolomeo (1860) Bergamo
Pescatori
Vaso
Firenze La Cattedrale
Paesaggio Ligure
La fuga
Nei pressi di Cogne
Invito in villa
Paesaggio innevato
Adele (1865)
Mezzobusto Autoritratto
Canale Chioggiotto
Pascoli Sul Cervino
Via Gaeta Roma 1928
Il cervino 1919
Gioa e dolore
La pausa
Spettegolando in campagna
Donna in rosa
Temporale
Dipinto simile si trova nella Galleria d'arte mode
Per la via
Riposo all'ombra
Sole sul Cervino
Menestrella
Olio su tela cm 60x91 firmato in basso a dx Camona
Veduta di Lecco nel 1872
Porto a Livorno
Ritratti/Connessioni 2
Giovinezza
La grande Roche '
Angolo della Liguria
Cani da caccia
La colonna di San Marco a Venezia
Nubi
Il monte Rosa
Lettura del Giornale1885
Ninfe al bagno
Fasano verso Vallombrosa
La fanciulla dai capelli biondi
Al rifugio
Nei pressi del Colosseo
Alpeggio in val d'Aosta
Mercato oltre il Ponte di Rialto Venezia
Bagno Pompeiano
Transumanza
Vigilia di Natale
La fioraia di Verona
Paesaggio nei pressi di Pinerolo
La famiglia
Ombre sul lago
Battistero di San Giovanni Firenze
Frutti
Il bouquet
Madre e figlia
Ritratti/Connessioni 1
Vicolo di paese
Castel Sant'Angelo 1889
Fuori dalla villa 1864
Stendendo i panni a Chioggia
La purezza
Ragazza Lecchese
I funghi porcini
Via Ghibellina Firenze
L'arrivo a Mandello
Paesaggio svizzero
Ragazza tra le spighe
Ritratto femminile
Il desto del cucire
In Posa 1925
la processione 1872
Isola Pescatori
Il Monviso
Composizione floreale
L'aratura sul lago di Garda
Adorazione
Confidenze1890
1923
Riva degli Schiavoni a Venezia
Interno con figura
Colori d'estate
Esposto alla II Mostra Nazionale del bambino nell'
La marcia dei Garibaldini
Venditore ambulante Venezia 1883
Scena familiare 1937
Paesaggio al tramonto 1924
Autoritratto 5
Ritorno dall'alpe
Cucendo, 1872
Verso la sera, 1925
Carnevale a Venezia
Nei pressi del Castello di Ussel, visto da Saint V
Il gondoliere
Gentiluomo
Bel viso
Maddalena
Scena famigliare
Lugano da Cureggia
Val Paradiso
Tormenta sul Monte Bianco
Tramonto nei pressi di Pinerolo
Notturno in Val D'Aosta 1918
La ballerina
Baite a Valeggio Vanzone
Il bagno
Alle falde del Rosa
L'eleganza
La punta di Bellagio vista da Nobialllo, Lago di C
Chiesa di Santa Croce e Monumento a Dante Alighier
Ricordo d'una sera d'autunno (Milano 1915)
Autoritratto 4
Lungo il fiume 1926
Giornata di sole 1898
Ritratto di Nobildonna
A Gustavo
Ius primae noctis (Il diritto feudale)
La massaia
Vasi
Luci e Ombre a Ottobre 1928
1870
Nel cortile
Paesaggio autunnale
Sottobosco
Il fiocco rosso
Macugnaga fondo valle
Le due suore
Verona ''Le casette di S. Alessio''
Casa Branca Torino 1912
Alpi Rosenstein
Pascolo all'abbeverata
Studio pittorico
Il Cervino 1928
Fanciulla
Vele in Laguna
1918
Figure Veneziane
Ginestre in fiore
1885
Borgo in alta valle 1876
Portofino, La Calata 1921
In riva al lago
Lago di Como 1885
Scogliera sul mare
Caccia al cinghiale
L.
Case sul Sesia
Monte Bianco
I fratellini
Tramonto
Baite in alta montagna
Le lavandaie
Autoritratto
Primavera 1928
Abside dei Frari Venezia
Le Rose
Il Gruppo del Brenta
Al mercato
Modena ''La Cattedrale'' 1938
La casa del Tasso
Il coniglietto
Cima del Monte Rosa
Il drago alato di Villa Borghese
Nebbia sul Cervino
Paesaggi
Via di paese
Scogliera Ligure
Tulipani a Venezia
Ponte Pietra a Verona
Lago di Lecco
Al lago 2
Veliero
Nevicata lungo il fiume Mella
Belvedere Lago d'Omegna
Giardino Villa Semenza
Sugli Scogli
1912
Le curiose
Fiume Serio
All'imbrunire
Neve in Valtournenche
In carrozza
Golfo di Napoli 1898
Un angolo di Malcesine 1911
Spiaggia d'inverno
Capri
Lago di Mantova
Il Monte San Salvatore Lago di Lugano
Una fuga di ladri
Giorno di Mercato
La Casa del Tasso
1926
Porticiolo di lago
La pecora solitaria
Piazza dei Signori a Vicenza
Duomo di Vigevano
Pascolo alpino
Alberi fioriti 1921
Venezia, Campo San Giovanni E Paolo
Nubifragio a Palazzo Donn 'Anna 1839
Ritratto di nobiluomo
Al lago 3
Rustico montano
Nevicata 1932
Verso il pascolo
Capolavoro del pittore Leonardo Roda, Cornice su m
1948
L'Arc Naturel de la Figueirette
Paese Ligure
Veduta Meridionale 1834
Ragazza della Riviera
Nudo Orientale
Veduta di Omegna (lago d'Orta)
Lavando i panni
Quiete Di Pascoli (Sul Monte Rosa)
Natura morta con peonie
Vecchie case a Bogliasco
Il pifferaio
Camminata tra la neve
1895
Pascolo all'imbrunire
Datato 1926
Raccolta dei fiori
Autunno Sul Monte Rosa
Giornata di sole a Forno (1879)
Lo stagno
Connessioni 6
Campagna fiorentina
Lavorando nei campi
Gruppo di soldati
Giovane Violinista
Veduta di lago
Nel convento
Ciliegie
L'inizio della Battaglia
Il bacio
Rientro a casa
Chiaro di Luna
Angolo fiorito in paese (Magreglio)
Neve di montagna
Omaggio a Carra' Lungo la riva
La zelada
Risveglio
Il lago di Garda
Chiesetta degli Alpini Cervinia
Amore
1864
Ave Maria a Buttogno
Nel Porto 1888
1902
Il Cervino
Scopetino Agosto, 1900
Lago Maggiore
Paesaggio lacustre
La Presolana parete nord 1936
La poppata 1905
Scena di cortile
Pianura di Vallate
Frattura
Laghetto Alpino
Pecetto Macugnaga
Via di paese - 1932
Chiacchiere
Dintorni di Cortina d'Ampezzo
Pascoli
Canale Vena a Chioggia
La reggia (paesaggio sardo)
Imbarcazioni 1888
Al pozzo
La cima del Monte Bianco
Chioggia
Lago Lombardo
Santa Maria dei Miracoli Milano
Paesaggio Montano
Pescatori in Laguna
Scena pompeiana (1873)
Aspettando
Rustico a Rovenza (Lago Di Como)
Cavalli alla stanga
Bozzetto per affresco
Paesaggio orientale
La carica
Esposizione Biennale di Venezia del 1935
Pomeriggio d'autunno
Antica corte
Studio di fiore
Giornata estiva
Giornata di caccia
Adolescente addormentata
Paesaggio Bellunese
Interno con figura (1896)
Scorcio di lago
Selvaggina
Composizione di soldati
Spannocchiatura del grano
Cucinando (Magreglio)
Pompeiana
Val Vigezzo
Pascolo ai piedi del Cervino
Passeggiata lungo il viale
Costiera ligure
Bellagio
Il Naviglio a Milano
Il Duomo di Como
Ricordi
Veduta lacustre
Ie Sorelline
Battaglia
Lavoro nei campi
Dalla mia Altana Parma
Paesaggio montano con figura
Pubblicato a colori pag. 160 sulla monografia di A
Vicolo di Sanremo
Scorcio di Pavia
Nevica
Chiesa Lombarda
Paese Friulano
Autoritratto dell'artista Francesco Netti
Ultime luci del giorno
Cavalli da tiro
Studio con fiore 2
Laghetto col monte Rosa
Ai margini del bosco
Al pascolo
Cimon della Pala ( TN )
Via di paese 1920
1914
Veduta di Mantova1901
Una via di Milano
Bagnanti a Maderno, lago di Garda
Ponte degli Angeli a Vicenza
Alla festa del paese
Sentiero innevato
Interno del giardino del pittore Delleani
Notturno
Mercato Porta Palazzo a Torino
Baite in Val Vigezzo
Dolce riposo
Leggerezza
Casolare
La bella contadina
Galoppo
Nevicata a Besano
Il vecchio Ponte sul Ticino (Pavia)
Diurno e Notturno (Dittico)
Lavando i panni in Val d'Aosta
Scena d'interno
Breuile Cervinia 1926
Campagna lombarda
Carrozze e Cavalli
Contadinelle nella campagna Veronese
Colline veronesi
Piazza stazione Treviso
Ragazza Veneziana
Tramonto in Val Vigezzo
Nel pascolo
Covoni di fieno
Baita fiorita
Riva di Ripetta Roma
In campagna sotto gli ulivi
Mercatino a Palermo
Sulla spiaggia di Bordighera
Esposto in mostra del 1956 Palazzo della Loggia BS
Preghiera
Contadini
Colori d'autunno
1915
Rosengarten
Costa Ligure
Mattino in Laguna
La botte
Canal Grande a Venezia
Cervino al tramonto
Chiaro di luna
Paese in Val d'Aosta
Non ho nulla da nascondere
Lo scioglimento dei ghiacciai
Nell'aia
Santa Maria della Salute a Venezia
Il bagno sul fiume
Verso sera
Lago del Gran San Bernardo
Campagna nei pressi di Pinarolo
Il vestito bianco
Scena Decameron del Boccaccio
Contadinella sull'albero
Paesaggio a Creys
foro Trajano
La pineta di Ardenza a Livorno
Chiesa di Santo Stefano in Borgogna (Milano) 1858
Cure Materne
Pascolo Ai Piedi Del Cervino
L'isola Bella
Passeggiata
Gioie familiari
Festa di paese nel Veronese
Passeggiata di campagna
Carrozza al Galoppo
Lago dei quattro Cantoni Svizzera
Il brigante
L'intravisto
Tramonto a V... 1942
Ritorno dal lavoro
Scena pompeiana
Pilas val d'Ayas
Fasano Lago di garda (Maggio 1928)
Valtournenche (Valle del Torrente)
Vista dalla Scogliera
Esposto a Torino nel 1884
In malga
Soldato al galoppo
Neve in Val Sassina ( CO )
Lungo il Ticino
La sosta
Vergine Beata
Nobildonna
La carovana
Galline sull'aia
Pomeriggio soleggiato
Festa da ballo
Paesaggio uggioso
Vallata montana
Spensieratezza
Nevicata in pianura
In gondola a Venezia
Macugnaga Isella in primavera
Tevere a Roma 1886
Alta Val d'Aosta
Al di là del blu
Gondole a Venezia
La vecchia chiesa a Macugnaga 1934
Cartolina postale
Chiesa a Susa
Mattino a Valtournenche
Nevicata in Val d'Aosta
Giocando a golf
Il mercato di Magadino
Zelata
Il gregge nel bosco
Lungo mare
L'aratura
Lago Alpino nubi sul Bernina
La fanciulla
Primo sole in alta montagna
Il bel sorriso
Il monte rosa (versante di Macugnaga)
La lettura
La pittrice
Vaporetto a Venezia
Veduta del Campanile, delle Colonne di San Marco e
Esposizione Mostra Postuma Aprile 1938 Trieste
Notturno sull'Adige - Verona Che Scompare 1910
La magna, Lago di Como
Santa Maria delle Grazie a Milano
Lost in the sky
Val Vigezzo 1873
Torrente in val Chisone
Lago di Como
Verona Ponte Navi 1919
Veduta di Santa Maria della Salute dalla Colonna d
Carnevale Veneziano
San Giorgio a Venezia
Attorno al fuoco
Tramonto ai piedi del Gran Paradiso (da Noasca - V
Pascolo a Oberland Bernese visto da Wengen Alp
Portatrice d'acqua a Taormina
Mercato a Como
Natura morta con vasi
Studio a matita
Angolo Ligure
Stendendo i panni
Neve in Val d'Aosta
Lungo il fiume
Controluce in Val Ferret, Courmayeur
Chierichetti
Sulla spiaggia dell'Atlantico
Cartolina postale con dedica
Il ponte di Pavia
Catena alpina
Scorcio di Venezia
Le rose
Riva di...
Passera'
Land of fire
Pascolo in alta montagna
Opera in fase di archiviazione presso l'archivio A
Capricci di bimbi
Val Ferret, Courmayeur
Interno di chiesa
Squero San Trovaso Venezia
Il Ventaglio bianco
Una pastorella
Piacenza ''Il mercato'' 1943
Sosta nel pascolo ombroso
Tramonto sui campi
Donne al lavoro
Gondoliere a San Giorgio
Piazza San Marco Venezia
Lago di Garda Malcesine
Giuseppina Suardi (1894)
Healing People
Balcone fiorito
Vecchie case di Cadaria Belluno
Giornata uggiosa 1918
Campagna 1946
Palazzo nobiliare (1875)
Vita semplice (191?)
Mattino sul Lago di Garda 1911
Mercato a Venezia
Imbarcazioni a Venezia
La dogana a San Giorgio Venezia
Palazzo Ducale visto da Riva degli Schiavoni
Il velo
Casolari al Verrand
Al pozzo (1850)
All'ombra del Monte Rosa
Piazza di Priori Volterra
"Verona "" Ponte della Vittoria "" 1940"
Gran Combin da Ollomont (Aosta)
Esposizione Biennale di Venezia del 1914 n' 1017
Migranti
Campagne Lombarde
La sorella maggiore
I muli
Cucendo i panni
Catena del Monte Bianco - e dente del gigante
Esposizione del Cairo
Besana Brianza 1940
Il ritorno dalla pesca
Tramonto a Venezia
Notturno a Pavia
Buonos Dìas
Tramonto sulla Laguna
Monte Rosa
Nel porto
Tramonto invernale
La spina nel piede
La raccolta delle castagne
Nubi sul Monte Rosa
Al guado
Il fratellino
Pascolo sul Tonale
Pascolo in Val d'Ayas
Strada di campagna
Verona Che Scompare
Meriggio estivo
Bagnanti
Raccolta di paesaggi
Neve in campagna
San Giorgio
Velieri a Venezia
1916
Verona Piazza delle Erbe 1919
Sera d'autunno
Chioggia (maggio 1926)
Little Things
La fiera a Sorbolongo 1923
Un angolo di giardino nel parco del Castello di Ri
Il Risposo
Canal Grande visto da ponte di Rialto
Nel Porto
Canale in Laguna
Dolce sorriso
Piazza San Marco
Chiar di luna
Il cancello
Vita contadina
Mattino a Portofino 55
Nei campi alla Cavallara
La raccolta delle mandorle
Lavorando la stoffa
Valle di Gressoney
Castello Estense di Ferrara
Passeggiata a Feriolo (Lago di Como)
Lungo la riva
Paesaggio con sfondo montano (Le Grigne)
Figura nel parco
Provenienza collezione privata Milano
Ragazza sulla spiaggia
Quiete
Cervia 1936
La Sgranatura Delle Pannocchie
In taverna
Siesta alla Casa del Castagno 1944
Angolo ligure
Riposa in me
Ai piedi delle Dolomiti
Giornata di sole
Nel parco
Invito in Villa
Sottobosco mattino di Luglio 1921
Paesaggio collinare
Destra: 23x31.5, centro: 23x28, sinistra: 23x28.5
Lanterna di Genova
Paesaggio campestre 1884
La visita
lavandiae sul lago
Viale Cittadino
Vita di montagna
Paesaggi nei pressi di Pinerolo
Cortile Con Animali
All'ombra delle Dolomiti
Ritorno all'ovile
Il rammendo
Venezia Piazza San Marco
Fuochi d'artificio a Venezia
Venezia riflessi nel canale (Al ponte dell'Abazia)
Nell'abisso
Trasporto del fieno nel Varesotto
Amore materno
Studi pomeridiani
Lago lombardo
Via Tiberio a Capri
Il Piave
Notturno San Giorgio
La bicicletta
Inverno a Ivrea
Sesto Calende (1922)
Nei pressi di Pinerolo
Lo Studio Del Pittore
Giornata uggiosa
La procellla
Esposizione internazionale d'arte di Roma del 1911
La capretta bianca
La punta di Bellaggio
Legna da ardere
1942
Veduta di Chioggia
Mercato a Castelfranco Veneto
Abbeverata nei pressi del Monte Rosa
Campagna veneta
Paesaggio 1927
Pensieri Natale 1924
Partenza della Mille Miglia in Piazza Vittoria 195
Mareggiata
In stasi
gressoney saint jean
Raccolta dei molluschi
Uno dei Venticinque pittori della Campagna romana
La giovane guardiana
1921
Hotel Bellevue lago di Como
Il Ladro
Chiacchiere a Venezia
Corteggiamento
Scena familiare in interno
Canal Grande Venezia (1918)
1867
L'omaggio floreale
Venezia con leggera nebbia 1914
Traghettare